Il nostro stemma cittadino, tra leggenda e realtà

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Il volume dei consegnamenti del 1469 con raffigurato lo stemma dei Savoia

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Gli stemmi sono da sempre dei simboli destinati a identificare con immediatezza il suo possessore, che sia una famiglia, una ditta (oggi chiamati loghi) o un paese, e così anche gli stemmi comunali hanno la funzione di richiamare immediatamente il luogo.
La cosiddetta araldica civica è così importante che da secoli viene normata e tutelata al fine di evitare confusioni tra comuni o appropriazioni indebite, come avviene oggi anche nel mondo commerciale con la tutela dei marchi. Sempre gli stemmi, come i marchi, hanno un loro significato, alcune volte chiaro, altre volte più nascosto, ma sempre legato a un motivo preciso.
Conoscere la storia di uno stemma comunale, spesso significa anche comprendere meglio la storia del paese, ma spesso questa storia viene adattata per rendere più suggestiva la sua origine.

La leggenda delle quattro case


L’origine dello stemma di Caselle è legato essenzialmente al significato dato alle quattro case presenti su di esso, e se chiediamo ai Casellesi cosa significano, la maggior parte di essi risponderà che rappresentano le case delle quattro famiglie superstiti della tragica peste che imperversò nel paese nel lontano 1630.
Cessata la grande peste, dei duemila abitanti restarono solo quattro famiglie, ed i superstiti, ritrovatisi, proclamarono solennemente la rinascita di Caselle con una decisa ripresa di tutte le attività, testimoniandola in perpetuo sullo stemma disegnando le quattro case in rilievo in campo rosso.
La storia è sicuramente suggestiva, e carica di valori e di speranza nel futuro, ma sarà stato veramente così?
Certo l’epidemia di peste dell’epoca falcidiò sicuramente la popolazione, soprattutto nei mesi di novembre e dicembre, tanto che dovette essere realizzato un lazzaretto lontano dal paese, ma non ci sono dati precisi per sapere quanti effettivamente sopravvissero.
Il Bertolotti, nel suo libro ottocentesco “Passeggiate nel Canavese”, scrisse: “La peste del 1630 ridusse i 400 capi di casa a soli 7 capi casa ed ancora nel 1653 non ne aveva più di 10”, come risulta da un memoriale stesso del comune in data 21 settembre 1653 presentato al governo sabaudo, che comincia così:
“ La miserabile comunità di Caselle altre volte popolatissima ora ridotta a 10 capi di casa per le rovine e danni patiti nella presente guerra gionge a segno che tutti li suddetti pochi abitanti sono costretti di andar ad abitare altrove non potendo loro sostenere il peso che dovrebbero sostenere 400 capi di case e pure sarebbe servito di V.A.R. di sostenerla, non essendo più lontana dalla presente città di quattro miglia, è astretta non tanto per il proprio servitio che per quello di S.A.R. Con esso supplicavasi per dover solamente concorrere in tutti i carichi per cinque anni, a principiar dal 1654. in ragione di scudi 200 d’oro e di esser graziati degli arretrati a tutto il 1653. Veniva il tutto concesso; e per ciò Caselle poté in breve con la sua industria risorgere”.
A Torino dei quasi 40.000 abitanti rimasero in città solo 11.000 persone, ma almeno 20.000 abitanti, compresa la corte, i nobili e l’alto clero, si ripararono lontano nei paesi dove l’epidemia non era arrivata.
Così certamente successe anche a Caselle, dove chi poteva si rifugiava lontano dal contagio, nelle cascine sparse o in paesi più lontani (oggi con il Covid-19 lo chiamiamo distanziamento sociale, ndr), per poi tornare non appena l’epidemia sparì, tanto che nel giro di pochi anni la popolazione si reintegrò.
Non è chiaro quando questa leggenda abbia iniziato ad essere raccontata, ma sicuramente non ha origini molto lontane, e anticamente non se ne era mai parlato.
Non ne fa cenno neanche il suddetto Bertolotti, che nelle sue storie dei paesi canavesani prediligeva questi racconti, mentre l’intendente Sicco nelle sue relazioni ufficiali del 1753 così scriveva: “In sola distanza di miglia cinque dalla Metropoli sotto l’istessa Diocesi Arcivescovile ritrovasi questo luogo, così denominato da ché ne tempi andati veniva composto di picole case qua e là disperse, con essersi quindi ritratto lo Stemma della Comunità, rappresentante una croce bianca, che si estende per tutto il campo, con quattro casette apposte nei quatro angoli d’esso, ed ancor in oggi vedesi quest’insegna in varij luoghi sulle mura in publico piturata.”
Ma un documento che sconfessa completamente l’ipotesi della peste si trova nella biblioteca Reale di Torino, dove un manoscritto intitolato “Registro delle insegne ed armi gentilizie presentate dà particolari di questa Città…in virtù dell’ordine pubblicato da S.A.S. li 4-12-1613…“, che si riferisce ai consegnamenti d’arme degli anni 1613-1614 riporta lo stemma della Comunità di Caselle così descritto: “di rosso con una croce d’argento, accantonata da quattro case del medesimo”.

