A volte le notti sono veramente magiche, e occorre viverle a pieno, godere come forse una sola volta nella vita può accadere: le quaranta medaglie olimpiche portate a casa dai nostri splendidi figli, nipoti, sono per tutti motivo di grande orgoglio, e forse irripetibili. Su tutte, ovviamente, quelle della staffetta dei quattro missili su pista, quella dei 100 metri, quella del salto in alto.
L’Italia è salita finalmente su podi sempre lontanissimi, impossibili da raggiungere, nelle gare di velocità pura; lo stupore al traguardo di Filippo Tortu, che per esultare attende la conferma, è stato un vero regalo, così, come la gioia moderata di Marcell Jacobs all’arrivo nella regina delle gare olimpiche.
E poco prima la felicità incontenibile, fanciullesca, di Gianmarco Tamberi che condivide l’oro con l’amico rivale Barshim, e salta, e urla di felicità, incredulo, dopo quel brutto incidente di anni prima: in dieci minuti due ori pesantissimi, direi commoventi, incredibili, con le telecronache di Franco Bragagna, vera enciclopedia vivente!
Giovani che hanno sacrificato loro stessi e le proprie famiglie per raggiungere quei traguardi sognati da sempre, e famiglie che durante le interviste hanno dato un esempio di modestia, di attaccamento al lavoro, al dovere, di semplicità: mai una parola fuori misura, come i loro ragazzi.
Alla sera quell’accrocchio di personaggi ne “ Il circolo degli anelli”, ha pure divertito, tra interviste, aneddoti e racconti, mettendo in luce una Sara Simeoni come mai l’abbiamo vista, anche quando, nel commentare il libro di Raffaele Morelli, è scoppiata a ridere in faccia all’autore in modo incontenibile e trascinante.
Il braciere si è spento, i ragazzi, tutti, sono stati accolti all’aeroporto con grandi e giuste manifestazioni di esultanza, ma a parte i nomi più altisonanti, quelli dei podi impensabili, sugli altri i riflettori si sono già spenti: per tre anni, fino a Parigi 2024, nessuno ne parlerà più, forse nemmeno della divina Federica Pellegrini, accolta tra le fila del CIO.
Torneranno ad allenarsi in silenzio, quasi dimenticati dai media, nelle loro palestre, in vasca, in pista, ma ci vorrà molto tempo prima che si sentano ancora i loro nomi.
Bravi tutti, anche coloro che per un soffio non si sono portati a casa una medaglia nonostante l’impegno e la preparazione.
E bravi anche agli azzurri che l’11 luglio hanno alzato la Coppa Europa.
Solo un mese, tanto è durata questa sospensione dalla complicatissima realtà quotidiana, il tempo per disputare sette partite memorabili, da rivedere un giorno, da raccontare, commentare, con la serie di rigori che a distanza di tempo fa ancora venire tachicardia, ansia, lacrime, in un susseguirsi di emozioni fino al parossismo. Un mese vissuto in apnea, dove noi tutti sessanta milioni di commissari tecnici, abbiamo condiviso l’Europeo di calcio, un mese insieme.
Avvenimento raro, probabilmente unico, apparentemente incomprensibile. Il perché una partita di calcio, la maglia azzurra, riescano ad unire un popolo intero, rimarrà sempre un mistero, probabilmente come una fede, ed in quanto tale, non deve essere dimostrata.
Concludo con un pensiero a coloro che pensano alla gioia corale di milioni di persone come fossimo tutti cerebrolesi e disinteressati ai problemi attuali: dite la verità: quanto vi costa isolarvi in un momento così. Con tutto il cuore, vi auguro una gioia come questa, effimera, inutile, brevissima, ma grande.
Libiamo nei lieti calici
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