La contesa del Rivo Rabbiosa

Parte seconda

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Mesi fa si è ampiamente parlato delle cause che, dal Cinquecento fino al XVIII secolo, portarono le due comunità di San Maurizio e Caselle a litigare per il possesso dell’acqua del Rivo Rabbiosa che era di fondamentale importanza per l’economia, sia nell’agricoltura per l’irrigazione, sia nell’industria per le numerose ruote idrauliche, soprattutto nei periodi di “magra” della Stura.
Come è andata a finire lo abbiamo visto, ma è interessante soffermarsi ancora sulle carte annesse alle liti, in particolare a quelle della causa cinquecentesca, con le numerose testimonianze dell’una e dell’altra parte, soprattutto per il risvolto umano, ma anche per vedere che, in fondo, i problemi dei processi, delle testimonianze e della loro attendibilità non erano diversi da quelli di oggi.
L’inizio delle testimonianze
La comunità di S. Maurizio “.. narrata la concessione loro fatta d’una rugia detta la Rabiosa, da cui sogliono derivar l’acqua a loro prati dal tempo di detta concessione pacificamente e senza contradizione della Comunità di Caselle, salvo nella presente molestia per cui la Comunità di Caselle pretenda dovere star aperto a loro beneficio un boccheto di detta roggia, chiede mandar prendersi informazioni siccome detto boccheto è solito star chiuso e mantenersi la Comunità nel possesso o quasi di detta roggia ed acque d’essa, con inibirseli da quei di Caselle molestia sopra la medesima…”.
Così con lettera del Duca Carlo di Savoia del 25 gennaio 1529, vennero incaricati i tre Commissari incaricati della causa di sentire numerosi testimoni (ne vennero ammessi 30 per parte) per “…prendere sommarie informazioni sovra il possessorio … rimettendo le parti, fatto l’esame, avanti al Gran Cancelliere”.
Ma già ancora prima di sentire i testimoni, iniziarono le eccezioni di regolarità, quando uno dei Commissari preposti, il sig Lorenzo de Ferrari, chiamò a giurare e deporre i testimoni da esaminarsi nel luogo di San Maurizio.
Subito la Comunità di Caselle eccepì con una “supplica” formale che il luogo non era opportuno, chiedendo anche che venisse “rimosso detto Commissario Ferrary provederseli d’altro non sospetto, e mandar farsi l’esame in altro luogo non sospetto … a protesta di nullità delle stesse”.
Così, a seguito delle lettere ducali, il 12 febbraio 1529 “si è mandato a suddetti Commessari farsi l’esame nel luogo più vicino”, nominando in aggiunta Cristoforo De Grassi, anch’esso Commissario Ducale, ad assistere agli interrogatori nella vicina città di Ciriè.
Il 12 febbraio iniziarono gli interrogatori dei primi tre testimoni per parte della Comunità di San Maurizio: Antonio Payla, Gioanni di Turina, Domenico di Giacolino, che avevano giurato nelle mani del predetto Commissario “toccate corporalmente le sacre scritture de veritate dicenda di quanto sapranno.. “.
Riportiamo come esempio parte della prima di queste testimonianze:
“Antonio Payla di Ciriaco depone sapere, che del tempo di sua memoria e sempre da 12 o sian 10 anni passati sino ad 8 o 7 anni scorsi conversò nelle vicinanze della Roggia nova e Rabiosa e del boccheto, de’ quali in detta supplica, alle volte una volta, alle volte due volte l’anno, e da detti otto, o sette anni in qua che conversò in detti siti venti volte circa, alle volte più alle volte meno, secondo le contingenze, ha veduto in dette volte che ivi conversò detta Rogia nominata la nuova, che quelli di Sanmorizio prendono nella Rabiosa di Stura verso le fini di Sanmorizio; ha pur veduto detto bocceto chiuso, e non ha mai sentito a dire che quelli di Caselle abbino impedito, o data molestia a quelli di S.Morizio, salvo la presente, e quest’è quanto vedendo causa di sua saputa per ciò che sopra ha deposto.
Interrogato per qual causa lui teste conversando detti contorni della bealera e bocheto sudetti, se per veder esso boccheto chiuso, o aperto, o per qual altra causa. Risponde che da 12 ad otto o sette anni passati vi conversò per pescare, e divertere l’acqua a di lui prati, et alle volte quella derivava dal bocheto su cui ora pende lite tra Caselle e Sanmorizio.
