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venerdì, Aprile 19, 2024

    Non dimenticare di ricordarsi del presente

    In questo periodo assolutamente unico per noi tutti, un aspetto che è apparso con ogni evidenza possibile è il susseguirsi di informazioni, persino contrastanti tra loro, che ci ha coinvolto. Sia dal punto di vista delle disposizioni politiche, sia dal punto di vista delle misure economiche sia, soprattutto, da parte della comunicazione scientifica o pseudoscientifica, è parsa talvolta tracciata una linea poco marcata che ha provocato più confusione che chiarezza.

    Due attributi specifici della disciplina storica sono l’autenticità e il grado di completezza dell’informazione che viene tramandata, e che derivano strettamente dall’autenticità e dal grado di completezza della fonte. Le fonti storiche hanno un paio di criticità che è compito dello studioso dirimere per renderle il più affini alla realtà. Mi riferisco di solito alle epoche passate, dove la scoperta successiva di reperti o di documenti ha stravolto l’interpretazione di alcuni eventi, data fino a quel momento per assodata. Legata a questa e più specificatamente attuale ma altrettanto fondamentale, è la seconda caratteristica ovvero l’autenticità della fonte. Spesso si traggono conclusioni e si agisce prendendo per consolidata un’informazione falsa. Lo facciamo tutti, chi più, chi meno. Sono quelle che sono conosciute oggi come le fake news. Storicamente esiste anche una corrente di pensiero, il negazionismo, che arriva a negare persino l’esistenza dei campi di concentramento nazisti. Nella prefazione della sua opera più famosa “Il Secolo Breve” lo storico britannico Eric J. Hobsbawm scrisse “quando lo storico del nostro secolo si avvicina a trattare l’attualità, diventa sempre più dipendente da due genere di fonti: da un lato la stampa quotidiana e periodica, dall’altra le relazioni periodiche, le rassegne economiche e di altro tipo, le compilazioni statistiche e le pubblicazioni di vario genere edite dai governi dei vari paesi e delle istituzioni internazionali”.

    Un altro tema che ricorre sovente è che la storia venga scritta dai vincitori. Un esempio che viene citato frequentemente è quello della guerra fredda, dove all’indomani del disfacimento del blocco sovietico la contrapposizione tra le due visioni economiche, politiche e sociali viene posta come lo scontro tra i buoni, gli occidentali filoamericani, ed i cattivi, i sovietici appunto. È indubbio che chi si pone come forza egemone sviluppa un’influenza nel tramandare una versione dei fatti, ma è compito dello storico ricostruire gli eventi il più possibile scevri da ideologie.

    Pietro Ratto, scrittore e professore di storia, sottolinea proprio questo aspetto: ognuno a suo modo è allo stesso tempo condizionato e condizionante. Ma va più in profondità sostenendo che chi realmente ha avuto un ruolo da protagonista nello scrivere la storia siano coloro che hanno avuto la capacità di rimanere anonimi; che i nomi conosciuti di politici, di sovrani e dei condottieri non sarebbero altro che attori di successo la cui regia viene condotta da personaggi, famiglie e gruppi ben più potenti ed influenti.

    Harari, innovativo storico israeliano, invece ci suggerisce di avere un approccio storico sui processi che riguardano l’umanità, operando una vera e propria trasformazione del concetto di sviluppo storico. La storia è comprensibile solo se si approfondiscono le ragioni che hanno spinto l’uomo a passare da cacciatore e raccoglitore ad allevatore ed agricoltore. Ovvero ciò che lo ha spinto da una vita nomade legata allo spostamento naturale degli animali e alla stagionalità della natura alla sedentarizzazione, provocando la nascita delle prime comunità e la suddivisione sociale dei ruoli. Oppure, più vicino ai nostri giorni, che cosa ha costretto l’uomo ad abbracciare il sistema economico capitalistico e della produzione di massa e il conseguente passaggio da una rivoluzione industriale ad una rivoluzione tecnocratica. L’abbandono di una storia tradizionale nella quale regnano nomi altisonanti, date ed eventi epocali è evidente. Questo metodo in realtà non è nuovo. Marc Bloch con la rivista Les Annales aveva già posto la questione, anche se in modo differente. E se la storia che conta non fosse, o non fosse unicamente, quella di Carlo V, Vittorio Emanuele III o Donald Trump ma fosse quella delle persone comuni, dal contadino, dell’operaio o dell’impiegato del ceto medio? Anche qui, niente nomi altisonanti ma il semplice vivere quotidiano dell’uomo ordinario, con le sue abitudini, i suoi desideri, i suoi vizi e le sue virtù.

    Nella società di oggi, invece, c’è ancora un altro sistema a cui fa riferimento lo stesso Pietro Ratto, ma anche l’economista premio Nobel per l’economia nel 2001 Joseph E. Stiglitz, per i quali per comprendere la realtà dei fatti storici e delle decisioni che hanno provocato determinati eventi è fondamentale interrogarci sui poteri forti ed oscuri della società, i colossi della finanza internazionale, le potenti famiglie di banchieri, le multinazionali farmaceutiche e i loro interessi multimilionari, i custodi dei big data, le aziende del digitale.

    Tutto questo discorso per giungere alla fine alle vere ed uniche domande: la storia può essere considerata insegnante alla luce della sua origine non sempre pura, e quanto l’essere umano è in grado di essere uno studente appassionato e preparato? Sono domande che possiamo ribaltare sulla nostra semplice quotidianità: quanto siamo in grado di decifrare ciò che ci sta intorno in modo obiettivo e per quanto sia possibile non condizionato, e quanto siamo capaci di apprendere e mettere in pratica dai nostri errori? Fondamentalmente ci dovremmo interrogare quanto la memoria e il passato possano essere considerati delle risorse a cui attingere per vivere il presente. Perché talvolta gli eventi trascorsi hanno bisogno più di essere dimenticati che essere ricordati per non divenire àncora.

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