Nel numero scorso abbiamo dato ampio risalto al libro scritto da Salvatore Diglio, libro che ha riscosso immediato successo tanto da andare esaurito nel giro di pochi giorni e richiedere una ristampa. A breve sarà di nuovo disponibile, in modo da soddisfare le tante richieste pervenuteci.
Come detto in fase di presentazione, la nostalgia è una lama sottile e Diglio, con la sua scrittura fresca e accattivante, è riuscito a toccare nel profondo gli animi di coloro che la Caselle descritta così sapidamente da Salvatore l’hanno vissuta e amata.
Da questo mese Salvatore Diglio prende a collaborare con Cose Nostre e, dandogli il benvenuto, pubblichiamo un ulteriore estratto del suo libro, che ci aiuterà a capire e conoscere meglio l’autore. Buona lettura.
Elis Calegari
Quando casualmente incontri persone della tua stessa età può succedere che, per dare forza e credibilità a qualche improvvisata conversazione, ti senta domandare “ti ricordi…?“ . Pensieroso fai appello alle risorse della memoria, poi ti accorgi che prima di rispondere si illuminano gli occhi e un velo di sottile malinconia si impadronisce di te.
Sì, mi ricordo.
Era il primo poverissimo dopoguerra, quando tutti i miei anni stavano ancora in una sola mano che, al seguito di una zia vedova, sorella di mia madre, arrivai a Caselle.
Facevamo parte, insieme a figli e cugini che ci avevano preceduto, di uno sparuto drappello, poi diventato esercito, di coraggiosi pionieri provenienti dal sud dell’Italia che, lentamente, trovato un lavoro stabile e un domicilio dignitoso, appena possibile desiderò riavere con sé i propri cari.
Sì, mi ricordo….
La scuola elementare, preceduta per breve tempo, dall’abbraccio caldo delle suore dell’asilo infantile di Piazza Boschiassi, che mi offrirono per la prima volta l’ opportunità, non comune a quei tempi, di accomodarmi a tavola tutti i giorni alla stessa ora, calato in un approssimativo grembiulino a quadretti bianchi e blu ereditato sicuramente da qualche bambino più grande già alle prese con il fiocco blu sulla nuova divisa nera delle elementari.
La strada, il cortile, il dialetto piemontese come segno di appartenenza a una realtà nuova che, difficile ed estranea quando all’inizio ero soltanto“ un napuli “, ho successivamente sentito mia nonostante i diversi lineamenti del viso é un nome che apertamente testimoniava le mie origini.
Sì mi ricordo, è Caselle.
La Caselle di un tempo che, bambino o poco più, ho vissuto correndo, quasi sempre dietro una ricompensa, al servizio delle persone anziane dell’immenso cortile di Vicolo Balchis per recapitare le prime calze di nylon puntigliosamente rimagliate o le cinque sigarette nazionali senza filtro sistemate in una apposita leggerissima bustina di carta che già allora, sulle due facciate, prometteva denti smaglianti e garantiva chiome maschili folte e inattaccabili .
Oggi a distanza di tanti anni, cessata da tempo la principale occupazione professionale ed esaurito il lungo e faticoso impegno pubblico, avverto distinto e forte il desiderio di tornare in mezzo ad alcune di quelle vie di Caselle che costituivano allora gran parte del centro abitato.
Un desiderio che nasce e si fa strada esclusivamente sul filo invisibile di un nostalgico ricordo, con la presunzione di potersi sottrarre bonariamente ad ogni obbligo di obbedienza al rigore della ricerca o alla fedeltà della cronaca.
Mi immaginerò di entrare e uscire ancora, come allora, da negozi, botteghe, trattorie e intrattenermi con loro, le figure, i personaggi dei miei anni giovanili. Li chiamerò per nome, sicuro che mi concederanno la licenza di farlo, e forse come un tempo, torneranno ad intimorirmi oppure cordialmente mi chiederanno, come fosse un obbligatorio esame di ammissione, di recitare senza errori quella indimenticabile frase piemontese dei famosi due peperoni intinti nell’olio.
Sempre camminando, rivivrò con malinconico piacere le interminabili giornate trascorse con quegli amici, con quei compagni, che ancora possono ricordare le tante occasioni di gioco o il tempo lontano della scuola elementare.
Si uniranno a me , ne sono sicuro, e con la loro nuova luce mi faranno strada in questo meraviglioso incontro con la moviola della vita, tutte le altre persone a cui troppo presto il destino ha voltato le spalle.
Chissà.
Lo farò di certo con grande slancio e passione rivisitando, profondamente rispettoso, quel tempo che ha preceduto e inaugurato i miracolosi Anni Sessanta, animato dalla certezza di poter intravvedere il sorriso rassicurante e la pazienza generosa di vecchi amici, compagni o semplici conoscenti, anch’essi innamorati di Caselle.
Mi auguro che leggendo, o vedendo semplicemente volare nell’aria questi pochi pensieri, avranno la bontà di perdonare tutte le inevitabili, e spero veniali, inesattezze o le incolpevoli dimenticanze.
Conforteranno così la mia riconoscente dichiarazione di filiale affetto, che desidero pensare non tardiva, per un paese nel frattempo diventato città che, pur facendomi qualche volta soffrire, mi ha consentito di crescere, di diventare grande lontano da casa, in una terra non mia alla quale sarò per sempre grato.