Interrogato come sappia e si ricordi che il bocheto di cui depone, al tempo da lui asserito fosse chiuso ed otturato, e se tale otturamento inpedisse il corso dell’acqua nell’alveo sia Rabiosa, se in tutto, o parte, e se la chiusura era antica o fatta di nuovo, come e di che fosse fatta. Sa esser fatta di teppe e terra, e ne scola alquanta aqua, la quale lui teste, e suoi consorti prendono per adaquare i loro prati, e alle volte asciugano detto boccheto, non hanno però mai osato aprire sendo imposta la penale di scudi 50 a chi l’apre, verso la Castellania di Ciriaco, ed altro non sà esprimere.
Interrogato come sappi, che detta Rogia, che prendono quelli di Sanmorizio, si pigli dall’acqua Rabiosa, e si chiami bealera nova et ove abbi l’origine e fine la medesima e per quali fini discorra. Sa che si piglia nella Rabiosa, perchè l’ha veduto, qual Rabiosa si fa dalle colte de prati e beni di Ciriaco, prende l’origine in dette fini e per quanto scorre per quella si chiama Rabiosa, e quando comincia scorrere sulle fini di Sanmorizio si chiama Roggia nuova, e così vien da lui e da altri particolari di Sanmorizio chiamata, e va finire sulle fini di Sanmorizio ove si dice a Malangherio, non ha però veduto il fine d’essa bealera.
Interrogato se tal bealera nuova di quelli di Sanmorizio sia stata fatta e scorra tutta e solamente dell’acqua della Rabiosa od anche da altra aqua, e se la Rabiosa sia un solo rivo ed alveo, o più, ed a qual luogo discorra. Dice farsi da più fonti e scolatizj delle fini di Ciriaco e di Sanmorizio, e detta bealera nova prendere l’origine da detta Rabiosa da più fonti e scolatizj adunati, e non saprebbe spiegar di più”.
La testimonianza, come tutte le altre, termina con la dichiarazione delle proprie generalità: “ di Ciriaco, et ivi abitante, d’anni 40 circa massaro del suo, negozia qualche volta in bestiami, in beni scudi mille. Non ha interesse, ne spesa, ne quadagno da sua deposizione, non subordinato, amico delle parti, non ha lite con quelli di Caselle”.
Il Rivo Rabbiosa secondo le testimonianze cinquecentesche
Per quanto riguarda le origini delle bealere, una delle dichiarazioni più precise fu quella del Commendabile Martino Balma “di Ciriaco fu et è solito andar a caccia di lepri nelle fini di Ceriaco di Sanmorizio e di Caselle e da 20 anni in qua di detto suo esercizio, sa ed ha veduto l’origine della bealera Nuova, e del rivo Rabiosa, questo proviene da due ritani, l’uno de’ quali vien formato dalle scaturienti de fonti che nascono nei prati de’ Cavallerij, e l’altro chiamato la Rabiosa dagli scolizj de prati di Ciriaco anche da scaturienti nel prato delli Ferrareti di Ciriè, indi esse scaturigini discendenti per li predj de particolari di Ciriè vengono ad unirsi in una lama chiamata lama rotonda. Nella parte inferiore d’essa lama vi è e vi ha sempre per detto tempo veduta una ficha, o sia chiusura fatta di pietre, e teppe, che impedisce che l’acqua della lama scorra inferiormente e fuori della detta bealera nuova, tal che l’acqua congregata de suddetti due rivi scorreva e scorre come ha veduto per la bealera di quelli di Sanmorizio chiamata la Roggia nuova, e detta ficha o chiosura l’ha sempre veduta fatta e chiusa nel modo predeposto…”.
Quello che è interessante capire da tutte le varie testimonianze è non solo come e dove si originava il rivo Rabbiosa e le altre bealere, ma anche quale era la vita che si svolgeva quotidianamente nelle nostre campagne.
C’era chi andava a pescare nei fossi, chi per irrigare, chi solo per controllare che non ci fossero danni ai propri beni e poi chi andava a caccia come Domenico Caffassi di Robassomero che da 15 a 16 anni andava per “le fini e beni di Ciriè a caccia colli S.ri Provana di Leiny, ed Archatori di Fiano”.
Ovviamente i testimoni portati da San Maurizio dichiaravano che la derivazione per la bealera di Caselle era sempre stata chiusa, mentre quelli nominati da Caselle testimoniavano il contrario, ma alla fine tutti concordavano che una derivazione, chiusa o no, per Caselle esisteva.
Le generalità dei testimoni
Interessanti anche le generalità dichiarate, che esprimono uno spaccato degli abitanti della zona, dai più poveri ai benestanti, in cui dovevano dichiarare anche se avevano o meno interessi particolari nella causa stessa.
Così troviamo Reinero di Reinero che dichiara essere “abitante nelle fini di Ciriaco, è agricultore, d’anni 60 circa; ha in mobili e bestie il valore fiorini 200, amico di tutti, non spera comodo ne incomodo, vinca chi ha ragione”.
