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martedì, Marzo 19, 2024

    Uno strumento per volta:  le percussioni

    Dalla Filarmonica Cerettese

    Con questa puntata interrompiamo la narrazione relativa agli strumenti a fiato per introdurre degli strumenti del tutto diversi ma non meno importanti per la banda: le percussioni e, in una successiva puntata, la batteria. Verrebbe voglia di trattarli tutti assieme ma lo spazio non sarebbe sufficiente. Ci stiamo inoltrando in un mondo veramente sterminato, pur limitandoci alle sole tipologie presenti in banda.

    Di nuovo partiamo prima dal musicista. Il percussionista da concerto è un tipo veramente serio, non è un mattacchione (del batterista ne parleremo la prossima volta). Teso, concentrato, non ride mai, non può sbagliare letteralmente un colpo. Un singolo colpo di piatti o di triangolo è decisivo per la riuscita del brano: una incertezza sarebbe fatale. Gli anni di studio e l’allenamento quotidiano non sono minori di quelli degli altri strumentisti; il solfeggio è il suo pane quotidiano e le sue partiture sono incredibilmente complicate. Non facciamoci ingannare dai movimenti teatrali che a volte esegue, non lo fa per esibirsi. Prendiamo come esempio l’ampio gesto delle braccia sopra la testa per il colpo di piatti: questa posizione è funzionale a far espandere il suono con un effetto di riverbero al di sopra degli altri strumenti per arrivare fino al pubblico. Cosa simile per il movimento altalenante delle mazze sui timpani.

    Per orientarci in questa giungla di strumenti è necessaria qualche classificazione e precisazione terminologica. Già la parola stessa percussioni è imprecisa; a seconda dell’oggetto anziché il movimento di percussione ci può essere invece lo sfregamento, lo scuotimento, la rotazione …

    Nella classificazione classica degli strumenti (Hornbostel-Sachs) troviamo qui due categorie: gli idiofoni ed i membranofoni. Per idiofono si intende uno strumento che risuona con tutto il proprio corpo (“idion” in greco significa sé stesso) ad esempio un piatto, mentre membranofono è uno strumento come il tamburo nel quale il suono è prodotto percuotendo una membrana tesa su un fusto. Un tempo le membrane erano tutte di pelle di animale quindi ancor oggi vengono in generale definite “pelli” anche dove si usa ormai esclusivamente materiale sintetico.

    Un’altra distinzione importante è tra strumenti a suono definito, che esprimono l’altezza di una nota musicale (come la campana) e quelli a suono indefinito che producono un rumore di altezza non precisabile. La distinzione non è sempre netta in quanto possiamo dire che le percussioni hanno quasi tutte una loro intonazione e per questo vengono prodotte in diversi formati, misure e modelli. La tensione della pelle di tamburi è regolabile in modo da ottenere il tono desiderato e nel caso dei timpani hanno un pedale che consente la modulazione durante l’esecuzione.

    Gli strumenti a timbro definito più facili da riconoscere sono quelli i cui pezzi costituiscono una tastiera come i tasti bianchi e neri del pianoforte. Parliamo dello xilofono con placchette di legno (in greco “xylo”) e del vibrafono con placchette di metallo e del suo fratello minore glockenspiel (foto) che essendo portatile è utilizzabile anche in marcia. Con questi strumenti il percussionista può suonare melodie complete su un arco di più ottave utilizzando due ed a volte anche quattro bacchette. Non a caso i virtuosi di questi strumenti sono normalmente anche dei buoni pianisti.

    A questo punto, per fare ordine, raggruppiamo i principali elementi di questa sterminata famiglia per funzionalità.

    Per il ritmo e per il rinforzo sonoro:

    • i tamburi da batteria (rullante, tom, cassa) o individuali (chiaro militare, grancassa, tamburi storici, tamburi etnici) o a coppie (congas, bongos, timbales)
    • i grandi timpani da concerto
    • la coppia di piatti, i piatti singoli, il gong
    • il triangolo
    • i tamburelli a sonagli con membrana (tamburo basco) o senza
    • altri strumenti a sfregamento (washboard, güiro) o a scuotimento (maracas)

    Per la melodia:

    • xilofono, marimba, vibrafono e glockenspiel
    • campane tubolari e campanelle

    Per generare gli effetti di ambiente, si utilizza inoltre un disparato numero di oggetti che consentono ad esempio di mimare la pioggia (con della sabbia che scorre in un lungo tubo di legno), di produrre il ciack secco di un fulmine, di imitare il verso di animali. In un concerto abbiamo assistito anche all’uso di una vera incudine sulla quale il percussionista batteva il martello per evocare l’atmosfera di una fabbrica.

    Nella musica classica e operistica l’aggiunta del “frastuono” di piatti e triangoli, di grancassa e timpani avviene da parte dei compositori dell’Ottocento per dare corpo e colore alla musica sottolineando i crescendo e i fortissimi. Diviene comune l’espressione “alla turca” o “turcherie” per le sonorità delle percussioni di tipo metallico importate dal vicino oriente. Quell’oriente misterioso che tra l’altro è di gran moda nella letteratura dell’epoca (Gerard de Nerval, Lord Byron, Pierre Loti). L’uso ai fini della ritmica si affermerà maggiormente nel Novecento con le contaminazioni con altri generi musicali.

    Invece nelle nostre bande un rullante in testa ed una grancassa in coda sono immancabili per scandire il passo nelle marce e processioni e sono lo spasso dei bambini incuriositi. Nei concerti “seduti” le bande si sbizzarriscono tra i diversi generi musicali ed in ogni brano torna utile tutta la abilità e polivalenza dei percussionisti. Avrete notato che tra un brano e l’altro questi si muovono rapidissimi per recuperare altri strumenti e si scambiano il posto ed i ruoli per affrontare il nuovo pezzo. E talvolta troviamo nella sezione ritmica qualche musico esperto che lascia da parte il suo trombone o il suo flauto per dare una mano ai più giovani e si accolla la grande responsabilità di non sbagliare e non far sbagliare gli altri.

    Un appello finale: ragazze e ragazzi venite a suonare in banda e scegliete le percussioni, di bravi percussionisti non ce ne sono mai a sufficienza!

     

    Luigi Chilà

     

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    Filarmonica Cerettese
    Filarmonica Cerettese
    Classe 1958, ex dirigente di azienda, torinese di nascita, ho una famiglia che unisce Sud e Nord, Italia ed Europa. Mi sono diplomato al liceo classico ed ho conseguito la laurea in Economia a Torino. In azienda mi sono occupato di controllo di gestione, amministrazione, personale. Ho lavorato oltre 15 anni in paesi esteri dirigendo piccole filiali del gruppo al quale ho dedicato tutta la mia carriera. Ho così avuto l’opportunità di avvicinarmi a lingue straniere e scoprire culture antichissime; ho provato a capire la gente di altri paesi vivendoci un po’ insieme ed ho imparato che quello che ci divide sono solo i preconcetti ma anche, troppo spesso, il peso della Storia. Una volta in pensione mi sono dedicato da una parte al volontariato, utilizzando le mie competenze a beneficio del terzo settore, dall’altro ho ripreso la passione per la musica che mi aveva sempre accompagnato, in verità senza grandi risultati. All’età della pensione ho iniziato a studiare e praticare uno strumento a fiato che mi ha permesso di introdurmi nel meraviglioso mondo delle bande musicali piemontesi. Per Cose Nostre scrivo della Filarmonica Cerettese ed in generale di temi relativi all’associazionismo musicale popolare.

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