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mercoledì, Dicembre 4, 2024

    Una spremuta di…A.F.

    Non, non intendo fare un frullato di me stesso (Alessandro Forno), non penso proprio di offrire roba indigesta a rimorchio delle opulente festività appena trascorse; con A.F. intendo parlare, purtroppo, di una bestia ben più stomachevole… di un boccone decisamente più difficile da digerire… sto entrando con voi nel mondo horribilis dell’ Analfabetismo Funzionale.

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    Con queste due parole si intende indicare, oggi, l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. Si traduce, in pratica, nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni che riguardano l’attuale società.
    È un problema che si scontra in pieno con la natura stessa dello sviluppo sostenibile, inevitabilmente complessa, ma anche con un semplice dato di fatto: a seguito della rivoluzione digitale, la stragrande maggioranza dei dati mai creati dall’homo sapiens è stata creata negli ultimi anni (basta un intervallo stimato tra due e dieci anni per arrivare al 90% di tutti i dati). Una sovrabbondanza che la nostra specie non ha mai dovuto affrontare prima e che, senza gli strumenti cognitivi adeguati per farvi fronte, trasforma una realtà complessa in una complicata, impossibile da decifrare.
    E quanto non si conosce, come sappiamo, spaventa; lo abbiamo drammaticamente constatato con il Covid19, con l’ informazione ‘mainstream’, con le pirotecniche giravolte informative sui social, con l’approccio pseudo scientifico delle ‘conoscenze’ mediche del fai da te giornalistico.
    E noi, in Italia, ne abbiamo, eccome, per preoccuparci.
    In media un giovane italiano su cinque abbandona la scuola secondaria di primo grado senza concluderla. L’Italia è il penultimo Paese europeo per quota di popolazione totale laureata ed è anche quello in cui meno di un adulto su dieci partecipa ad attività di apprendimento permanente.      Ma il problema principale  dell’Analfabetismo Funzionale non sta tanto nel titolo di studio, quanto nell’incapacità di districarsi nella complessità quotidiana della vita, rischiando di affogare, quotidianamente, in un mare di false certezze, di informazioni e dati mai verificati, di realtà virtuali, di superficialità, di becero pressappochismo.
    “Mio cugino conosce il vicino di casa di un medico che ha parlato con un virologo che, sembra, abbia partecipato a una trasmissione sul virus…”
    l’Italia è quarta tra i Paesi Ocse per la maggiore incidenza di adulti con problemi di corretta comprensione delle informazioni; solo Indonesia, Turchia e Cile fanno peggio.
    In altre parole,  più di sette italiani su dieci(contro una media Ocse del 49%) sono analfabeti funzionali o hanno capacità cognitive e di elaborazione minime.
    Un bel problema, vero?
    E pensare che lo spunto per questo articolo non è emerso da un evento recente, bensì dalle parole di un uomo che ci ha lasciati più di cinquant’anni fa, Don Lorenzo Milani.
    Il prete di Barbiana che dedicò gran parte della sua esistenza all’istruzione dei suoi ragazzi di montagna nella ‘Scuola di Barbiana’, l’autore di ‘Esperienze pastorali’ e, soprattutto, coautore, con i suoi allievi, del tanto amato e altrettanto discusso, ‘Lettera ad una professoressa’.
    Don Milani che chiedeva una scuola inclusiva, formativa per tutti, non classista e che, di contro, per molti è stato il precursore del “non bocciare” a prescindere, della scuola appiattita su se stessa,  causa primaria, appunto, dell’analfabetismo funzionale…
    Eppure il prete di Barbiana scriveva, in una delle sue tante lettere: “Ciò che manca ai miei [allievi] è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude.”L’essenza stessa della lotta al l’analfabetismo funzionale, la capacità di comprendere, valutare, analizzare: condividere.
    Non so quante e quali possono essere le responsabilità della scuola ai giorni nostri nel non fornire ai giovani gli strumenti essenziali per una corretta alfabetizzazione, non so se in qualche modo Don Milani favorì un impoverimento formativo o anticipò invece, con chiarezza, i rischi di una scuola elitaria, tecnica ma inadeguata a mettere a disposizione gli strumenti culturali adeguati per una vita sempre più complessa, ma la certezza, oggi, è che non possiamo permetterci di tergiversare: il rischio di una diffusa e inconsapevole ignoranza è altissimo e non possiamo permettercelo.
    La vera pandemia non è virale, quanto culturale, e se non troviamo presto il giusto ‘antidoto’ si prospetteranno tempi bui.
    Soluzioni? Non sono certamente semplici, forse la condivisione dei saperi e delle competenze, andando al di fuori della didattica tradizionale, può condurre ogni comunità verso uno sviluppo migliore delle proprie abilità. Fondamentale sarebbe rendere alla portata di tutti l’inclusione alla formazione, sia nella scuola che nel lavoro, in modo da permettere una maggiore diffusione delle capacità e delle competenze funzionali ai rapporti interpersonali. Il miglioramento delle conoscenze rimane di grande importanza soprattutto nel coinvolgimento di un maggior numero di persone, partendo dal territorio locale fino ad arrivare ad un livello internazionale.
    Insomma, parrebbe dover ricalcare le parole di Don Milani… “La lingua non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita di ogni uomo, dal primo all’ultimo che si vuol dire uomo. Il dominio sul mezzo d’espressione è un concetto che non riesco a disgiungere da quello della conoscenza delle origini della lingua. Finché ci sarà qualcuno che la possiede e altri che non la possiedono, questa parità base che ho chiesto sarà sempre un’irrisione.”

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