Ci abbiamo provato

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Ci abbiamo provato, sicuramente cercando di fare del nostro meglio, solo che è stato improvviso altrettanto quanto l’arrivo del virus. La scuola è online. Inutile dire che , con tutte le ragioni del caso, questo cambio di direzione ci ha colti impreparati.

L’istituzione è stata letteralmente travolta, in ogni ordine e grado: intanto il “come” fare, dopo l’ordine di proseguire la didattica a distanza, quindi riunioni improvvisate per accordarsi, con Skype, con Zoom, anche WhatsApp, per riprogrammare questi mesi rimasti. All’inizio è stato un “arrangiatevi come potete”. La domanda è: quali avrebbero dovuto essere le direttive? In pratica, quali ordini per evitare le ovvie iniziative personali?

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Didattica a distanza vorrebbe dire parlare tutti una stessa lingua, con gli stessi programmi e piattaforme, naturalmente saperli utilizzare, ed altrettanto chiaramente avere in casa PC, portatili, notebook  con telecamere, microfoni, ed anche una linea capace di reggere un carico di dati cresciuto spaventosamente e spesso rallentata. In tanti, sia insegnanti sia studenti e famiglie, hanno solo il cellulare, magari di ultima generazione ma inutile per lavorare.

Ho fatto un piccolo giro di orizzonte: Skype, Spike, Icq, Jtsi, Tox, Viber, Facebook, WhatsApp, giusto per comunicare cosa fare nell’immediato; la confusione totale, il panico per doversi mettere lì ad imparare, tutti, ad utilizzare applicazioni mai nemmeno sentite, a seguire tutorial tipo quelli di Riconnessioni, Webinair, o altri su YouTube per intenderci, e cominciare a prendere dimestichezza con programmi tipo Power Point, Paint, Word, GMail,  e molti altri, e di conseguenza scaricare, installare, creare account e iscrizioni a cose delle quali forse conoscevamo solo il nome, con conseguenti password, accessi o registrazioni e codici da ripetere e difficoltà crescenti e crescente stress.

Inutile dire che ognuno, da casa, ha fatto e fa ancora ciò che può, ciò che riesce.

Le conseguenze si sono viste subito: insegnanti perennemente al computer di casa e studenti davanti al PC o ai loro device, e i più piccoli continuamente seguiti dai genitori, che, per coloro che lavorano da casa, vuol dire utilizzare i computer, i tablet, divisi tra le varie esigenze di studio e di lavoro, praticamente a tempo.

Così c’è chi ha iniziato a scambiare i compiti, i filmati, le lezioni, su Classroom Meet, altri su Zoom, e chi su WeSchool, o G Suite, Calendar; ovviamente lo strumento più adatto è apparso il Registro Elettronico, seppur un po’ lento, con i suoi inceppamenti, l’impossibilità di accedere dopo la mezzanotte (qualcuno mi spiega il perché?), aggiungerei macchinoso ma almeno è stato un riferimento.

Tutti, nessuno escluso, hanno improvvisamente dovuto fare un salto tecnologico enorme: quanti compiti, quante schede fotografate alla bell’e meglio: WhatsApp almeno è servito se non altro molto più del semplice scambio di stupide catene di Sant’ Antonio. E quante mail, da gestire, ordinare con i compiti da correggere e registrare e salvare sul pc. Si facciano avanti i denigratori del vecchio caro case nero che asserivano fosse uno strumento superato ed inutile! Batte il cellulare 10 a 0.

 Un lavoro enorme, per gli insegnanti e le famiglie.

In particolar modo per i bambini più piccoli: i genitori, a volte i nonni, hanno dovuto seguire figli e nipoti in modo ancora più serrato., e con tutti i problemi di questo periodo, compresi quelli di attenzione e di disciplina.

La didattica a distanza non si improvvisa: inutile cercare le colpe, le responsabilità per un qualcosa di inaspettato. Ci sono problemi irrisolvibili, e questo è uno di quelli. Altrettanto grande quanto quello del rientro a Settembre: quale sicurezza è possibile nelle nostre scuole? Quale distanziamento sociale può essere imposto e garantito con bambini sotto ai dieci anni? Si dovranno scomporre le classi e organizzare spazi oggi inesistenti? Il mio timore è che a inizio anno, verrà consegnata una lista di obblighi per l’insegnante, con la quale gli verrà caricata sulle spalle la responsabilità della salute dei bambini, anche per quanto riguarda la possibilità del contagio. Se così fosse, ancora una volta la burocrazia si sarà manifestata in tutta la propria stoltezza.

 

 

Luciano Simonetti

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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