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lunedì, Febbraio 17, 2025

    La stanza

    VenticinqueGocce2WebLe urla là fuori.

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    Quelle dell’insopportabile quotidiano, di quelle scritte a caratteri cubitali sui giornali, delle risse verbali e vergognose alla tv, di coloro che si accaniscono contro gli ultimi, di quelli che scendono in piazza ma in fondo contro se stessi, e potrei continuare. È l’urlo dell’oscurantismo, del pressapochismo e dalla mediocrità che ormai ci attanaglia. Ci siamo dentro tutti.

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    Questa melma che ha le caratteristiche e l’odore del benessere, della normalità, ci ha letteralmente invasi, e potremmo partire dalle molecole che la formano e le danno vita.

    Basta scorrere le notizie quotidiane, più o meno gridate, che ci cadono addosso per garantirci un ulteriore aggravamento della nostra ulcera, e cito a caso: a Torino il sistema ToBike, che avrebbe garantito con una minima spesa il potersi muovere in città senza inquinare, è preda da mesi di vandali che sistematicamente distruggono le bici e non solo; i nuovi, ma anche i vecchi mezzi di trasporto sono anch’essi danneggiati dalle scorribande di cerebrolesi in libertà; c’è chi invece ruba un’auto al Sestriere per poi distruggerla: pare fossero ragazzotti annoiati, in fondo sono da comprendere perché di sera, al Sestriere, a parte qualche locale, magari caro, a 2000 metri, cosa vuoi fare se non accanirti contro le vetture parcheggiate oppure darle fuoco come è accaduto spesso altrove.

    Poi c’è chi se la prende con qualche statua, tanto vede nessuno e si passa la serata, momento nel quale le menti più fertili danno il meglio; altri rivolgono le proprie attenzioni malate verso l’arredo urbano danneggiando fontanelle e panchine, per non parlare delle scuole, obiettivo quasi primario di coloro che vivono all’opposto di ciò che definiamo cultura. Distruggere una scuola è da talebani, o ISIS se preferite.

    Potremmo continuare con le stazioni ferroviarie, la segnaletica e andare avanti ancora per molto.

    Evidentemente uno sfogo è necessario: io stesso insieme agli amici di un tempo lontano, ancora adolescenti, ci siamo macchiati in modo indelebile con atti di vandalismo: sapeste quanti campanelli abbiamo suonato, quante manate sui citofoni per poi correre via a gambe levate, quanti stemmi Mercedes abbiamo ruotato sui cofani di quelle auto e vetri rotti con un pallone; abbiamo pure messo a segno un colpo dal giornalaio, riuscendo a “portar via” un fumetto di Lando: ne ricordo uno dal titolo inequivocabile: “L’uva passerina”. Inutile dire che dopo il colpo si correva come lepri in ordine sparso per poi ritrovarsi nel luogo preposto.

    È evidente che oggi queste performance si siano evolute, che il tutto sia degenerato in una sfida continua, non dico tollerata ma è disarmante la ormai naturale quotidianità di questi atti.

    Nonostante il proliferare di telecamere e di sistemi di sicurezza nulla riesce a fermare i nuovi vandali; almeno quelli antichi avevano di sicuro altri motivi per mettere a ferro e fuoco città intere.

    Oggi l’ignoranza spiacevole e ingiustificabile è qualcosa che fa tendenza, e che va immediatamente resa pubblica, mentre si compie addirittura: filmare durante le violenze è come mettere una sorta di firma: non ci si nasconde più, anzi dichiarare la paternità dell’evento è essenziale. Viviamo nell’epoca dei “like” in fondo ed è una necessità fisiologica lasciarla sfogare. Mi chiedo: senza “social” e di conseguenza senza una fame continua di condividere tutto, questi fenomeni sarebbero più contenuti? Se non avessi un cellulare da 1300 euro mi accanirei ugualmente sul compagno disabile?

    Forse si.

    Chi nasce strunz’ nun po’ addiventà babbà.

    E parlando di masse più o meno preoccupanti, non possono mancare gli ultrà delle curve. È addirittura superfluo ogni commento, ovviamente: zombie senza coscienza in gruppo e codardi se presi singolarmente.

    Ma forse c’è un piccolo spiraglio, un rimedio, o quantomeno un palliativo: a Torino apre la prima “rage room”, la stanza della collera. Si prende appuntamento, si concorda ciò che si desidera spaccare e con cosa, e ci si sfoga. Mai e poi mai avrei immaginato che il futuro dell’imprenditoria passasse dal calare con forza un cric su orrende bomboniere.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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