L’umanità farà la fine della rana bollita?

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È arrivato il grande caldo, improvvisamente ci troviamo a boccheggiare, mentre  poche settimane prima  eravamo tentati di riattivare il riscaldamento in casa. Chi si occupa di ambiente conosce la storiella della rana che, messa in pentola con l’acqua inizialmente fredda si trova perfettamente a suo agio e non s’accorge del fuoco acceso sotto, nemmeno molto dei mutamenti lenti di temperatura; quando la situazione si fa drammatica, è così indebolita e incapace di reagire che finisce bollita. Nessun esempio risulta più calzante per l’umanità, che si comporta esattamente come la rana. Assistiamo a vere emergenze e disastri climatici che dovrebbero farci schizzare immediatamente fuori dalla “pentola” e invece, seppure rigorosamente muniti di mascherine e disinfettanti, ce ne rimaniamo immobili. In Siberia, all’interno del circolo polare artico, si sono toccate in questi giorni temperature di 38 gradi: la sola notizia dovrebbe terrorizzarci, altro che coronavirus… E invece la notizia passa in ultimo piano: a noi mica interessano queste sciocchezze per ambientalisti… Così, dopo le ventimila tonnellate di gasolio sversate nel fiume Ambarnaya della stessa Siberia, e gli incendi apocalittici dello scorso anno, si profila una situazione che definire drammatica è molto riduttivo. Ma l’umanità non sta facendo nulla per fermare la più grave delle catastrofi, si avvia verso la bollitura assicurata. Gli esperti ci dicono che assisteremo passivamente a reazioni a catena di dimensioni che vanno al di là di ogni immaginazione e che anno dopo anno saranno sempre più devastanti. Aspettarsi che chi detiene il potere economico e politico intervenga con decisione, è pura fantascienza. Questi soggetti, con tanto di media inginocchiati al seguito, fanno finta di fare qualcosa, si tingono di verde invitando Greta Thunberg, fanno proclami altisonanti, ma sanno perfettamente che invertire la rotta significa perdere potere e denaro, e questo non lo accetteranno mai. Piuttosto rimarranno incollati alle poltrone e abbracciati alle casseforti mentre colano a picco, ma di sicuro non molleranno la presa. Il sistema di crescita e rapina è ormai alla deriva, in lotta costante con natura e persone per cercare di sopravvivere ad ogni costo. Sul riscaldamento climatico le notizie sono sempre drammatiche, ma non hanno mai il risalto che meritano. La stampa sta venendo meno al suo compito, quello di informare, di aiutare le persone a capire, a prendere posizione. Tutti siamo colpevoli della crisi climatica e del suo aggravarsi, non solo i ministri che dovrebbero decidere dei tagli ai sussidi dannosi e alle emissioni, e che dovrebbero avviare grandi campagne educative per invogliare al risparmio energetico e il rispetto dell’ambiente. Sono stati pubblicati dei rapporti, molto qualificati, che dimostrano come le emissioni di gas serra continuino a crescere e come non ci sia segno di arresto. A meno che non si facciano interventi tre volte più drastici di quelli già previsti dall’Accordo di Parigi, la distruzione è certa e progressiva del nostro habitat, del nostro modo di vivere e delle nostre stesse esistenze. Lo ha detto chiaramente anche il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, che da tempo lancia appelli, per lo più inascoltato dai nostri giornali; ha detto letteralmente che il tempo è veramente pochissimo e il punto di non ritorno è vicino. Giornalisticamente, sarebbe la più grande notizia. È come se un gruppo di scienziati avesse detto che un enorme asteroide sta per colpire la Terra e i giornali non ne parlassero. Parlano di riforma del sistema elettorale, di quello fiscale, assurde beghe politiche, fatti di cronaca: cose che mai dovrebbero finire in prima pagina al posto della “notizia”, cioè quella che il mondo sta collassando. E ripeto, non in senso metaforico, ma reale, perché questo è quello che dicono i dati, così come le migliaia di scienziati che ormai non hanno più voce per gridarlo, così come le Ong che lavorano nei paesi più colpiti, così come i nostri stessi occhi non possono ormai negare. Per far rimanere acceso qualche lumicino di speranza, occorre costruire un sistema completamente nuovo che renda il vecchio non solo obsoleto, ma anche sgradevole. Che senso ha continuare a sfruttare sino alle ultime briciole le risorse del pianeta Terra? Sarebbe necessario fare rinascere territori abbandonati, ove applicare il più possibile sistemi di autosufficienza energetica e alimentare, costruendo economia e società alternative, non basate sull’impossibile crescita infinita di un pianeta dalle risorse finite, ma sulla salvaguardia di persone e ambiente. Ridurre gli sprechi in tutti i campi, aiutarsi e cooperare piuttosto che competere, laddove non c’è nessun vincitore ma solo perdenti. Utopia? È la sola realistica e fattibile strada da percorrere. Uniamo forze e capacità per costruire l’alternativa, basta chiacchiere, basta inutili e sterili dibattiti, basta a convegni internazionali chiedendo di agire a chi non lo farà mai. È ora di mobilitarsi in prima persona, aspettare e delegare la propria vita e le proprie scelte partorisce solo mostri.

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Ernesto Scalco
Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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