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Comune di Caselle Torinese
sabato, Dicembre 14, 2024

    Il compleanno

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    Eravamo tanti, così mi è sembrato aprendo gli occhi,
    intorno a quella torta su cui svettavano molte
    candeline accese. Rintracciata non senza affanno la
    necessaria quantità di fiato, tutti insieme le abbiamo
    spente meritandoci l’applauso e gli auguri di chi,
    manifestando un atteggiamento insieme di curiosità e
    meraviglia, si è trovato casualmente ad assistere a
    quell’insolito assembramento.
    In uno dei primi giorni d’autunno e un compleanno da festeggiare.

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    Ovvero altri dodici mesi aggiunti a un
    verosimile secondo tempo della nostra vita, scandita
    dall’abituale e fortunato equilibrio tra speranze e paure
    mai tanto reali e tra probabilità e imprevisti mai
    tanto temuti, proprio come avveniva tanti anni fa,
    quando ragazzini lanciavamo in aria i dadi del
    Monopoli affidandogli le prime ansie del nostro incerto
    percorso.
    Un cammino che, visitato a ritroso in questa lieta
    circostanza, intinge la propria penna nell’inchiostro
    indelebile dei ricordi e reclama il palmo proteso di
    tante nostre mani per scrivere con identica, acerba
    calligrafia, semplicemente una data: ottobre 1951.
    Esattamente settanta anni fa iniziava l’avventura
    scolastica di un nutrito gruppo di maschietti casellesi
    che abbandonati il grembiule a quadretti bianchi e blu
    e le braccia accoglienti delle suore dell’asilo di Piazza
    Boschiassi, si apprestava a salire per la prima volta le
    scale della scuola elementare di Via Guibert dove,
    esibendo l’immancabile camice nero e la foltissima
    capigliatura precocemente indirizzata verso il grigio, il
    giovane bidello Alfredo dal mattino presto era in
    attesa sulla porta di ingresso per dare a ognuno di
    noi il suo benvenuto nella scuola dei grandi.
    Allontanate finalmente, e non senza fatica, le ultime
    mamme sicuramente più curiose che apprensive, soli
    e calati nel nuovo grembiulino nero su cui scendeva dal
    colletto bianco un elegante fiocco blu a completare la
    nuova uniforme, entrammo nella nostra prima
    classe elementare al piano terra dell’edificio. Sulle
    pareti dell’aula, oltre ad adeguate illustrazioni utili a
    favorire la futura confidenza con vocali e consonanti
    dell’alfabeto, alcune non più nuovissime carte
    geografiche rappresentano l’Italia “fisica e politica”
    dell’immediato dopoguerra. Dietro la cattedra, alta ed
    imponente come il vicino trono reale ormai da qualche
    anno disabitato, e all’immancabile crocefisso ancora
    ignaro della gazzarra che più avanti, suo malgrado,
    l’avrebbe coinvolto, un manifesto di notevoli
    dimensioni, opportunamente collocato dove per anni
    aveva campeggiato in bellicoso atteggiamento il
    ritratto del tragico e impettito maestro romagnolo,
    informava e ammoniva sulla pericolosità dei tanti
    ordigni bellici ancora inesplosi presenti sul territorio
    nazionale.
    Ad accoglierci, la maestra Guerrina Benci,insegnante di
    origini triestine, materna, rassicurante e
    profondamente legata all’immagine di quella nuova
    Italia che il capoluogo giuliano aveva da poco
    ritrovato. Con il giusto pretesto dell’appello
    mattutino, e fidandosi della giovane curiosità che
    anima gli scolari, ci insegnò presto i segreti
    dell’alfabeto. Così tutti i giorni con Airola Luigi, Berta
    Bruno, Castagno Piero fino a Zeffiro Bruno che
    chiudeva l’elenco sul registro di classe, ci alzavamo in piedi
    e rispondevamo “presente” con la voce via via più forte
    e più sicura quasi a corroborare la nostra nascente
    amicizia, ricca di giustificata speranza e di serena
    fiducia in un destino ancora in parte nascosto tra le
    stelle.
    Poi la scuola finisce. La vita prende il sopravvento e
    ogni anno aggiunge ad una torta sempre meno dolce
    un’altra candelina da spegnere.
    Sono trascorsi settant’anni dall’ottobre del ’51, e oggi,
    a quei bambini di allora, congedati nel frattempo
    molti capelli e alcuni molari, sovviene, insieme ad un
    pizzico di nostalgia e di malcelata amarezza, il
    ricordo di quella speranza che allora era molto più
    di un ministro, e pur tra gli attuali nuovi affanni, che
    da tempo inducono a desiderare non ciò che
    vorremmo ma ciò che avevamo, sognano ancora di
    rivivere, magari per un attimo soltanto, l’esaltante
    emozione di chi chiedeva alle stelle, quando di sera si
    affacciavano gratuitamente nel cielo, di mettere le
    ali ai sogni e non le rotelle ai banchi dei nipoti.
    Tra le mani sto girando e rigirando una fotografia in
    bianco e nero che ritrae su carta lucida l’intera classe a
    fine anno scolastico e ogni volta che lo sguardo
    indugia e poi si arresta tento di dare un nome a quel
    volto e un senso al suo ricordo . Caro Domenico, non
    posso dimenticare che dalla tua mamma ho appreso la
    dolce abitudine della merenda del pomeriggio, e a te
    Michelangelo lascia che dica semplicemente grazie.
    Sul retro , scritta con la stessa incerta calligrafia di
    tanti anni fa, una indicazione precisa : “Conservare in
    luogo asciutto, possibilmente lontano dall’emozione” .
    E se non fosse soltanto un consiglio ?

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