Nell’estate del 1804, col completamento della “Sinfonia Eroica”, Beethoven girò la pagina del libro della storia.
Già da tempo l’orticello di Haydn e di Mozart gli stava stretto, già da tempo il suo stile ambiva ad abbattere muri e sfondare steccati. Non si trattava di semplice esuberanza giovanile, ma di un ribollire di forze e aspirazioni che lo portavano realmente altrove. Ma per poter giungere a tanto, ebbe prima bisogno di precipitare in una crisi esistenziale violenta, come quella dell’autunno 1802, quando, poco più che trentenne, si fece conscio del suo destino di menomazione fisica permanente e pensò di farla finita suicidandosi. La crisi venne superata, e dopo tale superamento si ritrovò con le forze mentali potenziate, quasi scatenate, com’ebbe a scrivere all’amico Wegeler: “Ogni giorno – disse – mi avvicino di più alla meta, che sento, ma non so definire”. L’Eroica era in gestazione: l’incredibile brano, storicamente il primo ad unire tematiche di tipo politico-morali a raggiungimenti artistico-musicali, nasceva da un disastro esistenziale e trasformava un prevedibile tracollo in un trionfo certo.
Sappiamo della progettata dedica della sinfonia a Napoleone Bonaparte, cosa che non stupisce nel libertario Beethoven, che, ancora ragazzo a Bonn, si era imbevuto dei principi illuministici di libertà e diritti dell’uomo. E sappiamo come questa dedica sia stata irosamente stracciata alla notizia (maggio 1804) della proclamazione a imperatore dell’eroe fin lì tanto ammirato – chiara dimostrazione che tale eroe era “nient’altro che un uomo comune! calpesterà tutti i diritti umani! si porrà più in alto di tutti e diventerà un tiranno!” (così il compositore). Di conseguenza il titolo fu modificato in “Sinfonia Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo”, dove la parola “sovvenire” esprime tutta la delusione patita e sancisce che del “grand’Uomo” c’era solo più il ricordo.
I densi valori ideali presenti nel progetto originario si riversarono sul contenuto epico di questa pietra miliare della musica moderna, inoculando nei suoi quattro tempi una specie di “racconto” che descrive, con formidabile gioco di acquiescenze e resistenze, la lotta vittoriosa dei princìpi morali contro la loro disgregazione.
Dai due iniziali accordi di mi bemolle maggiore parte l’ossatura del colossale PrimoTempo, suoni taglienti, asciutti, estremizzati, intrisi di potenza o forse d’eversione, suoni che sviluppano al grado massimo tutte le possibili accezioni dell’aggettivo “eroico”, campo di battaglia dove gli strumenti non sono più servi del materiale tematico ma reali detentori di idee. Il climax si fa persino più esaltato nel successivo tempo di Marcia Funebre, un compianto di virile afflizione (vengono forse celebrati i funerali della Rivoluzione Francese?) dove “da tutti gli angoli” disse un critico “sembrano sbucare fitte di dolore” ma senza che mai vacilli la fermezza razionalista del compositore. La forza dello Scherzo riporta il tasso di energia ai livelli necessari per scalare il finale – variazioni su un tema di cui viene usato specialmente il “basso” e che aumentano via via di foga e intensità fino a trovare il vertice nell’apoteosi conclusiva. Il tutto, si noti, senza che mai emerga la minima enfasi o ampollosità. Infatti una sinfonia così grandiosa nei mezzi e nei significati esibisce sempre una snellezza essenziale e non dimentica mai cosa sia la nuda bellezza.
Eseguita in forma privata in alcuni palazzi nobiliari, il vero battesimo in sala da concerto avvenne il 7 aprile 1805. Ovvio, le caratteristiche di novità sbalordirono le orecchie impreparate di ascoltatori e critici, ma la forza intrinseca superò presto ogni possibilità di indignare o scandalizzare. Tutti capirono che a quell’onda di tsunami non ci sarebbe potuti sottrarre. La sua strada nel mondo fu perciò una strada faticosa, ma trionfale, con esecuzioni in allargamento costante dovunque, in Europa prima, e poi nei cinque Continenti.
Se posso azzardare un ricordo personale, dirò che dall’età di quattordici anni, quando la ascoltai la prima volta e rimasi folgorata, ad oggi, la sua capacità di sbalordirmi non è ancora calata. La cura intensiva di tanti anni non ha esaurito le mie scorte di meraviglia. Perfetta fusione dei valori artistici con quelli morali, pezzo inusitato, abnorme, eppure anche miracolo quotidiano, come è del sole che sorge ad ogni alba, ancor oggi sono qui a chiedermi com’è che una tale bomba non abbia perso nulla della carica iniziale risalente a oltre due secoli fa; com’è che un simile gigantesco edificio mentale abbia potuto essere costruito da un solo minuscolo uomo. C’è, nell’Eroica, una densità di pensiero che basta e avanza per un’intera vita.