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martedì, Ottobre 8, 2024

    Sono solo un ragazzo: il mio nome è XXI secolo

     

    Sono un ragazzo di quasi vent’anni e questi primi mesi dell’anno non sono iniziati granché bene. Anzi, direi che forse non sarebbero potuti cominciare in modo peggiore. Una terribile influenza mi costringe a letto. Ho la tosse, il raffreddore, la febbre e respiro a fatica. Il mio unico pensiero è quello di rimettermi in fretta e riprendere la mia vita. Ma ora la priorità è la salute, il resto verrà dopo. Ritornerò più tardi sul mio stato di salute attuale e vorrei parlarvi della mia infanzia.

    Vi era molta aspettativa sulla mia nascita. E vi era anche del timore che si trasformò presto in paura, preoccupazione, dolore e rabbia l’anno stesso con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001, quando due aerei di linea dirottati si abbatterono su di esse provocandone il crollo. Morirono in totale quasi tremila persone tra tutti gli attentati avvenuti quel giorno. Non è stata l’ultima volta che ho sentito parlare di terrorismo, anzi se vogliamo è stato un carattere distintivo della mia breve esistenza. Come faccio, ad esempio, a dimenticare la strage avvenuta al teatro parigino Bataclan, dove il 13 novembre 2015 rimasero uccise novanta persone che stavano assistendo ad un concerto? O a non ricordare l’anno seguente, era il 14 luglio 2016 quando un autocarro si lanciò in una folle corsa lunga la passeggiata sul lungomare di Nizza investendo ed uccidendo ottantasei passanti? O ancora, qualche mese prima, il 22 di marzo, tre attacchi terroristici colpirono l’aeroporto di Bruxelles-National e la stazione della metropolitana di Maebeek/Maalbeek nella capitale belga? Le vittime furono in tutto trentadue. L’invasione dell’Iraq nel 2003, le conseguenti uccisioni di Saddam Hussein nel 2006 e di Osama Bin Laden nel 2011 mi fecero riflettere sulla guerra e le sue origini. Isis divenne un termine che ricorreva spesso nei telegiornali che guardavano i miei genitori durante le nostre cene.

    All’età di otto anni fui spettatore della più grande crisi economica e finanziaria a memoria d’uomo che coinvolse l’Occidente industrializzato, anche peggiore di quella del 1929, sia per la profondità in cui penetrò e soprattutto sia per la quantità delle persone coinvolte. È stata talmente dura che nonostante siano trascorsi dodici anni la sensazione è che non ne siamo mai realmente usciti. Certo la risalita è stata lenta e talvolta impercettibile. Come se la crisi economica fosse entrata nel nostro modo di pensare, come un virus entrato nel nostro organismo e mai più fuoruscito. Ricordo mio padre a casa durante le giornate di cassa integrazione. Era insofferente, si sentiva colpito nella sua dignità di lavoratore e di uomo, anche quando lo osservavo sulla scala intento a qualche riparazione domestica.

    Speculazione immobiliare, disuguaglianza sociale sempre più marcata, perdita del potere di acquisto degli stipendi, lenta ed inesorabile erosione del benessere dei nostri genitori, imprese che falliscono e attività commerciali che tirano giù la serranda per non riaprirla più, divennero le condizioni del nostro vivere quotidiano. Inoltre mi raccontano che con la nuova moneta, l’Euro, le cose sono andate ancora peggio. Non ricordo il vecchio conio, la Lira, sono troppo giovane per questo ma gli anziani mi dicono che con l’Euro il prezzo di ogni cosa era quasi raddoppiato dal 2000 in avanti. Un tempo l’uomo lavorava e la famiglia viveva dignitosamente, mentre ora anche con due entrate, talvolta, è un continuo sbarcare il lunario. Siamo circondati di molte più cose, soprattutto made in China, la cui maggior parte, però, non sono indispensabili per la nostra vita. Abbiamo relegato in un angolo la creatività, la fantasia, l’immaginazione che sorgeva dal poco e dalla noia per riempire il nostro tempo di fare, fare, fare girare, girare, girare ma senza avere un direzione ben chiara. Così mi dicono i nonni.

    La globalizzazione, che è per me l’unica economia che conosco, è continuamente cresciuta anno dopo anno e la delocalizzazione produttiva ha generato la diminuzione dei posti di lavoro nel comparto manifatturiero dei paesi sviluppati. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno sempre più influenzato le scelte economiche dei paesi, stabilendo le condizioni sulla circolazione dei capitali e degli investimenti in tutto il mondo. L’assenza o la precarietà lavorativa è diventata la triste realtà dei miei coetanei, che spesso decidono di trovare fortuna all’estero.

    I telegiornali della sera facevano vedere fino a qualche mese fa centinaia di uomini, donne e bambini che su barche e gommoni affrontavano una disperata traversata per mare per raggiungere le coste del mio paese. Molti morivano durante questo viaggio, chi arrivava era in condizioni pessime e non aveva nulla. Un’immagine che fece il giro del mondo fu quella di un bambino di tre anni, Aylan Kurdi, immobile e a faccia in giù sulla sabbia di una spiaggia. La sua morte divenne il simbolo del dramma dell’immigrazione. Era il mese di settembre 2015.

    Nella mia breve esistenza ho visto l’estensione delle interconnessioni nell’umanità grazie ai social media, che concedendo spazio virtuale per inserire pensieri, foto, video si sono appropriati della vita delle persone; ho visto l’uscita di un paese da un’idea di unità che forse è solo un grande desiderio; ho visto vessare dalla stessa unità paesi, colpevoli di cattiva condotta e bilanci per poi pentirsene; ho visto il potere assolutistico dei grandi finanziatori ed investitori, famelici divoratori di denaro, di natura e di individui; ho visto che qualcuno si è accorto che viviamo su di un pianeta e che non sta così bene. Insomma, sono poco più che maggiorenne ma di cose ne ho viste. Per non parlare di quello che sto vivendo. La pandemia. Chi l’avrebbe mai detto o anche solo immaginato… Solo qualche regista cinematografico. Un virus che si chiama corona per l’aspetto caratteristico dei virioni, la sua forma infettiva, e che ci costringe tutti a casa per non diffondere il contagio. Mi fermo qui perché si è detto, scritto e visto di tutto in queste settimane e il solo pronunciarne il nome mi fa estinguere ogni tipo di volontà per continuare. È vero sono solo un ragazzo e neppure in così perfetta forma nell’ultimo periodo ma sono ricco di idee. Il mio nome è XXI secolo.

    Claudio Bellezza

    ome è XXI secolo.

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