Oppure il Venerabile Prete Bartolommeo Capelleri di Ciriaco di anni 60, Sacerdote, con beni del valore di cento ducati che ha dimorato 22 anni in San Maurizio come Curato di quella chiesa, “ove coll’occasione ha avuto più compadri e comadri, e vi ha tre nipoti exsorore, vi ha pur una casa e diversi campi e prati ecc. ha però deposto della verità”.
Poi abbiamo Antonio Bogy di Laoneco abitante in Ciriè da 18 anni, pescatore e follatore di panni, d’anni 40 circa, e Giacobino Chiri di Nole da 7 anni servitore di Pietro Parafauda di San Maurizio, lavoratore, d’anni 30 circa, che ha come beni una casa in Nole del valore di 4 fiorini; vive del suo lavoro, e “ancora oggi servo di detto Parafauda di San Morizio, a cui vorrebbe far piacere in debitis et honestis”.
Giacobo Muceti di Ciriè, d’anni 40 circa mercante di bestie, vino e grano, “in beni scudi 300, la di lui moglie è di Sanmorizio figlia dell’egregio Gio’ Nasi Segretaro, in qual luogo ha molti parenti si a riguardo della sua moglie, che di altre sue affini ivi maritate”.
Poi abbiamo come testi anche persone direttamente interessate, come Gioannello Angesia “notaro borghese e Clavario di Ciriè e scriba d’essa Comunità, d’anni 27 circa, in beni scudi mila. Egli ha nel luogo di Sanmorizio molti parenti. Et ivi ha molti debitori per cause diverse quos creavit partim dictus ejus pater, partim idem testis. In caso di succombenza di Sanmorizio nel presente giudizio, bisognerebbe lui teste contribuire a rata di suo segretaro all’imposizione che si facesse per le spese”.
Testimonianze per screditre i testimoni
Non mancarono poi i testi portati per screditare quelli della parte avversa, come ad esempio quello riferito a Giacobo Caffarri, il quale “anni due o 3 circa fa ha alienato alcuni beni lasciatigli dal Gio’ Bernardo suo padre, tal che pochi gliene sono restati; di qual voce poi, condizione, e fama sia non lo saprebbe dire; dice bensi che se il medesimo venisse a lui teste per qualche cosa, non gli farebbe credito”.
Oppure quello che conosceva “li Giovanni, Bernardo, e Michele fratelli Pechey esser riputati in Ciriè per uomini poveri et penitus nullatenenti e sospetti di furti de’ beni campestri”.
Per arrivare a chi “ha udito vociferasi il Bernardino Caffarri per litigioso e ruinoso dalli Pietro Gerbaudi, Gian Chioco, Domenico d’Amedeo, Michele Masani, e da altri di Ciriè di cui non si ricorda, quali prenominati coerenziavano alla pezza altenata che esso Bernardino avea in dette fini alla Gavacia e qual pezza, della di lui moglie, come sua vendette a Michele Masano, e cosi aveano a dire ogni giorno con il medemo, il quale pure anni due circa fa ha avuto da altercare con esso Bernardino, il quale rimproverava che avesse sradicato e trasportato un termine limitante l’alteno di lui in detta regione alla Gavacia consorte (confinante) all’alteno d’esso Bernardino e avendoli lui dato di mentire per sua gola, e di non aver trasportato il termine, detto Bernardino si slanciò per percuotere lui con una zappa, e lui andatogli sotto lo prese per la gola, e prostrollo a terra, benche adesso si salutano a vicenda, e parlano insieme”.
Numerose di queste testimonianze furono portate dalla Comunità di San Maurizio, tanto che quella di Caselle in suo memoriale del 2 Maggio 1531 ha detto “non esser vere ne verosimili le cose addotte contro le persone de’ testi esaminati, e tali difetti non veri, venirli aggettati ad arbitrio, e per calunnia protestando la cedolante d’ingiuria infertagli”, asserendo anche che l’avvocato avversario aveva opportunamente istruito i suoi testimoni.
Alla fine non sappiamo come il giudice avrebbe preso queste testimonianze, perché la lite terminò con una transazione tra le parti del 1° luglio 1532, ma poi all’inizio del XVIII secolo, con la ripresa delle attività industriali e la sempre maggiore necessità di acqua per i nuovi setifici e cartiere che si stavano realizzando sulle due bealere di Caselle, i contrasti per il possesso dell’acqua ritornarono sempre più forti.
