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venerdì, Aprile 19, 2024

    La crisi e l’epilogo

    La fine della storia della Singer di Leini

    Li Cunti di VittorioSe a Francesco e agli altri dipendenti avessero detto che era l’inizio della fine, si sarebbero messi a ridere: come un’azienda così in salute, con tanti ordini e con maestranze valide, chiuderà? Dai, non può essere.
    Fu così. Quel comunicato ebbe, sulla maggior parte, l’effetto di un botto sordo e cupo anche se, sul momento, nessuno ne colse appieno la portata.
    Eppure già nel ‘74 c’era stata un’avvisaglia. Nessuno intuì che genere di piatto si stava apparecchiando.
    Il processo vero e proprio, che avrebbe portato alla liquidazione della fabbrica, iniziò, in realtà, nel 1975.
    Tutte queste cose per Francesco erano una novità. A sue spese imparò che anche nelle aziende più solide e importanti si è sempre appesi ad un filo: c’è sempre un atropos, una divinità che regola il destino pronta a tagliare il filo.
    All’inizio la cosa fu presa con una certa leggerezza. La cassa interessava a turno i vari reparti e per tre giorni alla settimana: che pacchia, dicevano alcuni, stiamo a casa tre giorni e per giunta pagati.
    Nella prima fase la cosa riguardò solo gli operai. Gli impiegati si sentivano al sicuro e molti dicevano: “Noi non siamo come gli operai, sempre a scioperare. Siamo fedeli e ligi al dovere. Non corriamo rischi”. E invece? I rischi li corsero eccome. Anche loro finirono nel calderone.
    I delegati sindacali più avveduti avevano già compreso cosa stava succedendo: “Facciamo attenzione. Queste sono cose già viste, si comincia così senza creare allarmismi. Si dice che è cosa passeggera, tutto si aggiusterà. Non dobbiamo fidarci”.
    Anche Francesco si poneva la domanda: se il lavoro non manca, le commesse ci sono, le macchine sono richieste, anzi, vengono esportate addirittura in Germania alla Nechermann, perché l’azienda ricorre alla cassa integrazione?
    Iniziarono a tenersi molte assemblee dei lavoratori. Gli incontri tra direzione e delegati avvenivano in rapida successione.
    Cominciò a circolare un’ipotesi sulla vera natura della crisi. Si diceva: la Singer è una grande multinazionale, è leader in diversi settori della metalmeccanica. Primo tra tutti nel settore del cucito e maglieria. Questa è l’unica fabbrica che possiede vocata alla produzione di lavatrici e frigoriferi. La produzione è troppo modesta per poter competere con i colossi del settore. Ecco perché vuol disfarsene.
    Intanto l’utilizzo della cassa integrazione e relative sospensioni dal lavoro diventavano sempre più frequenti. Il disegno diventava sempre più chiaro.
    Alla fine del 1975 anche tra gli impiegati cominciò a diffondersi un certo nervosismo: la cassa, ora, interessava anche loro. Avevano capito che la fabbrica sarebbe stata liquidata e, anche loro, che si sentivano al sicuro, sarebbero stati licenziati senza tanti complimenti.
    Fu un trauma.
    Gli operai erano già vaccinati: scioperare e lottare per i diritti erano tutte cose che facevano parte del loro DNA.
    Le assemblee divennero infuocate. In queste situazioni emergono i veri leader: quelli col carisma.
    C’erano delegati che spingevano per l’occupazione della fabbrica. Mossa rischiosa. Alla fine, a grande maggioranza, si scelse l’assemblea permanente. L’occupazione di tutto lo stabilimento avrebbe comportato l’assunzione della responsabilità e sicurezza di tutto il complesso. Con l’assemblea permanente si occupava solo la mensa. La responsabilità del complesso restava alla direzione.
    Cominciò un periodo molto impegnativo. Vennero coinvolte le istituzioni, si studiavano iniziative clamorose. Una volta, mentre partecipavano ad un corteo durante uno sciopero generale, giunti nei pressi della stazione di Porta Nuova, i delegati deviarono lo spezzone Singer dentro la stazione: occuparono i binari. Restarono lì tutto il giorno. Andarono a spiegare ai viaggiatori il motivo del blocco dei binari. Molti compresero.
    I turni di presenza divennero, soprattutto quelli notturni, momenti di discussione su argomenti di varia natura. Si discuteva tutta la notte. C’era un uomo che chiamavano “il folle” per l’aspetto disordinato e con capelli lunghi e scarmigliati. Arrivava con un’auto tutta ammaccata. Era molto colto, grande appassionato di filosofia e poesia. Quando parlava lo ascoltavano incantati.
