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Comune di Caselle Torinese
venerdì, Aprile 19, 2024

    Origine della chiesa di Santa Maria

     

    Il recente ritrovamento, durante gli scavi per la posa della nuova conduttura dell’acqua potabile, di alcune tombe davanti alla chiesa di Santa Maria, all’incrocio di Via Carlo Cravero con Via Martiri della Libertà, ha riaperto la discussione su come poteva essere l’antico assetto urbanistico casellese.

    Naturalmente rimandiamo ogni notizia sui ritrovamenti a quando saranno terminati gli scavi archeologici e sarà resa disponibile una relazione tecnica completa che spieghi quanto ritrovato.

    Per ora, anche grazie a questo ritrovamento, facciamo solo alcune ipotesi sulla chiesa e sulla Caselle medievale, basandoci sulle poche e frammentarie notizie conosciute, per lo più ricavate da documenti indiretti.

    Sicuramente la formazione del centro abitato di Caselle ha avuto un’evoluzione più complessa e lunga rispetto a quanto riportato dagli attuali libri che ne raccontano la storia; il nome viene citato per la prima volta in un atto di permuta del 14 marzo 940, ma non attesta ancora la presenza di uno stabile centro abitato.

    Quello che ormai sembra più probabile è che l’attuale centro storico si sia formato tra il XII e il XIII secolo, passando dai precedenti numerosi piccoli centri abitati sparsi sul territorio, ad un unico nucleo formatosi attorno al castello che garantiva una maggiore protezione.

    Nel Medioevo, la politica stessa dei Savoia ha cercato di favorire, se non imporre, in tutto il territorio subalpino lo spostamento della popolazione dai piccoli centri rurali sparsi dei vari comuni, che erano difficilmente controllabili dal potere centrale, in un unico nucleo raccolto intorno al castello del feudatario, che da un lato garantiva agli abitanti una maggiore protezione contro gli attacchi degli eserciti nemici e delle numerose bande che razziavano il territorio, e dall’altra permetteva al feudatario e al governo centrale di controllare direttamente la popolazione e le loro attività.

    Spesso venivano a formarsi dei veri e propri nuovi centri abitati o ville nuove, come ad esempio Villanova o Nole.

    Anche Caselle seguì una sorte simile e così i vecchi centri abitati, come quello di San Bartolomeo posto nella zona dell’attuale cimitero, citato da Antonino Bertolotti nella sua opera del 1878 “Passeggiate nel Canavese”, oppure come quello oggi ricordato dal toponimo Castellazzo, scomparvero.

    Così nel Medioevo venne gradatamente a formarsi un nuovo centro abitato con dei nuovi isolati appositamente costruiti, adiacenti al castello, che a sua volta era composto dalla residenza del feudatario e da un ricetto fortificato, che non era abitato, ma costituito essenzialmente da fabbricati ad uso magazzino (cellari) che servivano da rifugio solo in caso di necessità, il tutto circondato da mura e fossato di protezione.

    Le concessioni di Margherita di Savoia del 1307, avevano contribuito non poco, insieme a quelle successive, a questo scopo, concedendo delle franchigie agli abitanti, ma anche degli obblighi come quello di fortificare il paese.

     

    La chiesa di Santa Maria

    Riguardo alle origini della chiesa di Santa Maria non ci sono documenti che attestino la sua costruzione, ma possiamo sapere che era già esistente nel 1252, quando venne stipulato “in porticu ecclesiae sancte Mariae” un atto di vendita dal notaio Jacobus Enginatus, presente il reverendo don Stefano, rettore della chiesa.

    La chiesa era di libera collazione, cioè alle dirette dipendenze della Curia torinese, al contrario dell’altra chiesa casellese di San Giovanni, già citata in un documento del 1174, che era sotto il diretto patronato della famiglia Ingignato prima, per poi passare alla potente famiglia dei Provana di Leinì.