Le origini


Quindi qual è la vera origine dello stemma?
Nei libri “Caselle e le sue vicende” e “Caselle e la sua storia”, oltre alla leggenda suddetta si accenna anche ad un certo Martino di Rivoli, abitante in Caselle, che aveva lasciato erede di una parte dei suoi beni il Comune di Caselle nell’anno 1273. Così, tra l’altro, il Comune ereditò un’armatura che, per volontà del testatore, doveva essere indossata da colui che nelle cerimonie portava la bandiera del Comune; da qui viene presunta già la presenza di uno stemma.
Poi si cita uno stemma del 1580 in cui campeggiava lo stemma del Piemonte e sullo sfondo tre stelle che stavano a significare le tre castellanie dei marchesi di Monferrato (Caselle, Ciriè e Lanzo), la cui successiva eliminazione stava a significare il rifiuto dell’antico feudalesimo e l’apertura della comunità al progresso, ma non è detto dove venne reperito e sembra anch’esso una leggenda.
Infine si riporta una foto di uno stemma impresso a secco nei volumi dei battesimi e dei matrimoni della Parrocchia di San Giovani nell’anno 1590 riportante una croce, ma il volume è purtroppo scomparso e non è possibile verificare se erano già presenti le casette e se si riferisse effettivamente a Caselle.
Nell’Archivio di Stato di Torino, nel fondo della Camera dei Conti di Piemonte esiste un antico volume di Consegnamenti del 1469 dal titolo “Recognitis Comunitatis Casellarum”, che raccoglie tutti i beni immobili posseduti dai casellesi (una sorta di attuale Catasto) che dovevano pagare le tasse al loro feudatario, dove nella pagina iniziale campeggia uno splendido disegno dello stemma del Duca di Savoia da cui dipendeva direttamente la Castellania di Caselle.
La croce d’argento su fondo rosso è disegnata su uno scudo a targa o inglese, sormontato da un elmo a cancello di profilo guardante a destra con un cimiero rappresentante una testa di leone alato dorato, il tutto con svolazzi tricolori.
È questa l’arma dell’epoca dei Savoia, sotto cui dipendeva Caselle, che ha dato le basi per lo stemma comunale consegnato all’inizio del 1600.
L’origine dello stemma è quindi molto più semplice di quanto si pensi, e il motivo dell’aggiunta delle quattro case è molto probabilmente ancora più semplice e banale per essere raccontato.
Ricordiamo che all’epoca Caselle, insieme a Ciriè e Lanzo, era una delle tre Castellanie dipendenti direttamente sotto il dominio dei Savoia, e quando alla fine del XVI secolo, dopo le guerre che videro contrapposti francesi e spagnoli sulle terre piemontesi, il Duca, ritornato in possesso dei suoi territori a seguito della pace di Cateau-Cambresis, lasciò il diretto dominio dei tre feudi.
Emanuele Filiberto di Savoia cedette così in dote le terre di Lanzo a sua figlia Maria che sposò il Marchese Filippo d’Este, dando l’avvio ad un governo estense che durò 150 anni, mentre il feudo di Ciriè venne permutato con le terre del Principato d’Oneglia appartenente al Marchese Gian Domenico Doria che a quel punto prese residenza a Ciriè.
Caselle venne invece ceduto, come ricompensa per i servigi resi durante la guerra, a Claudio di Savoia del ramo di Racconigi (non del ramo di Carignano, che presero possesso di Caselle solo nel secolo successivo).
La divisione dei feudi fu probabilmente l’origine della necessità di distinguere i tre stemmi comunali sulla base dello stemma dei Savoia, in ricordo del dominio di essi, aggiungendo delle figure che caratterizzassero le singole armi.
Con molta probabilità venne scelto il criterio molto usato all’epoca del cosiddetto stemma parlante, cioè che quanto rappresentato ricordasse il nome, così a Caselle vennero aggiunte quattro case (quattro perché la croce crea quattro campi), a Ciriè vennero sovrapposte due ceri d’oro fiammeggianti (per attinenza col nome) e a Lanzo due lance; e così vennero dichiarati i tre stemmi nel citato “consegnamenti d’arme” degli anni 1613-1614.
In Italia e soprattutto in Piemonte sono molti gli stemmi basati sullo scudo dei Savoia a cui, per la maggior parte, sono stati sovrapposti dei simboli “parlanti”, e nella sola provincia di Torino ne troviamo almeno dieci, come Nole, Moncalieri, Viù, e almeno altrettanti che contengono al suo interno la croce d’argento su fondo rosso, tutti per testimoniare l’antico dominio; in molti altri invece lo stemma riprende l’antica arma dei suoi feudatari.
Degli antichi stemmi dipinti sui muri delle case del paese, citati dall’intendente Sicco, nessuno è sopravvissuto fino a noi, e quelli che si vedono oggi sono tutti realizzati dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri.
La più antica rappresentazione che conosco, per ora, la troviamo sul grande quadro ad olio appeso nel coro dietro l’altare della chiesa di San Giovanni, che rappresenta la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Evangelista, Rocco e Vittore, dove il pittore Alessandro Trono nel 1736 dipinse lo stemma di Caselle nell’angolo in basso.
Un’altra splendida rappresentazione dello stemma casellese la troviamo all’Archivio di Stato di Torino, raffigurato sulla grande mappa catastale del 1746.


