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venerdì, Aprile 19, 2024

    Convivenza forzata, in quarantena

    La società a due è in assoluto la più difficile da mantenere in piedi: nascono almeno a tre, così in caso di scelte due soci mettono in minoranza l’altro. Quando si parla di convivenza le cose cambiano, e comprendi a fondo che il buon clima in famiglia è (anche) supportato dal vedersi ma non troppo, dal trovarsi alla sera dopo una giornata al lavoro, frenetica e piena di impegni, dal fatto di non dover per forza condividere spazi obbligati.

    Ma, un bel giorno, arriva la peste, la iattura, ciò che mai ci saremmo aspettati. Non parlo del virus, quello prima o poi sparisce con un vaccino, parlo della “convivenza forzata”.

    Nella mia immacolata ingenuità ho approfittato per prendermi delle ferie che devo smaltire come mi chiede l’azienda, quindi quale occasione migliore; anche perché spostarmi e lavorare con mascherina, guanti, mantenendo le distanze di sicurezza, mi fa salire l’ansia. Ho pensato a tutti quei piccoli lavoretti rimandati sine die, nulla di particolare, tipo un po’ di pulizia nel box, archiviare documenti e ricevute stipati nei cassetti, dare una regolatina a qualche ramo cresciuto in questo clima di eterna primavera e così via. Il resto del tempo pensavo di utilizzarlo in letture, qualche film catastrofico o distopico su Netflix, chattare su WhatsApp con amici e colleghi.

    Era tutto pianificato quando, ormai sera, le luci spente, il silenzio innaturale rotto solo dalla radio in sottofondo mi sento dire da una voce che conosco da quasi quarant’anni: “ Domani iniziamo le grandi pulizie! È il momento!”.

    Credetemi, avrei preferito sentire la voce di Jigsaw dire: “Ciao Luciano, voglio fare un gioco con te!”.  Negli attimi successivi la mia pressione è schizzata verso l’alto, nonostante le mie due pastiglie quotidiane di Pritor e Lobivon! Così dopo quelle parole, il mio sonno è stato disturbato da incubi. Al mattino sono stato svegliato da una sciabolata di luce tra le tapparelle ma soprattutto dalla cosa che in assoluto odio di più: il rumore del folletto, l’aspirapolvere maledetto!

    Dai, indovinate quanti ne abbiamo in casa: non lo immaginate vero? Tre. Si sa mai, e stiamo trattando per l’acquisto del Dyson V 11 PRO, la bestia.

    Mi sono alzato con la mestizia nel cuore, vedendo i miei giorni segnati tra strofinacci, disinfettanti, prodotti vari, guanti. Pulire tutto, assolutamente tutto. Dopo un rancio veloce e frugale (siamo in guerra dopotutto) si riprende con ancora la mappazza sullo stomaco: non sono previsti caffè ne’ ammazzacaffè.

    Gli esercizi di equilibrio sulla scala o la pulizia del sottotetto sono paragonabili per rischio solo al “Cirque du soleil”, per fortuna l’assicurazione copre gli infortuni domestici. Alla mia richiesta di una tregua, giusto per ingoiare una barretta energetica, mi arriva lo sguardo tagliente e freddo di Jack Torrance in Shining.

    E poi la frase, “Tanto cosa hai da fare…!”

    Giorni duri: da una parte le notizie come proiettili dall’altra il Sergente Hartman che vedendo i miei goffi tentativi nel pulire una saracinesca, una superficie, mina la mia autostima, ricordandomi che la prima linea è lì davanti!

    Solitamente la frase che mette fine al mio operato è “Togliti, faccio io”. Sono certo sia qualcosa che tutti abbiamo provato.

    Questa è la parte ironica, colorita, in realtà vorremmo solo riprendere ciò che abbiamo lasciato.

    E fuori? Il rumore in sottofondo del traffico sempre presente, ora è scomparso, e direi che l’aria è più leggera. Qualche voce, rare macchine di passaggio. Al supermercato una fila ben delineata, ordinata e silenziosa come mai avevo visto: il lentissimo avanzare ricorda la mestizia di una processione, manca solo il Cristo sulla croce.

    Tutto appare così immobile, inquietante, inaspettato, come a Pripyat. Almeno piovesse, facesse quel bel clima uggioso che tanto ci manca, invece nulla: il sole è una calamita per molti. Mi auguro di non leggerli tra i contagiati.

    Tutto sospeso, tutto rimandato, tutto in forse.

    Ciò che sgomenta è che la cosa più utile adesso sia fare niente, stare in casa. Aspettare. Un’attesa intrisa di speranza e angoscia. Avete paura anche voi quando passa la sigla del TG? Non mi era mai accaduto, quante cose non ci erano mai accadute! Per fortuna siamo qui. In due.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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