Provare a riunire una città spaccata a metà

Abbiamo intervistato Luca Alberigo, l'ideatore del gruppo Facebook “ Caselle Torinese

0
917

Nato nove anni fa, quando i social erano all’inizio della loro storia e non si sapeva bene ancora come usarli, il gruppo di Facebook “Caselle Torinese” ha raccolto nel tempo migliaia di iscritti. Oggi questa community è cresciuta di pari passo con l’aumento demografico del Comune, dimostrando di essere un valido strumento per mettersi in mostra, confrontarsi su questioni quotidiane e aspetti della vita pubblica sempre in tema “casellese”. Ci ha incuriosito il lancio di alcune iniziative che vertono sui temi di politica locale e che si propongono di creare interazioni fra gli iscritti, facendo emergere opinioni, proposte e critiche. Stiamo parlando del sondaggio lanciato in vista delle prossime elezioni corredato di un vero e proprio questionario che raccoglie bisogni, segnalazioni, problemi della nostra città. Di sicuro i suggerimenti non sono mancati e potrebbero essere utili per chi governerà prossimamente.
Il suo ideatore, e community manager del gruppo, è Luca Alberigo un esperto in Digital Marketing, che svolge con passione questa funzione da sempre e opera affinché si crei interazione, interesse e non si superino i confini delimitati dal regolamento del gruppo Facebook: lo abbiamo incontrato per conoscerlo
Ti occupi da sempre di questa community. Come ti sei ritrovato in quest’avventura?
Ho deciso di creare questo gruppo in un momento in cui i social non erano ancora al centro delle vite di tutti. Non si sapeva bene come usarli, capitava spesso che le persone meno edotte sul piano digitale, postassero cose private sui “wall” pubblici delle persone con cui erano entrate in contatto. Eravamo all’inizio e tutto aveva un sapore pionieristico.
Visto che la mia professione è sempre stata incentrata sulla tecnologia, sulla comunicazione e sulla pubblicità, ho pensato che avere un punto di osservazione privilegiato avrebbe potuto fornirmi qualche spunto per comprendere meglio le dinamiche di interazione tra persone non native digitali che, appunto, non avevano grandi precedenti alle spalle.
Ciò che è arrivato dopo è stato il fatto, che le persone sono persone e le interazioni sono reali. La gente si indigna, si informa, si arrabbia, litiga, capisce o non capisce, pur pensando di sapere già tutto… Da lì, mi sono ritrovato a voler sfruttare l’opportunità di raggiungere tante persone insieme, cercando di far emergere il lato virtuoso e positivo di questo strumento.
Sei esperto in Digital Marketing e hai anche scritto un libro, ce ne parli?
Mi occupo di digital marketing, in un’azienda che fornisce supporto tecnologico ad altre aziende, per aumentare la propria visibilità o per vendere i prodotti attraverso i canali digitali.
Volevo parlare di alcune dinamiche che regolano il mercato italiano e che professionalmente, mi trovo ad affrontare spesso. Molti dei nostri clienti sono imprenditori di seconde o terze generazioni, che non hanno sviluppato conoscenze tecniche o competenze digitali e affrontando questo percorso di trasformazione in maniera discontinua, sottodimensionata e con poca convinzione. Ho scritto questo libro, “Verso un’ecologia del Web – la via italiana al digital marketing”, pubblicato con Golem Edizioni, basandomi sulla mia esperienza diretta proprio per descrivere il nostro sistema, fare un po’ d’ordine sul piano operativo e strategico e, infine, descrivere quali potrebbero essere gli approcci più funzionali per sfruttare al meglio il digitale.
Che idea ti sei fatto dei social in tutti questi anni?
I social rappresentano oggi qualcosa che dieci anni fa non esisteva. Se ci pensi, è un concetto gigantesco. Ci siamo immersi in un ecosistema regolato da algoritmi molto sofisticati, che hanno l’obiettivo di trattenerci online il più a lungo possibile, “somministrandoci” ciò che l’algoritmo pensa possa interessarci. È affascinante e inquietante allo stesso tempo.
La spontaneità, la voglia di raggiungere persone lontane e far sapere loro che si sta bene, che i figli crescono, rappresentano una leva.
Poi ci sono quelli che pubblicano foto per far vedere (o far credere) di vivere una vita migliore di quella che nella realtà vivono. L’invidia, ma anche l’illusione di un se migliore della realtà, sono leve fondamentali nei social.
Poi ci sono quelli che usano i social per sfogare le tensioni, con una rabbia e un’aggressività che, solo dopo anni, ha iniziato a incanalarsi verso una normalizzazione. Nei primi anni del mio gruppo, non so quante persone ho salvato da querele e denunce per un uso criminale e scollegato dalla realtà che facevano dello strumento, spesso senza rendersi conto delle potenziali conseguenze.