Da allora lo stemma restò praticamente immutato (le casette originariamente tutte in argento, ora hanno il tetto in oro) e attualmente è solo arricchito dagli ornamenti previsti dalla normativa italiana sugli stemmi degli enti territoriali, ossia scudo di forma sannitica, corona turrita simbolo di Città (fino al 1994 aveva una corona con mura merlate a coda di rondine simbolo di Comune), e due rami decorativi, uno di di quercia con ghiande e uno di alloro con bacche, annodati da un nastro coi colori nazionali.

Lo stemma sul castello

Sulla facciata interna del castello esiste un altro importante stemma che sui libri di storia casellese viene attribuito ai Savoia-Carignano, e in particolare a Tommaso Francesco Principe di Carignano, ma è proprio così?
Lo stemma araldico dei Savoia ha subito, nel corso dei secoli, una continua evoluzione in funzione dell’espansione territoriale, a partire dall’originario stemma antico con un’aquila imperiale nera su fondo giallo.
All’epoca di Emanuele Filiberto (1559-1580) lo stemma comincia a diventare complesso, cioè inizia a “caricarsi” di vari stemmi oltre alla semplice arma di Savoia moderno, rappresentato dallo scudo con croce d’argento su fondo rosso.
Lo stemma presente sul castello di Caselle, sulla facciata “maschile” verso sud, rappresenta proprio questo blasone che viene usato anche dal suo successore Carlo Emanuele I di Savoia (1580-1630), detto il Grande e soprannominato dai sudditi Testa di Fuoco per le manifeste attitudini militari.
Lo stemma risulta “inquartato”, cioè diviso in quattro parti, così composto (tra parentesi la denominazione araldica dei simboli):
– 1° e 4° quarto, che sono identici, sono ripartiti in tre parti:
a sinistra con lo stemma della Westfalia (di rosso al cavallo allegro e rivoltato d’argento), a destra con quello della Sassonia (fasciato d’oro e di nero di otto pezzi, al cancellino di verde posto in banda centrata), alla base “innestato” coi simboli dell’Angria (d’argento a tre puntali di spada di rosso male ordinati).
Questi stemmi rappresentavano le origini della nobiltà sabauda che presupponeva di discendere da Vitichindo, antico duca di Sassonia;
– il 2° quarto rappresenta il Chiablese, un territorio della Savoia collocato sulla riva sud del lago di Ginevra, sotto il diretto dominio dei Savoia (d’argento seminato di plinti di nero, al leone del secondo armato e lampassato di rosso);
– il 3° quarto rappresenta l’altro dominio diretto, il ducato di Aosta (di nero al leone d’argento armato e lampassato di rosso).
Sul tutto è presente uno scudetto di Savoia “moderno” (di rosso alla croce d’argento) che rappresentava sia il dominio della casata che la regione omonima.
Intorno è disegnato il collare dell’Ordine della SS. Annunziata, inizialmente chiamato “Ordine del Collare” e fondato da Amedeo VI di Savoia in occasione del matrimonio della sorella Bianca con Galeazzo II Visconti nel 1362. Questa è ancora oggi la massima onorificenza di Casa Savoia, il cui scopo iniziale era di “indurre unione e fraternità tra i potenti sicché si evitassero le guerre private”, ed era riservato ai nobili più illustri e fedeli e la regola statutaria prevedeva che tutti gli insigniti fossero considerati pari e si chiamassero tra loro “fratelli”.
Il collare, simbolicamente, ha il duplice significato di vincolo di fedeltà e di dominio. In questo simbolo è evidente come Amedeo VI di Savoia volesse tenere uniti i suoi migliori cavalieri attraverso un patto di fratellanza, ma nello stesso tempo all’esclusivo suo servizio. Il collare è ornato da dei nodi Savoia alternati da roselline con sopra la scritta FERT, altro simbolo dei Savoia dalle origini incerte.
Il tutto era sormontato da una corona da principe (corona sormontata da otto fioroni, cinque visibili sostenuti da punte e alternati da otto perle, di cui quattro visibili).
In seguito con Vittorio Amedeo I (in carica 1630-1637), a partire dal 1632, con l’espansione territoriale e le varie pretese territoriali, lo stemma o “grande arma” si arricchì progressivamente di altri stemmi, come quelli di Gerusalemme, Lusignano (Cipro), Armenia e Lussemburgo, Monferrato e Genevese, e sembra proprio questo lo stemma utilizzato da Tommaso di Savoia a cui il Duca assegno anche il titolo di Principe di Carignano, dando il via a questo importante ramo dei Savoia che prima non esisteva, a cui venne ceduto, a partire dal 1620, anche il feudo di Caselle, dopo la morte dell’ultimo Savoia-Racconigi.

 

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