Mesi fa, tornando a casa, mi sono sintonizzato sulla radiocronaca di un incontro di coppa: una squadra era italiana. Ascoltavo un po’ distrattamente mentre guidavo e dai nomi che sentivo, pareva che la palla fosse sempre e continuamente in possesso della squadra avversaria e mai dei nostri.
Mi sono reso conto d’essere incapace di seguire una radiocronaca.
Avevo preso una cantonata: quegli stranieri indossavano i colori della squadra italiana; erano proprio gli italiani a mancare, così mi sono chiesto (come tanti), ma chi indosserà la maglia azzurra quando sarà il momento?!
Ed il momento è arrivato.
Tragico.
Calma! Parliamo di un momento tragico “calcisticamente”, senza scomodare le ansie e gli affanni di questo tempo oscuro.
Gli azzurri rimasti, quelli che fecero l’impresa a Luglio, non sono più gli stessi come mentalità, come idee, probabilmente con una dose di eccessiva supponenza che ha spalancato la porta ad un baratro che mai avevamo visto fino ad oggi.
Diciamo che ricorderemo questo 2022 come l’anno orribile per tutto, calcio compreso.
Così, con tanta mestizia, eccoci a guardare una disfatta inimmaginabile: come ha detto un commentatore, più grave della Corea del ’66, quando Pak Doo Ik ebbe il suo momento di gloria cristallizzato per sempre come un incubo, con la differenza che ai Mondiali c’eravamo.
Più grave dell’eliminazione da parte della Svezia con la Nazionale di Ventura, se non altro per la caratura degli avversari.
Chissà: forse un ricambio con forze nuove, un po’ più di coraggio, o semplicemente il tirare in porta: hai visto mai che ne entra almeno uno.
Nulla. La delusione ha travolto l’Italia intera, costretta a guardare i mondiali da casa, ripensando ai fasti ormai lontani.
Sessanta milioni di commissari tecnici soffriranno maledicendo tutti i tentativi andati a vuoto per la qualificazione prima e per i play off dopo.
Non è certo colpa del solo Jorginho se siamo rimasti a casa: ha sul groppone il peso di tre rigori decisivi sbagliati. Il primo nella finale con l’Inghilterra, (ed era un campanello d’allarme) e i due contro la Svizzera, pesano come macigni.
Stava mancando la benzina, e la spia lampeggiava mentre giocavano contro Svizzera, Bulgaria, Lituania, e poi completamente a secco contro la Macedonia, che un tempo avrebbero affrontato come un allenamento. No dai, contro la Macedonia avrebbe dovuto essere un tiro a segno tipo luna park.
Era finito tutto. Quel bel gioco spumeggiante e divertente fa parte ormai del passato.
E gli Inglesi godono.
Otto anni senza mondiali, una eternità ad arrancare, a faticare contro (diciamolo) squadrette, a sperare negli errori altrui, a fare i conti più meschini: se gli altri pareggiano… se la differenza reti…se …se…
Avremmo assistito da novembre a dicembre ad un mondiale certo lontano dagli ideali che lo hanno sempre contraddistinto, in un Qatar al di fuori di qualunque interesse per il calcio se non per un ritorno economico, in un caldo innaturale, e una superficie poco più estesa dell’Abruzzo, ma con sotto oceani di petrolio e gas.
Proprio quello che ci servirebbe adesso.
Fossimo andati, almeno avremmo potuto chiedere un nuovo allacciamento.
Alcuni di noi assisteranno insieme ai figli di otto anni che chiederanno a papi cosa siano i mondiali, e di farsi raccontare le gesta di quegli eroi, e della sensazione inebriante di giorni irripetibili, nell’attesa lunghissima che ci porterà, forse, oltre oceano nel 2026.