Il periodo è ancora fortemente caratterizzato dall’incertezza e da una strana forma di apatia, quindi ricevere degli stimoli sociali e culturali diventa quasi una necessità.
La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino- ha risposto egregiamente a questa necessità presentando il rinnovato allestimento delle sue collezioni permanenti del Novecento. Il nuovo percorso si snoda in diciannove spazi che accolgono circa 194 capolavori articolati in modo da permettere al visitatore, addentrandosi nell’intima metamorfosi dell’artista, il confronto e il paragone tra opera e opera, cogliendo le peculiarità degli stili diversi.
Le opere sono esposte secondo un taglio storico-artistico che segue le principali correnti artistiche del secolo scorso.
La prima sala è dedicata a tre delle figure più significative della pittura italiana del Novecento: Giorgio de Chirico, che già nel 1910 proponeva un nuovo modo di pensare l’arte, con la sua pittura figurativa e metafisica introduceva in una narrazione che andava al di là delle apparenze. La sua Natura morta con salame (1919) apre il percorso della collezione; e proprio la natura morta è stata la scelta assoluta nell’arte di Giorgio Morandi che ha sviluppato un culto della forma e delle sue illimitate varianti in rapporto con lo spazio. Completamente differente è stata l’opzione stilistica di Filippo De Pisis che ha tramandato una lezione di totale libertà da condizionamenti accademici, antiretorici, libero alle ansie avanguardistiche dell’epoca. Dopo la prima sala si susseguono opere che segnano le fasi fondamentali della storia dell’arte: dalle Avanguardie storiche con capolavori del futurista Umberto Boccioni; di Gino Severini che con il quadro Nord/Sud (1913) fissa l’incontro della pittura futurista con il Cubismo picassiano; di Giacomo Balla e i suoi esperimenti sul dinamismo del colore; di Enrico Prampolini e le sue sperimentazioni sulle possibilità espressive dei materiali; dalle testimonianze internazionali di Otto Dix che restituiva viaggi per mare in terre lontane in un insolito formato romboidale; dei collages immaginosi e dadaisti di Max Ernst; di Paul Klee con la piccola tela che testimonia il suo affrancamento dai canoni della rappresentazione; di Francis Picabia che riscopriva una nuova purezza e ingenuità nella pittura.
Seguono le proposte legate al fermento artistico a Torino tra le due Guerre Mondiali: in particolare le opere dei “Sei di Torino” (Paulucci, Levi, Chessa, Boswell, Marchesini, Cremona) che si affermano in Italia e all’estero intorno al 1930. Ancora in quegli anni venivano “scoperti” i dipinti di Amedeo Modigliani che non poca influenza ebbe sugli artisti torinesi. Tra la fine degli anni Venti e tutti gli anni Trenta la collezione della GAM assume una connotazione nazionale acquistando dipinti e sculture alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma.
La sezione dedicata all’astrattismo italiano è rappresentata da artisti quali Melotti, Licini e Fontana, mentre le sale successive ripercorrono le vicende di Roma e la scuola di via Cavour, indagando l’arte dopo il 1945 tra Figurativo e Astratto, con artisti come Chagall, Picasso, Chillida.
Le opere di Carla Accardi, Emilio Vedova, Paola Levi Montalcini raccontano importanti esempi dell’Informale (una nuova percezione delle cose, che supera la rappresentazione figurativa e realistica) degli anni Cinquanta.
Il linguaggio del New Dada e della Pop Art rappresentata da Manzoni, Warhol culmina nell’esperienza dell’Arte Povera con Merz, Penone, Kounellis, Pistoletto, artisti alla ricerca di una totale libertà dai condizionamenti.
Tutto il percorso del nuovo allestimento è intervallato da sale personali dedicate a Felice Casorati, caposaldo dell’arte italiana del Novecento; a Arturo Martini che ha contribuito prepotentemente a cambiare le connotazioni della scultura; a Alberto Burri e Lucio Fontana che hanno superato i limiti della pagina pittorica, introducendo l’elemento materico nella composizione. Concludono la collezione il ciclo de “La Gibigianna” di Pinot Gallizio e la fragile, elegante installazione di Giulio Paolini.