Ci siamo ritrovati tutti con un megafono in mano, senza aver compreso la portata e la pericolosità che sta dietro a qualcosa che viene pubblicato online e che, volente o nolente, lascia tracce incancellabili. Un discorso simile andrebbe fatto per i ragazzi, spesso abbandonati davanti ai dispositivi connessi, pensando che siano al sicuro in casa, sul divano e senza rendersi conto che oggi la violenza, il bullismo e l’hate speech possono raggiungere chiunque e ovunque. È certamente un discorso complesso, che meriterebbe un passaggio ad hoc, ma lo sento molto importante e vicino a me, essendo io padre di due bambini che frequentano la scuola primaria a Caselle.
In questo gruppo social tu hai il compito di mantenere l’ordine ed eventualmente di richiamare al giusto comportamento e il rispetto delle regole, chi decide queste regole e inoltre, come decidi chi escludere dal gruppo?
L’ordine ha il brutto vizio di essere imparziale e oggettivo, soprattutto in presenza di regole chiare e condivise (il regolamento, periodicamente, viene fatto rivotare dagli iscritti).
Cerco sempre di discutere con chi esagera o travalica il rispetto e l’educazione verso gli altri. A volte la cosa si ricompone e si passa oltre. Altre volte, soprattutto in presenza di malafede e atteggiamento aggressivo, non si può ricomporre la cosa in maniera pacifica e, purtroppo, mi tocca escludere l’utente in questione dal gruppo.
Interagisci quasi quotidianamente, in questo gruppo facebook di Caselle Torinese, spesso posti informazioni utili che raccogli qua e là, proponi iniziative organizzi sondaggi, stimoli dibattiti; è però anche un po’ un tuo blog, o no? Sembra che tu voglia stimolare la partecipazione delle persone. Come lo senti e lo intendi questo gruppo?
Il gruppo è per me il modo di raggiungere e coinvolgere soprattutto “i nuovi casellesi”.
Specialmente in quest’ultimo periodo, mi rendo conto che il nostro paese è spaccato in due enormi parti. Da una parte, quelli che vivono a Caselle da tanto tempo e che si conoscono magari anche da generazioni, che fanno parte del tessuto decisionale, organizzativo e infrastrutturale.
Dall’altra parte “i nuovi casellesi”. Non si sa chi siano e, spesso dimenticati dalla politica, vengono presi in considerazione in prossimità del voto e per la riscossione dei tributi locali.
Sono persone che, a torto o a ragione, si disinteressano del paese e lo vivono solo in maniera funzionale al dormire, portare i figli a scuola e fare la spesa. Il resto è noia, disinteresse e frustrazione.
Recentemente pensando alle prossime elezioni a Ssindaco hai lanciato un’iniziativa, che raccoglie le opinioni della gente su ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare chi governerà nella prossima giunta. Questo ha incuriosito molto pubblico, infatti il tuo sondaggio, sta ottenendo molte risposte. Ma hai mai pensato di scendere in politica? Cosa pensi delle elezioni?
Una domanda molto diretta, ci sta.
Che merita una premessa: di fatto io già faccio politica da nove anni. Non ho un ruolo istituzionale, non ho un incarico formale, ma mi interesso della collettività, del paese in cui viviamo e cerco di far circolare dubbi, domande, catalizzare proteste, fornire risposte e informazioni attraverso un vero e proprio canale informativo.
È noto che il problema di un certo tipo di politica, non solo locale, è che spesso è intrisa di interessi personali e giochi di potere. Quindi, anche quando qualcuno si adopera su queste tematiche, e anche se apparentemente non si vede altro, il pensiero generale è che “dovrà esserci certamente dietro qualcuno che manovra”.
Mi spiace, ma dietro alla mia attività ci sono solo io, nel bene e nel male.
Oggi potrei considerare un impegno di carattere politico, a valle di un percorso elettorale.
E, se decidessi di impegnarmi, lo farei per tre motivi:
Prima di tutto vorrei rendere fieri di me, in primis i miei figli, e poi le persone che mi sono vicine le persone che mi darebbero fiducia per mettermi nella condizione di fare qualcosa di tangibile, di buono per la collettività;
Il progetto politico poi, dovrebbe farmi stare tranquillo e farmi sentire in pace con me stesso. Su questo, non ci sarebbe spazio di trattativa. Ho dei valori etici e morali e intendo rispettarli senza deroghe;
Lo farei per uscire dalla “realtà virtuale” dei social. Lo farei per accorciare le distanze tra i vecchi e i nuovi cittadini, snellire i punti di contatto e confronto con le istituzioni e rendere più “reattivo” e a dimensione di cittadino il contatto coi vari attori coinvolti nella quotidianità politica.
Quindi, “sì”, se tutte queste condizioni fossero soddisfatte, mi potrei impegnare, valutando proposte, progetti e proponendo ciò che mi piacerebbe portare a beneficio comune; e “no”, non sono già coinvolto in qualche progetto elettorale, anche se sono già stato contattato da più parti che, a breve, scenderanno nell’agone politico.

- Adv bottom -

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.