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venerdì, Aprile 19, 2024

    Sarà il caso di cambiare rotta?

    Nessuno poteva immaginare ciò che sta succedendo, una cosa mai vistasi prima a memoria d’uomo moderno. Con le guerre, le alluvioni e i terremoti, le emigrazioni in massa, ci si poteva scampare: bastava non avere la sfortuna di essere fisicamente nei luoghi dell’evento. Alla notizia di simili drammi, c’era chi, dopo un attimo di curiosità tornava alle proprie faccende, chi si commuoveva immedesimandosi nella situazione e magari dava un minimo contributo; altri, spinti da grande volontà e spirito di sacrificio, si precipitavano a soccorrere i malcapitati. Ora che il pericolo può toccarci direttamente, senza sapere da dove proviene, non ci resta che tapparci in casa e fare assolutamente nulla. Avendo costruito una società basata sulla dipendenza energetica e alimentare, i risultati non potevano che essere quelli catastrofici che stiamo assistendo, in cui, la gente, presa dal panico, ha svuotato gli scaffali dei supermercati, usando il denaro per tamponare la propria dipendenza. E perché siamo arrivati a questo punto? Per fare contenti i mercati che ci hanno proposto qualsiasi cosa attraverso la pubblicità, e ci hanno fatto credere che si può comprare all’infinito, senza nessun problema d’inquinamento e di esaurimento delle risorse. Ora è arrivata una crisi inaspettata, e l’intera Italia si è fermata. E questa sarebbe la sicurezza, la modernità, il progresso tanto decantato? Se i nostri Governi avessero avuto a cuore i propri cittadini, la miglior cosa da fare sarebbe stata di garantire, il più possibile, l’autosufficienza alimentare e energetica. Ma, nonostante l’Italia sia un paese dalle ricchezze immense in questi settori, siamo fortemente dipendenti sia dal punto di vista energetico che alimentare. Facciamo arrivare cibo scadente e di bassa qualità da tutto il mondo, quando in Italia, paese fertile e baciato da una posizione climatica ottima, si potrebbe produrre di tutto. Non ci sarebbe bisogno di ulteriori drammi per capire che occorre aumentare l’autosufficienza energetica e alimentare, archiviando un sistema che per guadagnare ci vuole tutti dipendenti, con i pessimi risultati che si vedono in questi giorni. Siamo cresciuti con l’idea che la soluzione di tutti i problemi fosse il denaro, più se ne aveva e più era facile ottenere qualsiasi bene materiale, un’assistenza medica di prima qualità, ma anche potere e servilismo da parte dei simili meno abbienti. Ora si scopre che una società che adora il dio denaro, alla prima crisi, crolla miseramente. Passata la buriana, non sarà il caso di rivedere tutte quelle sicurezze che si stanno dimostrando totalmente illusorie, e smettere di credere a coloro che ci dicono che il PIL deve crescere a tutti i costi? Ma quale crescita? Deve crescere la collaborazione, l’aiuto reciproco, devono crescere le soluzioni affinché tutti si possa vivere dignitosamente, salvaguardando l’ambiente e i nostri simili. Bisogna ripensare un graduale ritorno alla terra, non solo per la pura e semplice sopravvivenza, ma anche per la tutela del territorio e delle basi della vita. Si smetta di dire che non è realistico riprendere a coltivare la terra e ripopolare le campagne. L’Italia è strapiena di campagne abbandonate e cascinali che vanno in rovina, molti Comuni fanno proposte allettanti per favorire l’insediamento delle persone. Occorre smettere di cementificare per speculare, producendo edifici vuoti, ma ridare alle città spazi verdi e possibilmente coltivabili. Anche in città sarebbe auspicabile creare orti, ovunque sia possibile. Coltivare la terra non è più il massacro di fatica che ci raccontavano i nonni; con le varie tecniche e conoscenze di agricoltura biologica e naturale la fatica si è ridotta di molto e le rese non sono disprezzabili. L’inversione di tendenza è quindi inevitabile se si pensa che fino agli Anni ‘60 (non mille anni fa), le persone impegnate in agricoltura erano il 30%. Inoltre un paese pieno di sole, dalle potenzialità geoclimatiche immense, è ancora attaccato alla flebo dei combustibili fossili che generano costi enormi, inquinamento e ci tengono dipendenti dall’estero. Sarà il caso di cambiare rotta? Molti potrebbero autoprodursi l’energia che serve. Non solo ridurremmo dipendenza, inquinamento e spese ma si creerebbe lavoro nei settori che sono vitali come quelli agricoli ed energetici. Ritrovare poi il senso di comunità è la soluzione alla disperazione, alla solitudine, alla paura e senso di dipendenza. Ricostruire i legami, far rifiorire lo scambio, la conoscenza, la capacità di reagire efficacemente a cambiamenti improvvisi. Tutto questo si potrebbe fare senza limitare le libertà di nessuno, anzi esaltando le qualità e l’intelligenza di ognuno. In una situazione di paralisi totale il denaro e le carte di credito, potranno ben poco; se non sai coltivare, se non sai produrti energia, rimani con i tuoi soldi in mano senza poter farci nulla. Puoi provare a mangiarli o ad accenderci un fuoco ma non si avranno grossi risultati.

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    Ernesto Scalco
    Ernesto Scalco
    Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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