Il diario “allappante” di Riccardo Milan

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Riccardo è Riccardo Milan, professore, blogger e giornalista, con casa sul lago d’Orta. Professore della scuola alberghiera “Erminio Maggia” di Stresa. Blogger con il blog di enogastronomia Allappante.it.  Giornalista, direttore della rivista “Paese Mio” delle Pro Loco del Piemonte, è consigliere nazionale UNPLI.  Ed è tramite UNPLI e il mondo dei giornali delle Pro Loco, che Riccardo è diventato nostro amico ed attivo partecipante agli annuali incontri GEPLI.

Nei mesi scorsi, Riccardo ha vissuto sulla sua pelle la tragedia Covid, perdendo, in poche ore, il 21 marzo, due stretti congiunti, e vivendo lui stesso l’esperienza della malattia. Dopo la forzata interruzione nel mese di aprile, ecco una nostra selezione di alcuni post pubblicati su Allappante.it, a maggio, dopo la guarigione.

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Diario “allappante” di Riccardo

Bentornato(i)

Chiedo scusa ai miei pochi lettori, ma sono stato assente per “cause di forza maggiore”, come si dice: lutti e malattia hanno caratterizzato questi mesi d’inizio primavera. Ora sono ancora a casa, da alcuni giorni; un po’ frastornato, lo ammetto. E neanche così sicuro che le passioni di ieri saranno quelle di domani. Ma da qualche parte si deve ricominciare.

Comincio a dire che mangiavo a caso e bevevo birra fresca, quando ero ammalato; ho mangiato bene, misurato, nel mese di ospedale: menù, prendo a caso (li stampavano e te li davano con il pasto): Zuppa di verdura, Frittata alle verdure, Purè di patate, Frutta fresca e Pane; oppure Riso e bisi, Arrosto di maiale al limone, Insalata di stagione, Frutta fresca e Grissini; Minestrone alla milanese con pasta, Spezzatino manzo, Carciofi trifolati, Frutta fresca e Grissini… tutto poco condito, anzi nulla. Da bere acqua. Con o senza gas. A Pasqua menù ricco: Insalata Nizzarda, Lasagne alla bolognese, Arrosto di pollo ripieno con asparagi e Patate al forno. Da bere, un bicchiere di vino bianco caldo da una bottiglia che mi hanno fatto arrivare in ospedale (il vino bianco caldo dimostra subito i difetti).

Ora sono a casa, bevo e mangio poco. Soprattutto verdure. Attendiamo il domani.

 

 


Il primo vino dopo

Nei giorni del dopo Covid 19, a casa, in auto isolamento, nonostante la negatività… arriva Alberto e ci accomodiamo in cortile. A debita distanza. In mezzo una bottiglia di vino su un tavolino improvvisato. Buona. Per festeggiare il mio ritorno. Una bottiglia importante. Per me, perlomeno. Ma anche Alberto ha apprezzato.

Si ritorna alla normalità, piano piano.

 

 

Addio camerieri

Mi spiace, perché mi sono simpatici e trovo facciano un bel mestiere. Ma i camerieri devono sparire. Intendo quei camerieri che portano vassoi e servono l’ospite seduto a tavola. Mentre servono, parlano al cliente ed il cliente risponde. In mezzo il cibo che si cosparge di goccioline di saliva: oggi è il Covid e domani chissà. Ma poi la gente ha finalmente capito che quando si parla si sputacchia. Prima, forse, non ci pensava, non ci faceva caso. Il futuro sarà dunque il servizio impiattato e coperto, al meglio. O solo impiattato. In alternativa, il vassoio centrale e il servizio autogestito dai clienti (grande spreco). Il cameriere sarà un portapiatti ma anche un sommelier, di vino, di acqua, di olio, di aceti, di birra… un venditore (forse, ma non classico). Forse, perché la comanda la farà direttamente il cliente, al tavolo, con il suo cellulare o il tablet aziendale. Il cameriere dovrà curare la proposta del menù, avere competenze di grafica, minime, correttezza ortografica e lessicale (l’arancio non si spreme né si usa in cucina, per fare un esempio), una infarinatura di marketing; avere buon gusto ed originalità nel sistemare la tavola e il centrotavola; gestire la sala: arredi, quadri, spazi… Il professionista di sala smetterà di essere cameriere. Oppure sarà solo un portapiatti. Alternative, in mezzo, non ne vedo. Sbaglio?

 

 

 

Vita da reduci

La mia famiglia è reduce dal Covid 19. Essere reduci comporta una serie di riflessioni sul senso della vita, sulle priorità della stessa; poi dolore intimo per i tuoi cari che non ce l’hanno fatta; ed infine un curioso modo con cui il mondo, non proprio il tuo, ma i tuoi mondi satellitari ti approcciano.

