I numeri stanno tornando prepotentemente a preoccupare. Se per un breve periodo c’eravamo illusi che il peggio stesse passando, ecco ottobre a presentarci il conto.
È vero, la più parte di noi è attenta e rigorosa nel rispettare distanziamenti e il corretto indosso della mascherina, però alcune leggerezze di troppo, sottostimando ancora una volta la subdola potenza del virus, hanno riportato a dati giornalieri allarmanti.
La domanda più ricorrente è: riusciremo e come a fronteggiare la seconda probabilissima ondata da Covid-19? Le istituzioni hanno approntato piani acconci per evitare nuove falcidie e un’ancor più mortale, per l’economia nazionale e tutti noi, seconda serrata?
Il clima di fiducia generatosi in primavera sta scemando. “ Ce la faremo”, “ andrà tutto bene” hanno perso la loro carica e hanno ceduto il passo ad un più prosaico “ forse”, che è già tutto un programma.
Siamo tutti concordi che il sistema–Italia ha fronteggiato bene la pandemia nella fase emergenziale: difficile contrastare meglio un tale sisma umano e sanitario. Grazie alle competenze abbiamo retto a spallate che avrebbero mandato in crisi qualsiasi sistema. Poi però siamo ricaduti nei nostri classici errori. Troppe chiacchiere da parte di chiunque, una ridondanza d’informazione stordente ha avuto il solo merito di banalizzare tutto e tutti, autorizzando le tesi più idiote e bislacche, arrivando all’inarrivabile tormentone “non ce n’è di Coviddi”, esemplare modo picaresco di reagire al dramma.
A preoccupare è la trama del tessuto di cui è composta la società italiana. Dopo trent’anni in cui si è agito, in ogni ambito, per continuare a procedere per sottrazioni e semplificazioni , il conto è presto fatto : abbiamo una classe politica più portata ad agire in camarille che in parlamento, una parte di questa giunta sugli scranni, e mi si scusi l’espressione , più per “ botta di culo” che per effettive capacità e competenze. A guardare in alcuni antri delle “ stanze dei bottoni”, uno non vale uno: molto molto meno.
E il tutto si innesta in gangli sociali che cedono volentieri alle frasi da imbonitori sagaci, che dicono solo ciò che la pancia vuol sentirsi dire.
Faccio mie le parole che Carlo Verdelli tempo fa, sul Corriere della Sera, ha usato per trattare un tema che mi è particolarmente caro in questo periodo.
“Si prepara un nuovo fascismo? Tanti atteggiamenti e altrettante omissioni contribuiscono, e non poco, al lievitare di un fenomeno che promette strappi violenti ai sentimenti e ai valori condivisi, almeno fino a non molto tempo fa, dal nostro Paese. Questo fenomeno si potrebbe chiamare «sfascismo», parente dell’Italia in orbace, del menefrego, della presunta (molto presunta) superiorità italica, ma con una caratteristica che le masse docili al Duce non avevano: l’infedeltà a tutto e a tutti, fuorché a se stessi, e al proprio branco. È nutrito, lo sfascismo, da una insofferenza quasi fisica a qualsiasi regola, comprese le mascherine. Si lascia riempire da parole d’ordine che semplificano, fino a brutalizzarla, la complessità del momento che il mondo vive, e l’Italia più di altri soffre. E si nutre di sogni, lo sfascismo, tutto sommato meschini: molti soldi con poca fatica, zero senso del dovere, nessuna disponibilità al passo lento del sacrificio. Sono cuori, tanti cuori pieni di niente, che andrebbero sanificati, come gli ambienti adesso che c’è il virus. Ma troppo pochi e troppo poco ci provano.”
Se, come diceva il grandissimo Totò, è la somma che fa il totale, la pandemia unita allo sfascismo può provocare cancrene irrimediabili.
Urgono antidoti, ma in questo momento non se ne vede neppure l’ombra.
Elis Calegari