I colori dell’arcobaleno

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Ho voluto essere presente alla più bella manifestazione di popolo che mi è stato concesso di partecipare nella mia vita. L’onda verde ha svegliato tante città: da Milano a Palermo, passando per Torino, Firenze, Roma, dove un milione di giovani, e non solo, ha espresso con cartelli, striscioni e vari slogan il loro disagio, la loro critica, verso un sistema che sta provocando sconvolgimenti climatici tali da pronosticare, in un futuro molto prossimo, conseguenze irreparabili. Quando iniziava il corteo di Torino, ho sentito una signora dire ad alta voce: “Credono forse di risolvere il problema in questo modo?” Dare una risposta a certe battute è solo una perdita di tempo, perché purtroppo molte persone sono piuttosto limitate. Da domani questi giovani, probabilmente, non rinunceranno alle loro abitudini: passare la giornata col cellulare in mano, dare poca importanza ai consumi energetici, farsi accompagnare a scuola in auto, acquistare in continuazione costosi capi di abbigliamento per essere “trendy”.
Ma il solo fatto che siano sensibilizzati, significa che qualcosa di positivo cercheranno di fare, anche in tempi brevi. Penso che abbiano capito più degli adulti la gravità della situazione. “Se gli adulti non fanno il loro compito e scioperano dal loro dovere, allora tocca a noi” ha affermato un manifestante interrogato sulle ragioni della sua presenza. Ovvio che non possono essere loro a salvare il mondo, e nemmeno Greta Thunberg. Greta non è ancora grande abbastanza, ma si è dimostrata molto coraggiosa e competente. Non possiamo che dirle un doveroso grazie per quanto ha fatto e promette di fare. A lei, e a i ragazzi come lei, non si può chiedere di rinunciare immediatamente a tutte le comodità che hanno a disposizione, non ne saremmo capaci nemmeno noi. Però, questi ragazzi denunciano che hanno paura. Il loro è un grido di richiesta di aiuto. La mia generazione ha avuto a disposizione molte opportunità per migliorare il proprio stile di vita, senza rendersi conto che il consumo di risorse non può essere inesauribile. Uno vero sciopero a difesa del mondo vivente dovrebbe essere, uno sciopero contro il desiderio di aumentare il nostro reddito e accumulare più ricchezza. Più le persone sono ricche, dice una ricerca, più è probabile che prendere atto di certi fatti rechi loro disturbo. Le ricchezze si traducono automaticamente in un enorme impatto sull’ambiente, indipendentemente dalle intenzioni di chi le possiede. Il troppo denaro consente a certe persone di esercitare il proprio potere soprattutto nel possesso, nell’uso delle risorse del pianeta a proprio beneficio esclusivo. La triste verità è che i ricchi possono vivere così solo perché gli altri sono poveri; non ci sarebbe né lo spazio fisico, né quello ecologico per tutti, se tutti vivessero nel lusso. I più ricchi sono quelli che stanno ammazzando la Terra. Perciò dovremmo lottare per una equità privata e piuttosto per un “lusso” pubblico. La vita sulla Terra dipende dalla moderazione.
La politica dovrebbe affrontare il problema, non solo attraverso campagne di sensibilizzazione, ma atti concreti per incentivare un comportamento virtuoso; invece da sempre agisce in una direzione completamente opposta. Per la politica contano solo il PIL e altri diabolici indici di produzione e consumo. Il mondo è in fiamme, è riconosciuto lo stato di pericolo, tutti gli esperti affermano che occorre agire subito, ma è governato da irresponsabili che si aggirano nelle stanze dei bottoni con taniche di benzina gocciolanti. Vedi Trump, Bolsonaro, ma non solo. Anche i nostri politici non hanno ancora dato alcuna prova di voler agire concretamente. Gli interventi da farsi subito per contrastare il cambiamento climatico, che riguardano l’Italia sarebbero infiniti; vorrei condividerne alcuni proposti da persone competenti in materia. Tagliare subito i miliardi di euro di sussidi al settore delle fonti fossili; perché è assurdo che nel momento in cui occorre contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta, si spendano soldi pubblici per finanziare proprio il settore energetico che maggiormente contribuisce al fenomeno. Approvare subito una legge che fermi il consumo di suolo, perché la cementificazione è una delle cause dei cambiamenti climatici, perché compromette gli ecosistemi, porta inquinamento e calore (basti immaginare la differenza tra un bosco e un parcheggio assolato di un centro commerciale). Invece di investire sulle grandi opere, ferroviarie e autostradali, sull’asfalto e sul cemento, puntare sul trasporto pubblico locale, sui servizi ai pendolari, sui tram, sulla mobilità leggera. Invece di proseguire con le pratiche dei condoni edilizi e dell’abuso del territorio, che prima o poi presentano il conto doloroso, in termini di vite umane spazzate via dalle piene dei fiumi e dagli smottamenti, curare davvero il territorio dalla piaga del dissesto idrogeologico. Tutte ipotesi concrete e praticabili. Ma che obbligano a una vera scelta di campo. La scelta è: stare dalla parte di questo modello di sviluppo morente, che sta portando al collasso definitivo il pianeta, garantendo belle rendite economiche a pochi affaristi potenti, oppure dalla parte del pianeta?

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Ernesto Scalco
Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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