Silenzio e vigilare

0
860

VenticinqueGocce2WebContro il logorio della vita moderna spesso è necessario il silenzio, ma una categoria in particolare lo cerca quotidianamente: l’insegnante. Non accende mai e poi mai la tele o lo stereo una volta al sicuro tra le mura domestiche, i famigliari lo sanno e assumono un basso profilo.

Parlo di insegnanti elementari, ma sicuramente anche per chi lavora nelle scuole medie, nelle superiori, le difficoltà ci sono sempre. L’indomani è quasi sempre preoccupante. Solo all’Università le ansie si invertono: lì a farsela sotto sono i ragazzi; i cosiddetti baroni vivono sonni tranquilli.

- Adv -

Direi che, almeno ascoltando e leggendo, ai più sfugga ciò che l’insegante deve affrontare ogni giorno: nell’imaginario collettivo spesso sono coloro con due mesi di ferie. Sorvolo sui permessi e le ferie , ci sarebbe bisogno di un capitolo a parte, ma i mesi estivi vengono visti come una sorta di privilegio. Mi fermo qui.

Ricordo un tempo lontano dove spesso, soprattutto nei paesi, le figure di spicco erano il prete, il dottore e l’insegnante; l’ordine sceglietelo voi. Il denominatore comune era il rispetto portato nei confronti di queste figure, in particolar modo la maestra, o il maestro, che nei paesi divenuti città, nel pieno dell’esplosione demografica, avevano anche una trentina di bambini: lo vedo dalle foto dell’epoca in bianco e nero. All’asilo (non era ancora scuola materna) ancora di più.

Esisteva qualcosa che i bambini di allora assimilavano, comprendevano, e che veniva passato loro dai genitori, e ancora dai nonni: il rispetto. La capacità di comprendere i limiti di ciò che si poteva fare o meno, e quella di capire che la scuola è lavoro. Com’era per il papà alla FIAT o per la mamma a riassettare casa.

Negli ultimi decenni ci siamo bruciati tutto questo. L’insegnante (sempre senza voce), è visto come un missionario. Un missionario col parafulmine, che attira su di sé praticamente tutto, e, lasciatemelo dire, difeso da nessuno: l’insegnante è solo.

Le sue responsabilità vanno oltre l’insegnamento, con tanta pazienza e una dose inimmaginabile di autocontrollo. Ed ancora: POF…non è un palloncino che scoppia. PTOF non è il suono di un fucile ad aria compressa, e RAV non indica il suv della nota marca giapponese, oppure BES. Sono degli acronimi, ma anche delle incombenze da superare.  Sempre o quasi in solitudine, affrontando spesso qualche ragazzino  privo di educazione, supportati da genitori altrettanto privi di questa qualità, si aggiungano bambini che realmente hanno delle difficoltà e che andrebbero seguiti molto da vicino, oppure nella media, o altri ancora molto promettenti che prima o poi, ognuno col proprio tempo, arriveranno al traguardo finale. La domanda è: si può fare? È possibile offrire istruzione ad una tale disparità di situazioni ad ogni singolo bambino? Ne nomino alcune: disturbi specifici di apprendimento, discalculia, dislessia,disgrafia e disortografia, con casi in aumento, o panico al mattino. Aggiungiamo pure le cose più piccole e materiali, come viene chiesto spesso molto più che l’approfondimento di una particolare materia: incentivarli a mangiare di tutto, senza pensare che poi un bambino potrebbe farlo per forza e poi stare male, o sbucciare la mela a venticinque alunni, allacciare loro le scarpe, portarli in palestra evitando incidenti, o in cortile ma con prudenza, controllare che non si scambino merendine o qualche ceffone che può capitare, controllare che all’entrata e all’uscita nessuno corra o spinga, sopportare il fatto che qualche caso difficile ti prenda a calci o ti insulti, e arginare ovviamente la carica di alcuni genitori poco propensi alla nota, al brutto voto. E poi, vigilare. Su tutto. Perché non accada qualcosa di tremendo come nella scuola di Milano. Dopo, ma veramente dopo tutto questo, gli insegnanti possono svolgere il proprio lavoro. E vigilare. Sempre. Certo che si può, e certo si dovrebbe fare, se la scuola, come istituzione, offrisse i mezzi ed il personale adeguato, con le risorse necessarie, perché ciò che viene maneggiato con poca perizia e molta leggerezza da parte dello Stato, è il nostro futuro, uomini e donne di domani.

- Adv bottom -
Articolo precedenteArigatō gozaimasu, grazie mille Giappone!
Articolo successivoLiber* di muoversi
Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.