Una casa per tutti

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Ancor più nel periodo in cui le vie del centro sono affollate per fare acquisti e le famiglie si ritrovano, per le feste di fine anno; ancor più del solito, vedere persone, di tutte le età, diverse anche piuttosto anziane, che dormono all’aperto, su un giaciglio improvvisato, fatto di cartoni e stracci, spezza il cuore. Parlare di casa significa anche affrontare la realtà di molte persone che hanno problemi di pignoramenti, sfratti, reddito tale da rischiare il distacco di acqua, luce e gas o addirittura rinunciare a curarsi. Sappiamo che accade ovunque, quotidianamente, anche se meno evidente. E ci pare impossibile che non si sia ancora trovata una soluzione a questi problemi. Ho avuto l’opportunità di recarmi in Bielorussia e anche a Cuba, due Paesi in continenti diversi, ma per certi aspetti simili, di cui le statistiche dichiarano un reddito medio molto più basso del nostro. Sono uscito di sera nelle rispettive capitali e ho notato l’assoluta assenza di persone costrette a dormire in strada. Da noi, a parte l’ammirevole disponibilità di pochi volontari che cercano di alleviare, in qualche modo il disagio delle persone in questa situazione, le istituzioni che fanno? Ho trovato un’iniziativa relativamente recente: il 21 gennaio 2021 il Parlamento Europeo chiede, con una risoluzione, ai tutti i Paesi UE, d’intervenire per risolvere l’emergenza abitativa, assicurando alloggi a prezzi ragionevoli. Richiede inoltre agli Stati membri di riconoscere gli alloggi adeguati come un diritto umano fondamentale. Perfetto! Si saranno riletta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani? Sempre secondo il Parlamento Europeo, tutti dovrebbero avere pari accesso ad abitazioni salubri, fornite di acqua potabile, riscaldamento, fognature e servizi igienici. Nella loro risoluzione, gli europarlamentari hanno posto la richiesta di porre fine al fenomeno dei senza fissa dimora, entro il 2030. Onestamente il 2030 è ancora piuttosto lontano e, dal momento che il problema tende ad aumentare, mi chiedo a quali livelli sarà allora. Quell’invito non sarà stato sicuramente il primo e non sarà l’ultimo, nel frattempo praticamente che si fa? Temo abbastanza poco, per non dire nulla. Non tutti sanno che in Italia un’abitazione su 10 risulta inutilizzata e che, esiste un enorme patrimonio dismesso, quasi del tutto sconosciuto e abbandonato. Lo denunciano Alessandro Bianchi e Bruno Placidi in un saggio ricco di dati e intitolato “Rigenerare il Bel Paese”. Bianchi è stato ministro nel secondo governo Prodi, urbanista e docente universitario. Si tratta di un deposito di risorse e opportunità, un asset pubblico che risulta dismesso e quindi sprecato. In sintesi si tratta di 100mila unità di fabbricati inutilizzati per circa 23 milioni di metri quadri. E il paradosso è che la proprietà di questi immobili coincide con l’amministrazione pubblica, che ha il potere di decidere possibili trasformazioni d’uso. Un patrimonio che, una volta riqualificato, potrebbe ospitare funzioni pubbliche che introducano nuove attività culturali e sociali e dare una casa a migliaia di persone. Sono 66.800 le unità residenziali inutilizzate, per poco più di 3,5 milioni di metri quadri. Sono diverse le variabili nel definirne il valore di mercato. Scrivono i due autori del saggio: il valore patrimoniale complessivo dei soli fabbricati censiti, non utilizzati, ammonta a circa 12,2 miliardi di euro. Quindi, non sarebbe necessario rubare altro terreno all’agricoltura, asfaltare e cementificare, perché ci sono migliaia di edifici che non attendono altro che li si reimpieghi, che riprendano un aspetto decente e efficiente, che vengano destinati ad un utilizzo pubblico o privato, ma soprattutto che diventino dignitose dimore per coloro che il destino sta penalizzando, e sono trattati, ahimè, molto peggio dei cani randagi. Recentemente ho seguito una nota trasmissione di giornalismo investigativo, in cui si accusava l’amministrazione di un comune veneto, d’impronta leghista, di aver negato la casa a una famiglia, tra le prime in graduatoria, semplicemente perché non erano di origine italiana. Secondo me, coloro che si accingono ad occupare posizioni nell’amministrazione pubblica dovrebbero essere sottoposti ad un esame di abilitazione, ancor prima di essere candidati. E le materie d’esame dovrebbero essere: naturalmente una buona conoscenza della lingua nazionale, ma anche degli articoli più significativi della Dichiarazione Universale, che, come si sa, riconoscono a ogni individuo gli stessi identici diritti. Nello specifico l’articolo 25 recita: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».

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Ernesto Scalco
Sono nato a Caselle Torinese, il 14/08/1945. Sposato con Ida Brachet, 2 figli, 2 nipoti. Titolo di studio: Perito industriale, conseguito pr. Ist. A. Avogadro di Torino Come attività lavorativa principale per 36 anni ho svolto Analisi del processo industriale, in diverse aziende elettro- meccaniche. Dal 1980, responsabile del suddetto servizio in aziende diverse. Dal '98 pensionato. Interessi: ambiente, pace e solidarietà, diritti umani Volontariato: Dal 1990, attivista in Amnesty International; dal 2017 responsabile del gruppo locale A.I. per Ciriè e Comuni To. nord. Dal 1993, propone a "Cose nostre" la pubblicazione di articoli su temi di carattere ambientale, sociale, culturale. Dal 1997 al 2013, organizzatore e gestore dell'accoglienza temporanea di altrettanti gruppi di bimbi di "Chernobyl". Dal 2001 attivista in Emergency, sezione di Torino, membro del gruppo che si reca, su richiesta, nelle scuole.

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