Pubblichiamo volentieri questo appello – nelle sue parti più significative -, un grido di dolore che, immaginiamo, salga anche da tutte le associazioni sportive dilettantistiche casellesi.
“Le società sportive dilettantistiche che gestiscono impianti sportivi e natatori, per lo più di proprietà pubblica in regime concessorio, sono società di capitali di proprietà privata senza scopo di lucro soggettivo. Ciò significa che i loro soci vi investono un capitale iniziale, possono essere retribuiti solo per il lavoro effettivamente svolto o addirittura ottenere solo il rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento del proprio incarico, spesso garantiscono le banche finanziatrici con il loro patrimonio personale per costruire, ristrutturare o rinnovare impianti che al termine della concessione rimangono nella disponibilità dell’ente pubblico che ne detiene la proprietà ma che non possono distribuire in loro favore l’eventuale utile di esercizio, che deve essere obbligatoriamente reinvestito nell’attività sociale e, dunque, per la promozione dello sport quale interesse primario della comunità in cui viviamo. (…) La pratica sportiva per i suoi contenuti sociali, educativi, formativi e per la sua valenza scientificamente riconosciuta di prevenzione in ambito sanitario è un diritto di tutti i cittadini e un interesse della collettività. È inoltre un metodo riabilitativo anch’esso scientificamente riconosciuto e molto efficace in favore dei soggetti più deboli e con disabilità, anche gravi. Un modo insomma per rendere loro la vita migliore in modo concreto. Tuttavia, ancorché le società sportive dilettantistiche (come le ASD) non perseguano uno scopo di lucro in senso soggettivo, esse in realtà agiscono perseguendo un criterio di lucro oggettivo, ovvero applicando il metodo economico di gestione dell’attività, in base al quale i costi debbono essere interamente e necessariamente coperti dai ricavi. Ove ciò non avvenga, le società sportive dilettantistiche divengono insolventi e sono passibili di fallimento, esattamente come tutte le attività commerciali lucrative in senso soggettivo. A fronte di alcune agevolazioni fiscali, delle quali peraltro gode ogni settore economico in modo più o meno ampio, i ricavi delle società sportive dilettantistiche sono costituiti dagli incassi estremamente calmierati perché spesso concordati con gli enti pubblici proprietari degli impianti, derivanti quasi esclusivamente dagli appassionati che svolgono attività motoria di base, in altre parole dagli incassi procurati dall’attività dilettantistica. (…) Dall’altro lato i costi che esse sostengono sono smisurati e, soprattutto, estremamente rigidi per ogni giorno dell’anno, essendo gli impianti sportivi sempre aperti per moltissime ore in ogni giornata feriale o festiva a completa disposizione del pubblico, proprio come un complesso impianto industriale a tre turni giornalieri che non può essere fermato per garantirne il ciclo produttivo, con costi cioè che non sono modulabili se non in minima parte rispetto al flusso della domanda di attività sportiva: canoni di concessione degli impianti in favore degli enti pubblici proprietari, rate dei mutui per la costruzione, ristrutturazione e rinnovazione degli impianti quasi sempre di proprietà pubblica, oneri di manutenzione ordinaria e spesso anche straordinaria degli stessi, costi dell’energia paragonabili a quelli di un’attività produttiva energivora, allenatori, personale di servizio ed amministrativo. Dal punto di vista sanitario, le SSD e le ASD devono gestire i rispettivi impianti applicando le più rigorose norme igieniche e sanitarie, sotto l’attenta sorveglianza delle autorità sanitarie locali. Ciò sempre, in ogni periodo dell’anno a prescindere da qualsiasi emergenza sanitaria. (…) Dunque le SSD e le ASD più grandi e strutturate sono operatori economici come tutti gli altri, operanti nel settore terziario, in particolare per offrire alla collettività servizi considerati di primaria importanza al pari dell’istruzione o della cultura e che tutti noi cittadini, ancorché attualmente impossibilitati a farlo a causa dell’emergenza coronavirus, amiamo fruire e speriamo di poter godere quanto prima non appena l’emergenza sanitaria sarà rientrata e sarà salvaguardato l’interesse alla tutela della salute pubblica, certamente di rango superiore rispetto al diritto all’istruzione, alla cultura ed alla pratica sportiva. Tra tutte le costituzioni occidentali, anche più risalenti della nostra, purtroppo quella italiana è una delle pochissime a non contenere un esplicito riferimento al diritto della cittadinanza alla pratica sportiva. (…)