Il progetto alternativo del ripartitore d’acqua
Come visto più dettagliatamente nell’articolo del numero scorso, dopo trent’anni di causa e dopo oltre due secoli di litigi tra le due Comunità, il 13 maggio 1767 venne finalmente stipulato un nuovo atto di transazione in cui le parti decisero di realizzare un nuovo e stabile ripartitore, in modo che una parte ben definita dell’acqua della bealera Nuova venisse deviata in un canale che andava a finire nella bealera di Caselle.
Abbiamo visto il progetto definitivo di questa opera idraulica, esistente ancora oggi, ma a completamento di quanto scritto, è interessante vedere un altro progetto proposto per la realizzazione di quest’opera.
Ricordo che il partitore doveva dividere l’acqua della bealera Nuova, in modo che San Maurizio ne ricevesse tre quarti, e Caselle il restante quarto, il tutto per rispettare l’antica transazione cinquecentesca del 1° luglio 1532, in cui veniva convenuto che l’acqua del Rivo Rabbiosa con tutte le acque e “scolatizi” nel medesimo cadenti, incluso anche il Ritano Poglioso, dovesse dividersi in modo che la Comunità di Caselle avesse in perpetuo il terzo dell’acqua mentre gli altri due terzi spettassero alla Comunità di San Morizio.
La transazione del 1767 prevedeva per Caselle solo un quarto dell’acqua, perché teneva conto di un nuovo tronco di bealera, chiamata “nuovissima” e realizzata in seguito sempre dalla Comunità di San Maurizio, che prendeva l’acqua direttamente dalla Stura per convogliarla nella diramazione in questione con lo scopo di aumentare la portata della bealera esistente.
Quest’acqua ovviamente non faceva parte del Rivo Rabbiosa, e quindi doveva restare a totale disposizione della bealera nuova di San Maurizio e per questo venne calcolato che la quota che doveva restare a Caselle fosse ridotta ad un solo quarto.
Negli atti della causa settecentesca, presenti nell’archivio storico di Caselle, è presente una planimetria realizzata sulla base delle testimonianze della causa cinquecentesca, che in modo schematico ben rappresenta queste diramazioni.
Nel disegno, che si vede nella foto allegata, si notano in alto i due rami del rivo Rabbiosa e del Rivo Poglioso che prendono origine da diversi fontanili nel territorio di Ciriè che convergono nella cosiddetta “lama o moglia rotonda” che nelle testimonianze viene descritto come una sorta di stagno rotondo.
Ancora oggi, se osserviamo la foto aerea qui allegata, vediamo che il terreno e il boschetto, posto dove esiste la diramazione, forma ancora una sorta di cerchio, antica testimonianza di questo “stagno”.
Da questo “laghetto” si diramava verso il basso un fosso che andava ad immettersi nella bealera di Caselle realizzata a seguito delle Patenti del 1337, che arrivava a sua volta dalla Stura, mentre verso destra partiva la Roggia Nuova di San Maurizio, costruita a seguito delle patenti Ducali del 1355 e che prendeva origine proprio da questo stagno.
Sulla sinistra si vede disegnato invece il nuovo tronco di bealera, chiamata Roggia Nuovissima, realizzata dalla Comunità di San Maurizio intorno al 1530, che dalla Stura portava ulteriore acqua in questo “stagno” per aumentare la portata della bealera sanmauriziese.
Alla luce di questa bealera nuovissima la Comunità di San Maurizio presentò un progetto alternativo per realizzare la diramazione, a firma dell’ing. Giuseppe Castelli, in cui sostanzialmente si prevedeva di diramare il terzo dell’acqua del Rivo Rabbiosa prima che questa confluisse nella bealera di San Maurizio.
Il progetto prevedeva che il Rivo Rabbiosa, indicato con la lettera H, venisse diramato prima dell’incontro della bealera, dopo di che due terzi sarebbero andati a confluire nella stessa, mentre il terzo di Caselle avrebbe attraversato con un cunicolo sotterraneo la bealera, formando una sorta di sifone, nel disegno indicato con la lettera N.
Questo disegno non venne però approvato, probabilmente per la complessità dell’opera stessa, sia per la sua realizzazione, sia per la sua futura manutenzione. Probabilmente venne anche giudicato che l’acqua che doveva attraversare in sotterraneo il canale, alla fine fosse inferiore al terzo dovuto, soprattutto nei periodi di scarsità d’acqua, senza dimenticare che la Roggia Nuovissima, arrivando da Ciriè, nel suo percorso raccoglieva anche una parte degli scolatizi che prima confluivano nel rivo Rabbiosa, il tutto a favore di San Maurizio.
Questo progetto è comunque interessante da vedere, e dimostra anche il livello di complessità che si era raggiunto nelle opere idrauliche del nostro territorio nel Settecento.

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