Il nostro notaio, il dottor Gabriele Naddeo, questo mese pone alla nostra attenzione alcune importanti sentenze della Corte di Cassazione in tema di eredità, servitù e usucapione, che non mancheranno di interessare i nostri lettori.
Cassazione, ordinanza 4 giugno 2020, n. 10620, sez. VI – 2 civile
Se il possessore riconosce il diritto di proprietà in capo all’effettivo titolare, la Corte di Cassazione afferma che deve escludersi il possesso ad usucapionem; affinché possa parlarsi di usucapione ci deve essere il corrispondente animus possidendi che, seppure non consista nella convinzione di essere titolare del diritto reale, implica pur sempre l’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà. È evidente che, riconoscendo il diritto di proprietà in capo ad altro soggetto, il possessore – di fatto – rinuncia all’intenzione di perfezionare il percorso tipico dell’usucapione.
Cassazione, sentenza 19 giugno 2020, n. 11984, sez. I civile
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione esamina la nota questione relativa al parallelismo tra scissione societaria e trasferimento mortis causa dei rapporti, affermando che in caso di scissione della società si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti. Per effetto di tale assunto, per la Corte di Cassazione la conseguenza è che non è preclusa la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese.
Cassazione, sentenza 4 settembre 2020, n. 18465, sez. II civile
Affinché si possa parlare di servitù, ciò che conta non sono le formule, ma il tenore del contratto. Ai fini della costituzione convenzionale di una servitù prediale (di passaggio o altro) non si richiede l’uso di formule sacramentali, di espressioni formali particolari, ma basta che dall’atto scritto si desuma la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge e che da esso la volontà delle parti di costituire la servitù risulti in modo inequivoco, anche se il contratto sia diretto ad altro fine.
Cassazione, ordinanza 24 luglio 2020, n. 15871, sez. V
La rinuncia all’eredità è retroattiva: quello che succede tra la morte e la rinuncia non incide sulla posizione del rinunciante. La Cassazione, inoltre, conferma che la predisposizione della denuncia di successione non comporta accettazione. Il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del “de cuius”, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili “ex lege” o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili.
Cassazione, sentenza 28 luglio 2020, n. 16079, sez. II civile
La Corte, con questa pronuncia, sancisce un principio fondamentale in tema di interpretazione dei testamenti: essa deve seguire le stesse regole previste per i contratti ed è importante che l’interpretazione garantisca la conservazione degli effetti del testamento. Ai fini della validità di una disposizione testamentaria, non è necessario che il beneficiario sia indicato nominativamente, essendo sufficiente che lo stesso sia determinabile in base ad indicazioni desumibili dal contesto complessivo della scheda testamentaria nonché da elementi ad essa estrinseci, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore, dovendosi improntare l’operazione ermeneutica alla valorizzazione del criterio interpretativo di conservazione previsto dall’art. 1367 c.c., da ritenersi applicabile anche in materia testamentaria.