Tuttavia, qualcosa di grave è accaduto. Allo stato attuale a causa dell’emergenza coronavirus, le SSD e le ASD più grandi e strutturate, al pari di molti altri operatori economici, non sono in grado di garantire il rispetto del metodo economico: cioè non riescono a coprire i costi di esercizio mediante i ricavi della loro gestione. Sono dunque a serio rischio di fallimento e, certamente, molte di loro falliranno. Infatti, la chiusura forzata degli impianti ha azzerato gli incassi a fronte: – del probabile obbligo di restituzione almeno parziale degli incassi già avvenuti per il periodo non goduto dagli utenti in costanza del periodo di chiusura; – di costi operativi molto vicini a quelli ricorrenti durante la normale attività. Gli unici costi che esse a malincuore hanno potuto ridurre sono quelli legati alle retribuzioni di collaboratori e personale non strutturato o dipendente fisso. In altre parole, esse hanno potuto reagire allo shock economico del coronavirus esclusivamente lasciando a casa moltissimi collaboratori e dipendenti non fissi(…), senza la certezza che, una volta cessata l’emergenza, essi possano tornare in servizio. (…) Rimangono invece da pagare i canoni di concessione degli impianti in favore degli enti pubblici proprietari, le rate dei mutui per la costruzione, ristrutturazione e rinnovazione degli impianti quasi sempre di proprietà pubblica, gli oneri di manutenzione ordinaria e spesso anche straordinaria degli stessi, i costi dell’energia, i costi dei dipendenti e collaboratori, gli oneri previdenziali e le imposte come ogni altra società.(…)
Tra i più sfortunati che hanno cessato o quasi azzerato le proprie attività fin dal 23 febbraio 2020, le SSD e le ASD più grandi sono proprio le più vulnerabili e danneggiate, e quanto descritto sopra serve a capirne il perché, a rendere cioè chiaro come mai la condizione di una SSD sia ancor più ingiustamente diversa da quella di un diverso operatore economico, pur sfortunato a causa dell’emergenza coronavirus, che gestisca ad esempio un cinema, una discoteca, un albergo, un’agenzia di viaggio o un tour operator. Innanzitutto perché le SSD e le ASD sono tra le poche (ad esempio insieme alle società che gestiscono sale cinematografiche o discoteche) a cui la chiusura è stata imposta per ordine dell’autorità, quando ad altri soggetti, del pari se non più pericolosi dal punto di vista igienico e sanitario, è stato concesso di continuare ad operare. Forse il mercato avrebbe gravemente abbattuto gli incassi ad ogni modo, così come è capitato ad albergatori, tour operator e agenti di viaggio, ma sicuramente l’azzeramento per legge è un’altra cosa. Inoltre perché una SSD o una ASD, non potendo istituzionalmente perseguire un lucro in senso soggettivo, ha quale unico scopo quello di coprire i costi attraverso i ricavi e di reimpiegare per la pratica sportiva le poche riserve disponibili che consentono di formare le tariffazioni calmierate imposte dagli enti pubblici proprietari degli impianti e generalmente praticate per la collettività. Cioè perché una SSD o una ASD ha strutturalmente poco ossigeno per sopravvivere. Va infatti ricordato che i soci delle SSD né tantomeno gli associati di una ASD mai hanno potuto prima d’ora portare a casa alcuna remunerazione del capitale investito. Non si può dunque chiedere loro di reinvestire quanto guadagnato in passato, semplicemente perché anche in periodi migliori a loro la legge già vietava di fare qualsiasi guadagno. Questa è la caratteristica fondamentale che contraddistingue le SSD e le ASD più grandi anche da chi gestisce sale cinematografiche o discoteche e rende unica la loro vulnerabilità in questa grave situazione igienico-sanitaria in cui versiamo, la quale già ha assunto le vesti della crisi economica e che, a questo punto, per le SSD e le ASD più grandi possiamo considerare già irrimediabile sia per il presente, che per il futuro. Considerato tutto ciò, cosa chiedono le Associazioni Sportive? Premesso dunque che il sistema sportivo italiano formato da SSD e ASD è ampiamente virtuoso, seppur imperfetto su alcuni punti, ed ha permesso di raccogliere grandi risultati nell’attività motoria di base e grandiosi risultati sportivi noti a tutti, sostituendosi così alle istituzioni nel relativo ruolo formativo ed educativo, e premesso altresì che la categoria, a differenza di altre (come quella degli albergatori) non è dotata di alcuna rappresentanza sindacale di riferimento che possa far valere la propria voce nei confronti di Governo ed istituzioni, i proprietari di SSD e gestori di ASD più grandi e strutturate rivolgono i seguenti appelli. 