Da una gran parte grande affetto. Direi commovente: durante e dopo. Tanto, bello… Però…

Però uscito dall’ospedale, molti ti scansano: pensano che tu sia ancora infettivo. Lo trovi divertente e non provi neppure a spiegare ed almanaccare i prelievi, le visite diuturne, le lastre, il doppio tampone negativo… la gente ti sta lontano e tu comprendi e non ti arrabbi. Accetti. Però…

Però, qualcuno comincia chiederti a quando risale il primo accenno di malattia, per fare dei calcoli (Noi ci siamo visti quando?). Nella maggior parte dei casi, pura matematica, perché tutti sanno che dopo un paio di settimane o sei asintomatico o sei negativo. Rari i primi e numerosi i secondi. Però…

 

Alloro senza gloria

Ho tagliato l’alloro di mio padre. Troppo alto e troppo ampio. Mio padre lo aveva piantato per avere foglie fresche. Lui era un mangiatore di carne: bolliti e brasati in primis. E lo usava. Io mangio poca carne, una volta alla settimana, e quasi sempre al ristorante. A casa imperano le verdure, i carboidrati. E mi capita sempre più spesso di accompagnarmi con gente che si dichiara vegetariana, vegana, riduzionista… Cosa farsene allora di una pianta di alloro? Nulla e infatti l’ho tagliata. I tempi sono cambiati. Mio padre mangiava carne tutti i giorni, mattina e sera. La sua generazione, nata nella fame della Guerra, aveva imposto il pranzo stile ricco quotidiano: pastasciutta, fettina ed insalata. La domenica, poi, spazio alle tradizioni familiari. I nostri ravioli o pasta in brodo, bollito con verdure cotte, strudel per finire. L’alloro non era per loro simbolo di gloria, ma ingrediente del loro menù “scaccia ricordo della fame”.

Ma le abitudini cambiano: perdonami papà!

 

#insiemealristorante

Io l’ho detto subito: chi può ora vada al ristorante, al bar, nei negozi… Chi ha i soldi aiuti chi li ha persi. Sia generoso. Metta su un chilo con l’ottimo cibo, il buon vino, le birre artigianali, l’olio vero, formaggi dei pastori… insomma, spenda con cervello ed aiuti.

Condivido in pieno, dunque, l’iniziativa dell’ICS, agenzia di comunicazione che lavora con molti ristoranti: andiamoci!

Ecco il comunicato:

18 maggio 2020: l’Italia è ripartita con il coraggio di chi ci crede, di chi ha volontà da vendere, di chi ha scoperto la fragilità e ha capito che tante fragilità, insieme, sono una grande forza.
Ci siamo rimessi in movimento con un affettuoso e doloroso pensiero per chi non c’è più, tanti … troppi, per tutti coloro che soffrono, che non hanno lavoro, che fanno fatica a fare la spesa, che non riescono a riaprire.
Siamo ripartiti convinti che ognuno con il proprio impegno può fare qualcosa di utile per gli altri.
Noi ci occupiamo di comunicazione, nel settore della ristorazione in particolare, e vogliamo provare a dare il nostro piccolo contributo con un’idea semplice: se possiamo, andiamo al Ristorante. È sicuro ed è un gesto sincero, forte, per dare fiducia e sostenere il mondo della ristorazione.
Il nostro impegno è quello di far crescere questa idea, di comunicarla, coinvolgendo tutti i nostri contatti per diffondere quanto più possibile questo modo concreto e piacevole di stare vicino ai Ristoranti italiani.

 

 

A fan…lo i complottisti

Giuro che se ne trovo uno sulla mia strada lo insulto. Diffondere in rete notizie e credulità false sul numero di morti per Covid 19 è un insulto a chi è morto davvero! E a chi è sopravvissuto… Dire che il Governo ha esagerato coi numeri, per poter porre in essere un diabolico piano teso ad impoverire una parte della popolazione (chissà poi perché?), a controllare la popolazione stessa (anche qui, perché?), insomma, un piano diabolico (magari da sventare con nuove elezioni, pensa un po’!). Sono in tanti a dirlo (o magari pochi e tante chatbot) ed usano schemini falsi, frasi fatte etc etc etc.

Io in ospedale ci sono stato e ho sentito molte storie, ho visto molte storie. La mia famiglia è stata infettata e due dei miei sono morti, soli in un letto di ospedale. I loro corpi sono stati chiusi in una grossa busta (una body bag, all’americana), stagna e disinfettata, non li hanno vestiti, poveri resti infetti… in tre ce l’abbiamo fatta. Ecco, non soffro della rabbia dei reduci, non ho rivendicazioni e non mi sento migliore di altri.

Ma di fronte alle menzogne, mi monta la rabbia e mi verrebbe voglia di mollare due schiaffoni…

Scusate lo sfogo.

                                                                                                             

Riccardo Milan (dal blog www.allappante.it)




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