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Comune di Caselle Torinese
giovedì, Settembre 19, 2024

    Il ritorno- e l’inizio

    La storia di Giovannina

     

    Prima puntata

    “Dai nonna! Ci siamo quasi; ora inserisco il navigatore e giungeremo alla fabbrica, dove tu lavoravi, in breve tempo”, disse Primo,

    Accanto sedeva sua nonna Giovannina che, qualche mese prima, lo aveva chiamato e gli aveva detto: ”Senti un po’ Primo, io ho ormai più di ottant’anni, non so quanto mi resta da vivere e prima di andarmene vorrei rivedere la fabbrica dove lavorai, per alcuni anni, tra gli Anni Venti e Trenta del ‘900. Solo tu mi ci puoi portare”.

    “E dov’è questa fabbrica, nonna?” chiese il nipote.

    “A Caselle, in provincia di Torino. Era un lanificio. Solo tu Primo puoi farmi questo favore. Avrei voluto andarci con tuo padre. Ma sai com’è, rinvia oggi, rinvia domani lui se ne è andato e il desiderio è rimasto lì.”

    “Accidenti 500 km. Ok nonna, d’accordo. Ti ci porto. Devo prima sistemare alcune cose.”

    Ed ora eccoli qui con l’auto, in viale Bona. Un rettilineo alberato in fondo al quale si intravedeva un edificio.

    L’auto si fermò davanti al cancello dell’edificio del fu Lanificio Bona, la scritta campeggiava ancora lì in alto sul cancello.

    Giovannina scese, cominciò ad osservare, i ricordi si affollavano nella sua mente. Si rivedeva giovanissima che di mattina presto varcava quel cancello.

    “ È rimasto tutto come allora. Non è cambiato nulla.” disse Giovannina. Riconobbe la strada che portava al convitto, giù in fondo a strada Caldano. Accompagnata dal nipote si inoltrò all’interno del grande complesso.

    Rivide la grande ciminiera e l’edificio dove lavorava. Riconobbe la porta che immetteva nel suo reparto: ”Ecco, entravo da qui. Ho varcato questa porta per quattro anni” esclamò. Mentre pronunciava queste parole la porta si aprì e una giovane donna uscì : ”Signora, cerca qualcuno?”

    Giovannina prontamente rispose: ”No signora, io lavoravo qui prima della guerra. Questo era il mio reparto. Qui mi sembra che sia rimasto tutto uguale.”

    “Cara signora, il lanificio non esiste più da anni. Ora in questo complesso ci sono molte piccole aziende, uffici e abitazioni. Continui tranquillamente la visita. Buona giornata.”

    Giovannina ripercorse i viali che ben conosceva. Rivide la bella palazzina costruita dal fondatore Laclaire nel milleottocento, i reparti, gli uffici. Il nipote osservava soddisfatto per aver aiutato sua nonna a rivedere i luoghi dove aveva lavorato e vissuto anni duri e difficili. Ma che gli fornirono un’importante esperienza di vita.

    Al termine della visita si recarono a cena in un ristorante della città, riposarono in una pensione. Sarebbero ripartiti il giorno dopo.

    Il giorno dopo mentre in auto tornavano a Orsago, il loro paese, Giovannina si rilassò. La sua mente andò a quei lontani anni alla fine degli Anni Venti, quando a casa sua si presentò un signore dall’aria distinta accompagnato dal parroco.

    Abitavano a Palù, una frazione di Orsago, presso Treviso. Un luogo che era stato una palude. Da lì il nome: Palù.

    I ricordi, a poco a poco affioravano, sempre più nitidi…

    Quel mattino di tanti, tanti – troppi?- anni fa, il sole era già alto. Suo padre Mauro, assieme ai figli maschi, si era alzato presto per andare a lavorare nei campi. Giovannina era rimasta a casa con sua madre. C’era da badare alle mucche e agli altri animali. Procurare l’acqua, fare il pane e tutti i lavori di casa: una vita dura e di stenti. Coltivavano un podere a mezzadria che era di proprietà di un signorotto di Treviso.

    Sua madre stava lavando i panni nelle fredde acque del lavatoio. Si rizzò per stirare la schiena che gli doleva: provò un piacevole sollievo.

    Notò qualcosa in fondo al viale. Aguzzò la vista: era un calesse, sopra c’erano due figure.

    Arrivato nell’aia il calesse si arrestò, scesero due uomini: uno vestito distintamente, l’altro era il parroco don Luca. Questi si avvicinò e disse: ”Buongiorno Luisa, Dio sia lodato”. Com’era consuetudine Luisa rispose: ”Sempre sia lodato.” “C’è tuo marito Luisa?”

    “ È nei campi” rispose la donna.

    “ Questo signore vorrebbe parlare con voi per cose importanti. Riguardano il futuro di vostra figlia. E’ un’opportunità. Manda a chiamare Mauro. Intanto ci riposiamo un po’.”

    “Giovannina, vai a chiamare tuo padre, digli di venire subito. C’è il don che lo vuole” disse Luisa.

    Giovannina partì di gran carriera. Mentre attendevano Luisa offrì loro un bicchiere di vino per ristorarli.

    Mauro arrivò tutto trafelato e preoccupato, ma alla vista del parroco si tranquillizzò. Entrarono in casa. Il signore distinto insistette che rimanesse anche Giovannina poiché la cosa la riguardava.

