Adesso lo chiamano pomposamente “foliage”, uno dei tanti francesismi che con ancora maggiori anglicismi fa ormai parte del nostro linguaggio corrente. Un tempo erano i colori e le sfumature dell’autunno, quella tavolozza di colori che va dal giallo pallido all’ocra intenso, passando per il marrone e finendo nelle varianti del bronzo.
L’estate si è ormai defilata, non la rimpiangeremo. Ogni stagione ha una immagine allegorica: l’autunno mi fa pensare a una donna bellissima che, prima dell’inevitabile declino, si concede nel suo massimo splendore. Per chi si appresta a percorrere con lei il viale del tramonto, un viale che dovrà suscitare grandi emozioni in chi lo osserva e lo percorre, si ammanta di colori, sfumature, ricopre gli alberi di frutti e lo stesso il terreno.
È la stagione che ci regala il maggior numero di frutti. Il bosco, a parte la policromia, offre castagne, nocciole, frutti selvatici ma non per questo meno gradevoli, come le meline, ricche di pectina da usare in sostituzione dei conservanti per le marmellate, poi i corbezzoli, le corniole.
Se teniamo gli occhi bassi possiamo incappare nello spettacolo, secondo me, più bello di quando si va per boschi: i funghi.
Al di là del magico porcino, il boletus edulis, la cui visione è una delle gratificazioni maggiori – oggi purtroppo sempre più raro, almeno in certe zone, data l’incuria in cui versano molti boschi, ormai inaccessibili, con grossi depositi di foglie e piante schiantate – molti sono gli esemplari, anche se meno pregiati, quali finferli, il porcino di fiele, il leccinum, i pinaroli, senza dimenticare il re della categoria, l’ovulo reale appunto, (l’amanita caesarea); il nome e l’aspetto non devono trarre in inganno e farci distogliere l’attenzione: questo esemplare ha un pessimo fratello, l’amanita muscaria, ovolo malefico, bellissimo, ma con una alta tossicità, da evitare.
Il bosco ha una sua stagionalità, ognuna con caratteristiche ben precise. L’autunno è, a parer mio, la più suggestiva, camminare in un bosco in questo periodo, è quanto mai rilassante, oserei terapeutico, da qualsiasi angolazione lo si osservi, in basso, altezza uomo, in alto. Abbiamo la fortuna e il privilegio di avere un bosco a disposizione lungo lo Stura, con sentieri in discrete condizioni, la cosiddetta Corona Verde. Andrebbe un po’ migliorato e ripulito, è un territorio molto variegato: piccoli specchi d’acqua, ruderi colonizzati da rampicanti, radure inaccessibili. Il bosco è popolato da abitanti che vi trovano sostentamento e protezione, a volte si manifestano, quando c’è silenzio, soprattutto la notte quando ne sono gli indiscussi guardiani, mancando il grande predatore: l’uomo. Mi piace pensare a dei sabba fra gli allocchi, animali rapaci per eccellenza, col picchio alla perenne ricerca di larve, il colombaccio, la ghiandaia, il tasso, i conigli selvatici, i roditori. Mi sono chiesta molte volte come potrebbe essere la vita sociale in questo contesto.
A breve le temperature si abbasseranno bruscamente, le foglie e gli ultimi frutti cadranno. Si dice che le ultime foglie a cadere siano quelle del faggio, spesse e coriacea e rimangono secche sul ramo anche fino a primavera, se invece repentinamente cadono significa che le truppe del generale inverno sono arrivate.
L’autunno, la calma dopo la calura e i vizi dell’estate, la giostra dei colori prima della monocromia dell’inverno, le folate improvvise di vento leggero che fanno volteggiare e poi cadere al suolo le foglie rimaste sui rami, forse speranzose di restarci… Impossibile, la natura non si ferma, la sua regola è il moto perpetuo. Laddove il ciclo volge al termine un piccolo accenno di gemma sta a significare che tutto è pronto per il riposo, ma immediatamente dopo ci sarà la ripartenza.
La vita in natura è incessante, e incessante è la bellezza di ciò che ci offre, dobbiamo avere un buon senso di osservazione e la capacità di entrarne in sintonia, lo spettacolo è assicurato, sempre.