È passato più d’un mese da quando ho scritto lo scorso articolo per questo giornale, ma da allora sono cambiate molte cose: siamo di nuovo in stato di emergenza, questa volta non si parla più di Covid, ma di guerra. Per anni abbiamo vissuto nella pace ma ora stiamo provando la paura di un nuovo conflitto, tanto che i telegiornali si lasciano sfuggire il termine “Terza Guerra Mondiale”. Siamo tutti shoccati da ciò che sta accadendo, ma non dobbiamo dimenticarci di tutelare i bambini dall’enorme stress che stiamo subendo. Anche i minori sono quotidianamente esposti a notizie riguardanti l’emergenza collettiva, questo può causare in loro sentimenti di impotenza, disperazione, perdita di speranza verso il futuro.
Anche se la guerra è “lontana”i bambini ne sentono il pericolo. In psicologia questo fenomeno viene chiamato “traumatizzazione vicaria”: anche se un fatto traumatico non viene vissuto in prima persona, dal punto di vista emotivo ci sono le stesse reazioni come se fosse sperimentato direttamente. Come possiamo aiutare i più piccoli a tutelare la loro salute emotiva? Per prima cosa, dobbiamo aiutarli a sentirsi liberi di fare delle domande sulla guerra, e garantire loro delle risposte coerenti: non dobbiamo minimizzare o banalizzare i fatti al solo scopo di tranquillizzarli, ma essere il più sinceri possibile, ovviamente adattandoci alla loro età e possibilità di comprensione. A volte i bambini non fanno domande, soprattutto se temono di metterci in imbarazzo, ma ci osservano e si fanno un’idea di cosa sta accadendo. Come facciamo quindi a trasmettere sicurezza se siamo anche noi angosciati? Non possiamo nascondere i nostri sentimenti ai bambini, perché loro sono attenti osservatori, ma possiamo trovare un modo adatto per condividerli.
Come possiamo capire se i bambini, specie quelli più piccoli, sono in difficoltà? La cosa migliore è osservare il loro comportamento, ad esempio notare se iniziano a fare giochi più aggressivi oppure se hanno manifestazioni somatiche: stanchezza, mal di pancia, mal di testa, difficoltà a concentrarsi, difficoltà a separarsi dai genitori. I bambini più piccoli spesso vengono tenuti lontani dalle notizie, ma le ascoltano anche se sembrano essere distratti: le notizie dei media arrivano anche a loro, vedono i volti preoccupati dei genitori, ascoltano il loro parlare a bassa voce. A volte non osano fare domande, ma dobbiamo ammettere che a certe domande non conosciamo neppure noi le risposte. Perché c’è la guerra? Come si fa ad avere una risposta logica a questa domanda? Quando mia figlia me lo chiede, devo ammettere che non lo so, che anche per me non ha senso. Noi la sera abbiamo l’abitudine di vedere tutti assieme il telegiornale, lo facciamo da sempre mentre ceniamo. Questa abitudine non deve essere cambiata, anche se nelle ultime settimane è davvero dura continuare a vedere il telegiornale durante la cena, le immagini sono piuttosto forti. Mia figlia fa domande, si interessa, dice la sua opinione, esprime le sue emozioni. Una sera è andata a prendere una cartina geografica, di sua iniziativa, voleva sapere dove si trova l’Ucraina, la Russia, quanto distano dall’Italia. Ha solo sette anni e non dovrebbe essere esposta a queste cose, ma purtroppo… l’altra sera mi raccontava che due sue compagne, originarie dell’est Europa, sono preoccupate perché temono che i loro Stati possano essere invasi, lì vivono i loro parenti. I bambini tra loro parlano, condividono le loro emozioni, noi adulti dobbiamo aiutarli a esprimere le loro ansia e il loro dispiacere anche nei confronti di coloro che stanno vivendo una situazione così drammatica. Se i bambini non fanno domande, proviamo noi a farne qualcuna, a chiedere cosa ne pensano, cosa hanno capito. Quando non conosciamo le risposte possiamo cercare assieme delle notizie. Non dobbiamo mai negare la loro paura, minimizzare oppure cercare di allontanarli dalle notizie con frasi banale tipo “vai a giocare, non ci pensare…” se i bambini non vengono informati correttamente, si fanno comunque una loro idea di come va il mondo, che può essere sbagliata o ancora più drammatica. Se cerchiamo di proteggere troppo i bambini dalle informazioni, questo può essere un rischio perché loro se le vanno a cercare da soli: specie in età scolare, hanno facile accesso a internet o alle informazioni fornite dai compagni. Quando spieghiamo argomenti delicati è importante il contatto fisico, tenere il bambino vicino a noi e se è molto piccolo tenerlo in braccio, cercare il contatto visivo. Non ci sono soluzioni per cose più grandi di noi, ma un abbraccio, una carezza, l’ascolto sono di grande aiuto. Dalla sera del 22 febbraio i media parlano di fatti terribili, nonostante l’impegno dei governi di cercare un accordo ci potrà volere ancora molto tempo per arrivare alla pace. Per ora non possiamo fare molto, ma con la vicinanza e l’ascolto possiamo aiutare i nostri bambini a sentirsi protetti in questo momento così difficile.
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi
studiare
giocare
preparare la tavola a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi
dormire
avere sogni da sognare
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai
né di giorno
né di notte
né per mare
né per terra
per esempio, LA GUERRA.
(Gianni Rodari)