1) Alle istituzioni statali e regionali la parità di trattamento con gli altri operatori economici che dall’inizio dell’emergenza in data 23 febbraio 2020 fino al 7 marzo 2020 è stata loro negata, irrimediabilmente. Ciò sfocerà in giuste richieste di risarcimento ove fosse riscontrato che l’agire della Pubblica Amministrazione non sia stato improntato al giusto rispetto dei principi di sana e corretta amministrazione ma, soprattutto, di parità di trattamento. Per tale motivo, verrà presto fatta formale istanza di accesso agli atti amministrativi adottati durante queste settimane di emergenza coronavirus tanto dal Governo che dalle Regioni interessate, così da poter valutare se qualche errore sia stato fatto e, di conseguenza, se possa sorgere per le SSD o le ASD più grandi e strutturate qualche diritto al risarcimento del danno. 2) Da oggi in poi, un aiuto concreto dal punto di vista economico. Se le SSD o la ASD di maggiore entità falliranno per effetto della crisi da Covid-19, al termine dell’epidemia non vi sarà più alcun soggetto in grado di riaprire gli impianti sportivi e natatori pubblici (ciascuno del valore di svariati milioni di euro) a servizio di tutta la collettività e dei più deboli in particolare. Se si vuole evitare ciò, occorre che nel frattempo le SSD e le ASD più strutturate siano messe nelle condizioni di sopravvivere e non fallire. Occorre molto concretamente che:
– i Comuni proprietari degli impianti in questo periodo rinuncino definitivamente ai canoni concessori;
– i lavoratori delle SSD e delle ASD siano sostenuti con ammortizzatori sociali ad hoc che vanno da zero creati per decreto legge urgente in loro favore, visto che quelli già esistenti per gli altri lavoratori non sono loro applicabili;
– sia disposta una moratoria medio-lunga del rimborso del capitale delle rate dei mutui legati alla costruzione, ristrutturazione o rinnovamento di impianti di proprietà pubblica, con accollo ex lege da parte degli enti pubblici proprietari degli interessi passivi che nel frattempo matureranno;
– sia concesso un adeguato allungamento dei periodi di concessione degli impianti di proprietà pubblica, così da permettere un adeguato ristoro al danno già subito dai gestori;
– sia concesso un allungamento adeguato per gli ammortamenti di bilancio, fin dall’esercizio in corso, per evitare che i bilanci di esercizio 2020 delle SSD si chiudano in stato di insolvenza;
– sia offerto un contributo per il pagamento delle utenze energetiche fino a quando sarà possibile, si spera, riattivare i flussi di cassa una volta cessata l’emergenza;
– questa sia l’occasione per una revisione radicale, financo di rango costituzionale, del quadro normativo in cui sono costrette ad operare le SSD e le ASD, che l’emergenza coronavirus ha dimostrato essere inadeguato alla prima difficoltà, ciò non certo per garantire guadagni ai proprietari di SSD o a agli associati delle ASD ma per permettere al meglio la promozione dell’attività sportiva, soprattutto per la stragrande maggioranza delle discipline “non ricche” che tuttavia la cittadinanza tanto ama. Questo è quello che chiedono i titolari di SSD ed i gestori delle ASD più grandi e strutturate. Chiedono insomma di non far morire loro, e con loro tutto il settore economico sportivo che, si crede, tutta la cittadinanza non vede l’ora di riattivare non appena l’emergenza sarà cessata. Bisogna però agire concretamente ed al più presto. Per ogni SSD o ASD fallita a causa del coronavirus, ci sarà un impianto sportivo non più fruibile, molto a lungo, per la collettività, cioè per noi tutti, per i nostri figli, per gli anziani, per i nostri disabili, insomma per un terzo degli italiani (questo è il numero dei praticanti sportivi nel nostro Paese), anche quando il Coronavirus più non ci sarà!
Viva l’Italia, viva lo sport italiano, che è lo sport di tutti gli italiani.
Questo documento è stato predisposto e redatto da: Avv. Giovanni Posio, Notaio in Brescia, socio dello “Studio Notarile Associato CPV” (www.notaicpv.it); con il supporto e la revisione di: Giorgio Lamberti, Simone Bianchini, Marco Del Bianco, Luigi Vescovi, Danilo Vucenovich.