    Numerosi altri atti successivi, insieme ai consegnamenti trecenteschi e quattrocenteschi, confermano la presenza di questa chiesa con annesso cimitero confinante col mulino feudale, ma nessuno di essi per ora permette di sapere come poteva essere la forma dell’edificio.

    Di sicuro vi è la posizione del vecchio campanile, posto lungo la via Martiri, dove attualmente al suo interno vi è la scaletta che raggiunge il pulpito, un tempo alto circa 23 metri e poi demolito nel 1899 quando venne ricostruita l’intera facciata e realizzato il nuovo campanile all’angolo delle strade, svettante ben 45 metri con un’alta guglia, poi purtroppo ridotto agli attuali 26 metri a seguito della costruzione dell’aeroporto negli anni ‘50.

    Come accennato, il primo documento attesta anche la presenza di un portico, probabilmente il portico lungo via Martiri, che venne demolito a metà del 1500 durante l’assedio spagnolo, come ricordato da Blaise de Montluc, che nei suoi “Commentari” scrive che durante le opere di fortificazione fece anche ordinare la demolizione di un portico a fianco della chiesa, poichè stringeva troppo la strada verso la porta Cerenga.

    Durante questo assedio il convento fuori le mura venne completamente distrutto e il paese gravemente danneggiato, tanto che entrambe le chiese richiesero in seguito delle importanti opere di ricostruzione.

    Non sono ancora chiare le vicende che probabilmente portarono alla ricostruzione della chiesa, ma diverse notizie parlano di opere di riparazioni necessarie, tanto che l’Arcivescovo di Torino durante la sua visita pastorale del 1594 lasciò l’ordine di provvedere urgentemente alle riparazioni.

    Nel 1602 negli ordinati si parla già della chiesa di Santa Maria che minaccia “rovina”, ma bisogna aspettare la metà del 1600 per avere i primi documenti che citano importanti lavori per la ricostruzione della chiesa, tra cui diversi lasciti come quello del 1662 in cui Francesca, figlia del capitano Giovan Battista Pogliago, nel suo testamento dispone che i suoi eredi debbano vendere una cascina sul territorio di Ciriè per versare il ricavato preventivato di lire 400 ai lavori di Santa Maria.

    Nel 1674 la Comunità ordina ancora una fornitura di 20.000 mattoni per la chiesa, e nel 1677 il picapietre Nolasio, d’ordine della Comunità, costruisce l’altare ed il coro.

    Alla fine del XVII secolo la chiesa venne terminata, e anche se mancano completamente disegni e documenti che attestino la forma della chiesa precedente, è logico pensare che proprio durante questa ricostruzione la chiesa venne girata di 180 gradi, realizzando la nuova facciata verso est, con un nuovo sagrato sull’attuale via Cravero, dove precedentemente vi era il cimitero, come attestato dai recenti ritrovamenti.

    Il cimitero venne spostato lateralmente sul lato nord, dove ora vi è un basso fabbricato commerciale e dove poi in seguito vennero realizzate le due cappelle laterali.

    Anche la chiesa di San Giovanni aveva annesso il suo cimitero posto sul lato sud dove ora c’è il palazzo comunale, la casa parrocchiale e la piazzetta antistante.

    Solo nel XIX secolo, con le nuove normative sanitarie, i due cimiteri parrocchiali vennero eliminati per spostare il tutto in un nuovo cimitero lontano dal centro abitato.

    Quello che ora è certo è che di fronte alla chiesa di Santa Maria vi era un’antica area cimiteriale che è chiaramente non compatibile con l’attuale ingresso della chiesa, e questo non può che confermare l’ipotesi che l’antica chiesa avesse un orientamento completamente diverso da oggi, ma ovviamente mancano completamente le documentazioni che attestino questo fatto, e solo un’eventuale indagine archeologica sotto il pavimento della chiesa potrebbe far ritrovare le antiche fondazioni e determinare con esattezza la forma e l’orientamento della chiesa precedente.

