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venerdì, Aprile 19, 2024

    STRANGOLATA AL VALENTINO

    I PARTE

    Archeo-Noir

    Che cosa spinge un criminale ad infierire sul cadavere della sua vittima? Molte le interpretazioni, le ipotesi, le teorie.

    Oggi la psichiatria e la criminologia hanno l’opportunità di capire molte cose del modo in cui un assassino opera sul corpo di chi ha ucciso: attraverso il criminal profiling, ma non solo, è possibile ricostruire il modus operandi del criminale e in parte forse riuscire a prevenirne l’azione, magari anticiparne l’arresto.

    “Il cadavere di una donna trovato al Valentino. Strangolata e denudata da un brutale Barabba”

    “La Stampa”, 26 marzo 1915

    Oggi, sull’argomento relativo all’azione distruttiva destinata ad infierire sul corpo della vittima, vi è un’importante letteratura scientifica, ma negli anni in cui si svolse il crimine che qui descriviamo, le conoscenze criminologiche erano ancora limitate.

    In quei tempi si usavano metafore per indicare quanto oggi è normalmente chiamato con termini scientifici. Emblematico in questo senso il titolo apparso sul quotidiano “La Stampa”, il 26 marzo 1915: “Il cadavere di una donna trovato al Valentino. Strangolata e denudata da un brutale Barabba”…

    Il parco del Valentino è un luogo affascinante, non è il Central Park ma è colmo di bellezza:  con il suo castello e il grande polmone verde adagiato lungo il Po.

    Con i suoi 430.000 metri quadrati d’estensione, il parco del Valentino è adagiato sulla sponda sinistra del fiume e rivela la sua origine di scuola parigina, studiata da famosi paesaggisti quali Barillet-Dechamps e Aumont. Diviso idealmente in due partì, è caratterizzato, nella prima, dal grande prato degradante verso il fiume, dove trova collocazione la Fontana Luminosa. La seconda parte ha il proprio centro nel castello del Valentino, oggi sede della Facoltà d’Architettura, nel castello medievale e nell’attiguo Giardino Roccioso. Tutto il parco è ricco di specie rare: conifere nane, cedri dell’Atlante, betulle, azalee. Di fatto, all’inizio del Novecento, era un luogo in cui era possibile appartarsi, nascondersi facilmente lontani da occhi indiscreti. Quindi il posto ideale per compiere azioni che si preferiva tenere nascoste.

    In quel luogo, negli Anni Venti, non c’erano solo balie e bambini, coppie d’innamorati, pittori, carrozze e velocipedi, ma anche persone che utilizzavano quel luogo come punto d’incontro per traffici illeciti. Allora non vi era il commercio della droga, almeno non ai livelli attuali, ma vi erano le prostitute che passeggiavano nei vialetti nella attesa dei clienti. Donne che rischiavano molto perché si sottraevano alla regole delle case d’appuntamento e si esponevano alle aggressioni e ad ogni genere di violenza.

    Anche la vittima del “brutale Barabba”, probabilmente era una prostituta. Nota  come “Tilde la rossa”, alias Angela Serra, aveva 36 anni e alle spalle una di quelle vite sbagliate che spesso caratterizzano il passato di numerose donne che scelgono il marciapiede come unica alternativa esistenziale.

    Decisamente poco rispettosa la descrizione fornita dal cronista de “La Stampa” apparsa sul quotidiano il 27 marzo, il giorno dopo il ritrovamento del cadavere: “figlia di un concessionario di vetture, proprietario di uno stallaggio in via Bertola, ora morto perché si è suicidato quando Angela, ragazza piuttosto belloccia ma sciocca e vanitosa, solita a vestirsi in modo vistoso e di pessimo gusto, è rimasta incinta di un “cavallerizzo” che poi non ha voluto sposarla. Angela aveva due fratelli, lavoratori benestanti, che le hanno dato 4.000 lire, ma la famiglia l’ha ripudiata. Con le 4.000 lire lei ha aperto un bar a Venaria che è fallito e il denaro è così sfumato. Così lei si è ridotta a mendicare ed a prostituirsi; teneva il figlio con sé. Il “cavallerizzo”, con qualche pendenza con la giustizia, era chiaramente innocente. Angela aveva in tasca l’indirizzo di un conducente di bovini, suo cliente, che le aveva offerto di ospitarla”.

    Anche allora i giornali erano tra loro in lotta per cercare di battere i concorrenti e accaparrarsi uno scoop: e fu così che un altro quotidiano torinese, “Il Momento”, il 28 marzo andò in edicola con un titolo a tutta pagina, battendo sul tempo “La Stampa”: “Il misterioso delitto al Valentino. L’arresto di un indiziato grave.

    Il delegato Collamarini, capo della Sezione di barriera di Nizza, ha arrestato Gioachino Berutto, conducente di bovini, abitante presso la famiglia Spessa in corso Francia, al n. 312. Berutto ha la fedina penale costellata di condanne per violenza, oltraggio, lesioni, percosse a donne di malavita e maltrattamento di animali. Come conducente di bovini accompagnava le bestie da Moncalieri a Torino oppure da Pinerolo a Torino e viceversa e li aveva maltrattati tanto da essere denunciato. Berutto, di 38 anni, vigoroso, era di carattere violento e prepotente”.

    Il giornale inoltre segnalava che: “il cavallerizzo che aveva sedotto e abbandonato Angela Serra, era un nobile decaduto, il conte Giuseppe Negri Pico da Mirandola, di 49 anni, padre di Mario, di quattro anni, figlio di Angela Serra”.

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