In realtà non vorrei parlare di un re, ma di una persona che aveva una posizione di potere molto importante nel panorama mondiale. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, dal 1 Gennaio del 1997 a tutto il 2006, si chiamava Kofi Annan, era ghanese, era stato il primo africano nero a guidare il Palazzo di Vetro.
Dopo due mandati, in quella prestigiosa posizione, era stato anche inviato dell’Onu in Siria. Ha lasciato questo mondo, in quel di Berna, il 18 agosto scorso. Aveva 80 anni.
Alcuni organi di stampa nazionale né hanno dipinto le qualità, come sempre succede alla dipartita di qualcuno molto importante, ricordando tra l’altro che era stato insignito, nel 2001, del premio Nobel per la Pace, insieme alle Nazioni Unite, «per il loro lavoro per un mondo più pacifico e meglio organizzato».
Lo stesso quotidiano riporta anche questa nota: «Ha combattuto per un mondo che fosse più giusto e più pacifico. Durante la sua carriera e la leadership nelle Nazioni Unite, è stato un ardente campione di pace, impegnato per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e il valore della legge».
Tutto vero? Mi permetto di esprimere qualche dubbio. Ricordo purtroppo un episodio, impossibile da dimenticare, soprattutto per una crudeltà senza limiti.
Mi è bastato alzare gli occhi su un ripiano della mia libreria e prendere un testo letto anni fa, per trovare i dettagli precisi dell’episodio, facilmente rintracciabili in internet.
Il Ruanda è una piccola repubblica agricola, poco più grande della Sicilia, che si trova nell’Africa equatoriale. Dall’aprile al giugno ’94, sulle colline del Ruanda, i soldati dell’esercito regolare massacrarono sistematicamente bambini, donne, uomini, di etnia tutsi, che si opponevano al regime.
Per i responsabili di questo genocidio lo scopo era eliminare tutti gli esseri umani di etnia tutsi. Gli assassini agivano giorno e notte entrando con la forza nelle case, utilizzando soprattutto il macete. Le vittime venivano fatte a pezzi con furore freddo e calcolato. Le donne e le ragazze stuprate con violenza prima di essere uccise. Per tre mesi i corsi d’acqua trasportarono teste decapitate e membra amputate.
In quel periodo le Nazioni Unite avevano in Ruanda un contingente di caschi blu, di oltre 1300 uomini, comandati da un generale canadese, Romeo Dallaire. Militari, come sempre, ben al sicuro, trincerati in campi protetti dal filo spinato in varie zone del Paese.
Nel corso del massacro decine di migliaia di tutsi implorarono l’aiuto dei caschi blu per avere rifugio nei campi protetti. Ma gli ufficiali dell’ONU rifiutarono sempre. Gli ordini arrivavano da New York, dal Consiglio di Sicurezza, da colui che allora era Sottosegretario Generale per il mantenimento della Pace, Kofi Annan.
A genocidio iniziato, la risoluzione 912 del 1994, del Consiglio di sicurezza, ridusse a un terzo il numero dei soldati ONU presenti in Ruanda.
Benché fossero armati fino ai denti, contro bande di assassini, muniti principalmente di machete, i soldati dell’ONU assistettero passivamente al massacro, accontentandosi di registrare gli eventi, ovvero del modo in cui venivano sterminati, e poi trasmettere le notizie a New York.
Così in cento giorni furono massacrati circa ottocentomila persone: donne, bambini anche lattanti e adolescenti, e ovviamente uomini, sotto lo sguardo dei caschi blu delle Nazioni Unite.
Dal ’90 al ’94, i principali fornitori di armi e di credito al Ruanda sono stati: Francia, Egitto, Sud Africa, Belgio e Cina. La più grossa quantità di macete al Ruanda fu fornita proprio dalla Cina. Parigi ha le responsabilità più grandi, tra le potenze occidentali. È stata sempre a fianco del regime degli estremisti genocidi, senza alcune incertezza. Ha fornito armi, ha addestrato milizie, ha protetto la fuga dei peggiori criminali. E ha poi fomentato un velocissimo revisionismo. Alla fine i responsabili del massacro furono sconfitti.
Il nuovo governo del Paese ereditò un debito estero superiore al miliardo di dollari. Ma il cartello dei creditori guidato dal fondo monetario internazionale e dalla Banca Mondiale ha rifiutato qualsiasi accordo, minacciando di isolare finanziariamente il Ruanda dal mondo.
Così i ruandesi, sopravvissuti miracolosamente al genocidio, con un reddito assolutamente minimo, contribuiscono ancora oggi, a rimborsare alle potenze straniere le somme che sono servite a finanziare il massacro.
L’espressione “debito odioso” è stata coniata da Eric Toussaint, (fondatore del comitato per l’abolizione del debito illegittimo); in seguito è stata ripresa dalla maggior parte delle organizzazioni e movimenti che lottano per la giustizia sociale planetaria. Comunque, il Nobel per la Pace a Annan, purtroppo, non è il solo immeritato.