    Come era costituita l’antica chiesa romanica al momento non è possibile saperlo, e tanto meno sapere se era a una navata o a tre come quella di san Giovanni, ma considerato che ai tempi le chiese dovevano rispondere a rigide caratteristiche canoniche, si può con certezza dire che doveva essere orientata con l’altare rivolto a est e l’abside che guardava l’attuale via Cravero, mentre si può solo supporre che la facciata rivolta a ovest poteva avere una piccola piazzetta d’ingresso posta all’angolo con via Bona, come in parte si può anche presumere dall’analisi della cartografia catastale settecentesca.

    Il campanile originario, di cui esistono ancora le mura del primo piano inglobate nella chiesa attuale, aveva una dimensione in pianta di circa 3,00 x 3,00 metri; non era quindi molto grande, soprattutto se confrontato con i campanili romanici delle altre chiese dei dintorni, come quella di San Martino di Ciriè con una pianta di 4,20 x 4,20 metri, o con quello della ormai scomparsa pieve di Borgaro che misurava in pianta ben 4,70 x 4,70 metri, tanto da essere ancora ricordato nell’800, quando ormai era solo più che un rudere, come l’antico “Ciocrasso”.

    Questo fa pensare che anche la chiesa non fosse tanto grande, ma questa è solo una supposizione.

     

    Orientamento delle chiese medievali

    Come detto, gli edifici di culto dell’alto e basso Medioevo, erano costruiti secondo criteri stabiliti dalla chiesa romana, che aveva dato delle regole fisse, anche se non sempre accadeva che venissero rispettate, a causa delle tradizioni delle popolazioni locali che tendevano a mantenere le loro antiche usanze pagane.

    Inoltre, la costruzione delle chiese cristiane era basata su un forte simbolismo mistico e l’orientamento di tutta la costruzione, con l’abside rivolto ad oriente, era alla base di tutto; ne consegue che nessuno dei luoghi di culto medioevali sorse secondo criteri casuali, ma ciascuno venne edificato seguendo uno schema che ribadiva la tradizione diffusa di orientare i templi o più in generale i luoghi di culto verso la direzione cardinale est, ed in particolare verso il punto di levata del Sole agli equinozi.

    La rigorosità nell’orientamento andò poi a decadere nel tempo, e se le chiese costruite prima del 1500 sono caratterizzate da una direzione ben precisa, in seguito questa caratteristica si perse, soprattutto con l’avvento del barocco che trasformò tutta l’architettura in scenografia urbana, a cui anche le chiese dovevano adattarsi.

    Le regole ben precise di orientamento dell’asse ingresso-abside, rispondevano a delle caratteristiche che Guido Bonatti da Forlì, matematico, astronomo e astrologo attivo a Parigi durante il XIII secolo, nel suo “Decem continens tractatus astronomiae” mette in evidenza dicendo che le chiese, essendo centri di potere divino, dovevano essere innalzate secondo scrupolose regole rituali seguendo il corso dei cieli, e che dovevano essere edificate quando si verificano talune congiunzioni astrali favorevoli.

    Anche l’epoca di fondazione delle chiese era in genere scelta in accordo con la levata all’orizzonte, per la prima volta durante l’anno, delle stelle della costellazione dell’Ariete, periodo che corrispondeva a poco dopo l’equinozio di primavera, in accordo con le regole astronomiche della celebrazione della Pasqua cristiana.

    La ragione naturalmente non era solo mistica, ma anche pratica, in quanto questo momento rappresentava anche la fine del gelo e delle piogge invernali, ed il terreno diventava più morbido consentendo agli operai di lavorare agevolmente.

    Inoltre, iniziando subito in primavera, si aveva a disposizione il maggior tempo possibile prima di dover interrompere i lavori per la brutta stagione.

    Tutte le chiese antiche hanno quindi l’abside a est e l’ingresso a ovest, con un angolo, più o meno spostato di qualche grado, rispetto alla direzione nord del meridiano astronomico locale (la direzione dove c’è il polo nord celeste, e non quello magnetico della bussola che risulta leggermente deviato).