    Appena sistemati don Luca iniziò dicendo: ”il signore qui presente si chiama Antonio Bergera, viene da Caselle vicino Torino. È dipendente del lanificio Bona. Cercano mano d’opera femminile, soprattutto ragazze giovani. La cosa è seria. Si è presentato con una lettera di credenziali del vescovo di Torino come garanzia di serietà.”

    Il Bergera intervenne spiegando: ”Quello che dice il don è vero. La mia azienda è un lanificio. Cerchiamo ragazze per mansioni particolari, servono mani agili, veloci e piccole. Come quelle della vostra Giovannina. Starà con noi, vivrà in un convitto gestito dalle suore, si occuperanno di loro per tutto quello di cui hanno bisogno: cibo, abiti, pulizia. Inoltre gli insegneranno anche cose utili per la vita.”

    Mauro e Luisa si guardarono in faccia perplessi: potevano fidarsi? Certo la presenza del don era una garanzia. Ma cosa sarebbe stato per la loro figliuola? Non l’avrebbero vista per molto tempo. Ma, pensavano: è anche un’opportunità per la ragazza.

    Luisa era la più indecisa, essendo la mamma, disse: ”Mi rattrista veder partire Giovannina, ha appena quattordici anni. È ancora ingenua, come farà da sola?”

    “Vostra figlia non starà mai sola perché ci sono molte ragazze nel convitto. Inoltre assieme a vostra figlia ci saranno altre due ragazze di Orsago. Una vive in paese e si chiama Anna. L’altra è la figlia di contadini come voi, vivono anche loro qui a Palù, si chiama Mariuccia Gibin. Non dimenticate che con loro ci sono le suore che sono severe nel controllare proprio perché sono ragazze giovani” disse Antonio.

    “La conosco, disse Giovannina, abbiamo fatto i tre anni delle elementari assieme. Poi anche lei si è dovuta ritirare come me.”

    Prese la parola il padre di Giovannina cui spettava l’ultima parola: ”Privarci di Giovannina non è che ci va tanto. Noi l’amiamo tanto, è la nostra unica femminuccia. Ma ditemi: noi, ma soprattutto Giovannina, cosa ci guadagna? Noi siamo gente povera sappiamo di non poterle offrire molto. Forse per lei è una buona occasione. Cosa le offrite?”

    Il Bergera che si aspettava la domanda rispose: ”Intanto tutte le spese di mantenimento sono a nostro carico. Garantiamo che ci prenderemo cura di Giovannina come di tutte le altre ragazze. All’inizio avrà un paga modesta che aumenterà man mano che imparerà il mestiere. Quando deciderà di tornare al paese, poniamo per sposarsi, le doneremo un corredo e una somma di denaro. Non trascurate che imparerà un mestiere e farà un’importante esperienza di vita.”

    Don Luca che nel paese era considerata persona seria e a modo, disse: ”Capisco che è difficile privarsi dei figli. Consideriamo che qui c’è molta miseria. Quando c’è un’opportunità bisogna coglierla. Io faccio da garante. Terremo una corrispondenza.”

    “Le altre famiglie hanno accettato, sono d’accordo?” chiese Luisa.

    “Si”, disse don Luca, “hanno accettato; anche se, pure loro, hanno delle perplessità. Hanno compreso che è un’occasione di cui bisogna approfittare.”

    Mauro si rivolse a sua figlia e le chiese: ”Giovannina so che per te è una prova difficile e sei molto giovane. Te la senti?”

    La ragazza stette un poi in silenzio; poi disse: ”Non so che dire, praticamente non sono mai uscita da Palù. Del mondo non so nulla. Però ci sono le mie amiche e altre ragazze. Se ci vanno vuol dire che è un buon posto. Decidete voi mamma e papà, siete sicuramente più esperti di me.”

    “Va bene” disse Mauro “noi non possiamo offrire un granché a nostra figlia. Almeno li da voi mangerà tre volte al giorno.”

    Luisa, la mamma di Giovannina, abbassò la testa. Qualche lacrima le spuntò. Sapeva che la decisione era giusta.

    “Va bene” disse Antonio “avete preso la decisione giusta, non ve ne pentirete. Ci vediamo dopodomani mattina, verso le 5,30 alla stazione di Orsago. Col treno andremo fino a Mestre, da lì a Milano e con un altro treno fino a Torino. Date a vostra figlia una pagnotta di pane e del formaggio, il viaggio è lungo. Giovannina stai tranquilla. Vedrai ti piacerà.”

    “Giovannina, domani mattina vieni in parrocchia. Ci saranno anche le altre ragazze. Parleremo un po’ e vi conoscerete meglio” disse don Luca.

    Giovannina guardava fissa, non sapeva che dire. Sotto, sotto era incuriosita da questa avventura.

     

    Vittorio Mosca

    P.S. Questo racconto, composto da più puntate, pur avvalendosi di notizie storiche , è frutto della mia immaginazione. Come pure i nomi e contesti. Ringrazio il dott. Filiberto Martinetto ( che mi ha anche prestato il libro: C.F. Gutermann- LEUMANN) e lo storico l’architetto Giancarlo  Colombatto per le notizie storiche. L’incipit del racconto è una libera rivisitazione di un video trovato casualmente in rete.

     

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