Può questa ludica moda “Ci facciamo un selfie” diventare anche strumento per indagare fenomeni sociali?
Certo, è possibile, se un regista come Agostino Ferrente mette in mano a due sedicenni uno smartphone dicendo loro:” Con questo cellulare d’ora in poi riprendete voi stessi, la vostra vita. Ne faremo un film.”
La domanda che pone il film intitolato “Selfi” è cruciale. Nell’attuale contesto italiano, è ineluttabile che chi ha la sfortuna di nascere in un determinato contesto fatto di emarginazione e precarietà, anche culturale, sia destinato a rimanere ai margini pur dotato di talento? Il regista trae spunto per questo documentario dalla tragica vicenda di Davide un ragazzo del quartiere ucciso per sbaglio dalla polizia.
Alessandro e Pietro sono due sedicenni, amici inseparabili. Vivono nel quartiere Traiano di Napoli. Una realtà difficile situata all’estrema periferia nord della città.
Alessandro ha un lavoro precario presso un bar: è addetto alle consegne. Pietro vorrebbe fare il parrucchiere, ma non trova lavoro.
I due adolescenti, nonostante le difficili condizioni di vita, dicono e ripetono: “Vogliamo rimanere onesti, puliti. Non vogliamo finire a lavorare per la camorra”. Ecco, siamo al nocciolo. In certi contesti dove lo Stato è assente, la mancanza di lavoro è cronica e l’evasione scolastica è alta, è facile diventare preda di individui che ti danno molti soldi e subito, in cambio della totale disponibilità allo spaccio o a delinquere.
Nel documentario la storia di Alessandro e Pietro viene raccontata intrecciata con quella di altri giovani del rione. Il quadro che emerge è un’impietosa analisi di periferie, presenti non solo a Napoli ma in molte grandi città; abbandonate a sé stesse.
È in queste realtà che realmente si gioca la partita più difficile dello Stato e della tenuta della democrazia. Parola cui molti non assegnano significativa importanza ma che è il cuore della convivenza.
La vicenda narrata nel film-documentario ci porta direttamente nel cuore di una realtà della società italiana presente da sempre: la scala sociale bloccata.
Questa situazione di immobilismo sociale, fatte le eccezioni, può essere paragonata ad un freno a mano tirato al massimo, che impedisce alla nazione di dispiegare appieno le proprie potenzialità. Il grave fenomeno dell’emigrazione intellettuale di molti giovani verso altri Paesi, diretta conseguenza del blocco della scala sociale, sta lì a testimoniarlo. Il numero di questi giovani che scappano è superiore agli arrivi dell’immigrazione clandestina.
Su questo tema il giornalista Federico Fubini, del Corriere della Sera, nel 2018 ha pubblicato un bellissimo ed esauriente saggio dedicato al tema dell’immobilismo della società italiana. Fubini indaga e mette a confronto realtà diverse del paese sia dal punto di vista economico che sociale. Il quadro che ne emerge è raggelante.
Il libro parte dal confronto tra una ricerca effettuata nella Firenze del 1427 sui patrimoni delle famiglie fiorentine di allora e quelle di oggi.
Chi era ricco allora è ricco ancora oggi.
E chi non lo era, secondo voi, com’è oggi?
Selfie
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