    La rottura tra la direzione e maestranze era diventata totale. Era chiaro che per avviare le procedure di licenziamento era solo questione di tempo.
    La vicenda Singer divenne un caso nazionale. Per la prima volta una crisi e relativa cassa integrazione interessava un’azienda di quelle dimensioni. Anche se fu compresa in ritardo questa vicenda, assieme ad altri segnali, diceva che il cosiddetto boom economico era finito.
    Accanto alle istituzioni e al mondo del lavoro, anche importanti settori della cultura aderirono alla mobilitazione. Mitica fu la serata dell’arrivo in azienda del compagno Dario Fo assieme alla sua compagna Franca Rame. Recitò Mistero Buffo, tenne un’improvvisazione esilarante sullo sfruttamento da parte dei padroni.
    In questo contesto gli impiegati divennero tra i più combattivi. Avrebbero voluto iniziative ancora più radicali ed estreme. Divenne un problema far capire che certi limiti non si potevano superare. Sarebbe stato pericolosissimo.
    Nonostante l’attenta vigilanza da parte dei delegati e di quelli coinvolti nella lotta su tutte le persone non conosciute che cercavano di infiltrarsi, ci furono tentativi da parte di qualche gruppo eversivo di sfruttare la vicenda politicamente e utilizzare l’esasperazione e l’insicurezza sul futuro come terreno per reclutare militanti. La cosa non riuscì proprio per la serietà con cui veniva gestita la lotta. Purtroppo elementi estremisti non mancavano. Non ebbero, comunque, molto successo.
    Non mancarono proposte, con un certo fondamento, da parte di un gruppo di tecnici progettisti e di una parte degli operai e impiegati: fondare una cooperativa che rilevasse la fabbrica. Furono contattati alcuni vecchi clienti. I capitali iniziali avrebbero dovuto essere costituiti dalle liquidazioni. Non se ne fece nulla perché l’impegno economico era troppo gravoso e molti non se la sentirono di rischiare.
    Ovviamente accanto a questo attivismo propositivo continuava la mobilitazione. La manifestazione più bella fu organizzata su due piedi, così all’improvviso. Era stata convocata un’assemblea importante. C’erano tutti: impiegati, operai e dirigenti. Anche loro sarebbero stati licenziati.
    Un delegato buttò lì una proposta un po’ estemporanea: invece di stare qui a chiacchierare, disse, perché non facciamo un corteo fino a piazza Castello a Torino. Andiamo a parlare in Regione.
    La proposta fu accettata seduta stante; in breve, col passa parola, si formò il corteo verso Torino. Fu un vero spettacolo e un’esperienza entusiasmante. C’era la voglia di non mollare.
    Si marciò per quasi quattro ore. Si giunse in piazza Castello sfiniti ma felici. Ovviamente non sortì effetti pratici se non quelli mediatici. Le dichiarazioni di solidarietà dei partiti si sprecarono ma tale restarono: parole al vento.
    Quella manifestazione fu il canto del cigno. Oramai la vicenda era al suo epilogo ed il destino segnato.
    Oramai l’obiettivo era quello di evitare il licenziamento in massa di tutte le maestranze. Sarebbe stato un autentico disastro per tutto il bacino delle cittadine interessate. Intere famiglie sarebbero state gettate sul lastrico. Fu concessa la cassa integrazione straordinaria. Dopo la chiusura dello stabilimento ci furono operai e impiegati che rimasero in cassa per molti anni.
    Quando fu chiaro che non c’erano alternative Francesco si mise in caccia di un altro lavoro. Fu presto trovato. Non gli andava di restare con le mani inattive.
    Si concludeva una vicenda della vita molto importante. Aveva accumulato diverse significative esperienze. Ora sapeva che la fabbrica era un luogo importante, non solo per il lavoro.
    La lotta condotta aveva dato sostanza ad un orientamento politico già presente in lui. Oramai sapeva con chiarezza con chi schierarsi: con gli operai e gli ultimi.
    Il suo posto era lì a sinistra dove le parole d’ordine sono uguaglianza e dignità.

    P.S. I fatti narrati nei tre articoli, che raccontano la vicenda della Singer di Leini svoltasi negli anni 70, ancorché romanzati sono autentici. Ho sostituito solo qualche nome. Alcuni sono autentici.

     

     

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