I Bolds
Con la mano sto frugando nelle tasche alla ricerca di una monetina utile a noleggiare il carrello per la spesa al supermercato. Mi accorgo che qualcuno, aspettando l’esito finale dell’operazione, mi osserva attentamente perché, seppur dietro la singolare e obbligatoria bardatura che, calata sui volti di entrambi, camuffa connotati e sentimenti, è sicuro della nostra conoscenza.
Senza abbassare la ormai consueta guardia di stoffa dopo un breve, reciproco indugio finalmente lucidiamo generalità e ricordi. Sbalordisco dinanzi alla sicurezza del mio interlocutore il quale, indagandomi con maggiore attenzione e avvalendosi unicamente del conforto immaginario di una immediata radiografia che correda poi con il regalo di una clamorosa bugia, si spinge ad affermare : “ Ma non sei cambiato per niente!” Un po’ lusingato fingo di credergli: – Ciao, Livio. –
Sono lieto di rivederti e di poterti ringraziare per la nostra amicizia nata a Caselle tanto tempo fa. Entrambi sappiamo quanto sia stata molto più gelosamente custodita nella memoria che affidata ad opportunità consuete, spesso diradate dalle vicende della vita. Con gioiosa prepotenza oggi riaffiora nella casualità di un inatteso incontro, e sul palmo della nostra mano fa danzare per incanto i folletti dei tanti “ti ricordi ?” che ci riportano alla scuola elementare di via Guibert, all’album delle figurine mai completato e a quel vasto cortile affacciato sulla piazzetta del vecchio peso pubblico dove alla fine degli anni cinquanta Mario Castigliano metteva a nuovo bici e motocicli, Guido Chiabotto vedeva nascere la sua e nostra amatissima Scuola Piemonte e soprattutto la tua anziana nonna Chinota , lasciati da tempo nella borgata Rughet di Piano Audi a Corio la casa e i ricordi di famiglia, regalava a figli e nipoti serenità e saggezza seduta a capo tavola in segno di filiale e amorevole rispetto.
Ti ricordi?
Lo stesso cortile e il vicino Prato della Fiera dove papà Pierino Bonicatto, succeduto all’indecifrabile, frenetico Spirito, vendeva carburanti e regalava allegria. Abbiamo imparato da quelle parti l’arte del crescere, in attesa che la vita ci impartisse i suoi ordini.
Ci siamo rivisti anni dopo. Seduto in mezzo a nuovi amici impugnavi due preziose bacchette di legno che ai tuoi sapienti comandi percuotevano ritmicamente luccicanti piatti di metallo, messaggeri di una finissima arte musicale che tuttora ti appartiene. Sei stato a lungo , e forse non hai mai smesso di essere, il batterista dei Bolds, un complesso di “audaci” e fortunati giovanotti che oggi noi due, nello scarso e disciplinato traffico del supermercato ci ritroviamo a ricordare. Inutilmente tenti, e me ne accorgo, di scacciare con un lungo sospiro l’emozione che si fa strada al pensiero di quei lontani spazi gremiti in cui la tua sempre virtuosa esibizione e la splendida voce di Gianni Mantovani procuravano nell’estasiato pubblico che vi seguiva fenomeni di contagio collettivo fortunatamente ancora consentiti. Era il tempo del grande Renato Carosone, artista funambolico e giramondo. Aveva importato da altri continenti un nuovo tipo di musica e soprattutto un modo diverso di porgerla attraverso le non comuni virtù artistiche e sceniche del suo complesso in cui spiccava la immediata simpatia del batterista napoletano Gennaro Di Giacomo, presto soltanto Gegè per tutti. Come te, caro Livio, che del celebre orchestrale partenopeo hai ereditato, non solo come nome d’arte ma come nuovo documento di identità, il curioso vezzeggiativo.
Altre vicende più o meno importanti di questi tanti anni che ormai ci appartengono , ritornano alla mente in un affannoso inseguirsi di “ ti ricordi?”. Ci dobbiamo salutare e da buoni amici promettiamo di rivederci presto per rivivere a viso aperto, non solo metaforicamente, un altro pezzo di noi, sperando sinceramente di essere, per una volta almeno, dei cattivi marinai.
Mentre ci congediamo, un suono insistente, simile ad una lunga e dolorosa invocazione, si avvicina. È un’ ambulanza.
Sovviene il ricordo del grande Hemingway e parafrasando il titolo di un suo capolavoro letterario ci chiediamo con dolente, sincera solidarietà : chissà, questa volta, “per chi suona la … sirena”.
Ciao Livio, ciao Gegé. A presto.