    Ogni giorno il sole cambia il punto di levata e di tramonto all’orizzonte astronomico locale, raggiungendo culmine minimo e massimo agli equinozi e ai solstizi; le chiese cristiane vennero erette in base alla levata del sole agli equinozi, ma succedeva anche che negli antichi territori longobardi si preferisse allineare la navata alla levata del sole al solstizio per seguire gli antichi culti pagani, così le diverse angolazioni non sono frutto di errori, ma in genere riflettono l’impostazione culturale dell’artefice e talvolta anche una deliberata modifica per fare dispetto alla chiesa di Roma.

    Inoltre il solstizio invernale rappresentava un momento importante presso quasi tutte le popolazioni antiche, anche al di fuori dell’Europa, tanto da essere commemorato con una festa rituale che prevedeva tutta una serie di riti propiziatori atti ad onorare il Sole ed a favorire il ritorno della bella stagione. Era il momento della “rinascita del Sole”.

    Anche la Cristianità fece proprio questo concetto e, secondo le scritture, la nascita di Gesù venne stabilita proprio in vicinanza della data del solstizio d’ inverno celebrando la festa cristiana per eccellenza, cioè il Natale.

    In prossimità dell’equinozio di primavera fu posto invece il suo concepimento e la ricorrenza dell’Annunciazione del 25 Marzo ne celebrava il significato simbolico e liturgico, data che fino al Concilio di Nicea (325 d.C.), presieduto dall’imperatore romano Costantino il Grande, era ritenuto essere la data dell’equinozio di primavera, in accordo con il calendario giuliano allora ufficialmente accettato dalla Chiesa di Roma.

    Inoltre era scritto che la Croce di Cristo fu eretta sul monte Calvario in modo da essere rivolta verso ovest, quindi i fedeli in adorazione dovevano essere rivolti ad est, che per antica tradizione è la zona della luce e del bene; sempre secondo la tradizione, l’aurora è il simbolo del Sole, della Giustizia che si annuncia e anche del Paradiso Terrestre che veniva ritenuto, dai primi cristiani, collocato genericamente ad oriente.

    Gerberto d’Aurillac, salito alla cattedra papale nel 999 d.C. con il nome di Papa Silvestro II, in gioventù studiò astronomia, matematica e geometria, ed in una delle sue bolle papali raccomandò esplicitamente il criterio “Versus Solem Orientem”, che consiste nell’orientare i luoghi di culto verso la direzione del punto dell’orizzonte in cui il Sole sorge, ed in particolare il criterio “Sol Aequinoctialis”, che utilizza il punto di levata dell’astro diurno quando la sua declinazione è pari a zero, cosa che avviene solamente agli equinozi.

    Anche la disposizione delle monofore praticate nell’abside maggiore e nelle eventuali absidi laterali, che oggi possono sembrare disposte in modo casuale e non simmetriche, in realtà indicavano una direzione ben precisa dettata da esigenze mistiche e simboliche motivate spesso da tradizioni locali, segnando la direzione dell’alba in momenti particolari come feste locali o altro.

    Alcune chiese vennero invece orientate verso il punto in cui il sole sorge in un preciso giorno dell’anno corrispondente alla festa di un determinato santo venerato.

    Non mancano le chiese orientate verso il punto in cui si vedeva effettivamente sorgere il sole (e non verso l’alba astronomica), fatto che soprattutto in presenza di montagne verso est causava uno spostamento non indifferente dell’asse della chiesa.

    In conclusione tutte le antiche chiese romaniche, anche se con variazioni d’inclinazione per motivazioni diverse, erano orientate sempre (con qualche particolare eccezione) con l’altare rivolto a levante, e così sarà stata edificata anche l’originaria chiesa di Santa Maria, esattamente al contrario di come si presenta oggi.

    Una curiosità: la croce con la targa in ricordo dello storico campanile che è posta dove effettivamente c’era l’antico campanile, ma in realtà la targa è fuorviante, perché si riferisce non al campanile romanico, ma al campanile realizzato nel 1899 sulla cui guglia era posta questa croce.

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