Il 15 marzo 2019 verrà ricordato per una manifestazione a carattere universale, che ha coinvolto 1,4 milioni di persone, 2mila piazze, in 125 Paesi di tutti i continenti. L’obiettivo principale dei manifestanti è stato quello di evidenziare la gravità del surriscaldamento dell’atmosfera che sta stravolgendo gli ecosistemi.
Essi, attraverso la moltitudine di slogan, cartelli, hanno urlato che la questione dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici prima di tutto, va conosciuta. Quel giorno si sono accesi i riflettori su un campo di gioco che era al buio; ora dobbiamo cominciare la partita. Ora è assolutamente indispensabile mettere in pratica i principi gridati in piazza. Fridays For Future, sulla scia della 16enne attivista svedese Greta Thunberg, ha smosso soprattutto i giovani, che, pacificamente e rumorosamente, si sono riversate nelle strade per affermare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta falcidiato da decenni di razzie. Ora più che mai la gente sa che c’è un problema di non trascurabile importanza, sa che esistono alcune dinamiche cruciali per la vita sulla Terra che vanno conosciute, e che l’attività dell’uomo può modificarle o pregiudicarle.
Ora però l’azione si deve trasferire a casa (gestendo nel modo giusto energia, rifiuti, acqua, per quanto di competenza), a scuola e all’università (studiando il problema), a tavola (migliorando le abitudini alimentari) al supermercato e in qualsiasi negozio (selezionando con criterio i prodotti che acquistiamo), nelle città (prestando attenzione alla mobilità e ai trasporti), nel tempo libero (usandolo con intelligenza), in mezzo agli altri (scegliendo di discutere anche di cose serie, e di esperienze come quella del 15 marzo). La risposta alla domanda che ricorre spesso “ma io cosa posso fare?” è quindi automatica: scegli alcune tra le cose che sono state appena elencate e fanne un obiettivo. Un conto è dirlo, scriverlo o gridarlo durante un corteo, un conto è metterlo in pratica. È proprio qui, invece, la vera ricchezza della manifestazione per il clima. L’onda che bisogna cavalcare è quella dell’informazione, del sapere e del saper raccontare. Da tanto tempo si conoscono l’effetto serra naturale e la capacità dell’uomo di influenzarlo; da molto tempo sappiamo quali sono i gas serra e siamo capaci di individuarne le sorgenti di emissione; esiste una letteratura scientifica sterminata su questo argomento.
Oggi emerge con forza la necessità che queste cose siano di dominio pubblico affinché tutti siano in grado di associarle ad ogni azione che si compie. In altre parole, la conoscenza della nostra influenza sull’ambiente e sul clima ci aiuta a capire meglio il perché della raccolta differenziata, del chilometro zero, del risparmio energetico e dell’energia rinnovabile, del limitare decisamente il consumo di carne, dell’abolire l’acquisto di liquidi in bottiglie di plastica, dell’obsolescenza programmata, e delle mille altre cose sulle quali siamo chiamati a prendere decisioni tutti i giorni. Se la gente si mobilitasse, non solo nelle piazze ma anche muovendosi silenziosamente con le proprie scelte quotidiane, anche il mondo politico (che affannosamente ricerca il consenso) e il mondo economico (che febbrilmente insegue i profitti) se ne accorgerebbero e alcune rivoluzioni virtuose potrebbero avvenire. Se aspettiamo che i politici, si muovano per primi, il processo di cambiamento sarebbe pericolosamente troppo lento. Senza contare che l’azione politica, anche quella buona, è spesso accolta freddamente dal popolo, se non sbeffeggiata. Insomma, il sistema si deve spostare tutto insieme in modo che il cambiamento sia efficace, ma allo stesso tempo pacifico e possibilmente graduale e indolore. In caso contrario, sarà la stessa natura a imporci il cambiamento.
Il seme gettato il 15 marzo va dunque fatto sbocciare. Ci vorrà un po’ di tempo, energia e buona volontà da parte di tutti. Ma se ciò non accadesse, lo sforzo non sarebbe servito a nulla.