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martedì, Dicembre 3, 2024

    Strapaese, l’Italia dei paesi e delle chiese di campagna

    L'ultimo libro di Francesco Giubilei

    Sono lieto di aver avuto di nuovo l’opportunità di porre alcune domande all’editore Francesco Giubilei, questa volta in merito alla sua ultima opera “Strapaese. L’Italia dei paesi e delle chiese di campagna. Da Maccari a Longanesi, da Papini a Soffici”.

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     “Francesco, Strapaese è una metafora per definire la riscoperta della spiritualità, della religione, del contatto con la natura, del silenzio, ma anche della gioia di vivere, dei rapporti sociali veri e profondi, tutti valori che oggi stiamo perdendo”. Più che mai queste parole risuonano attuali. Quali sono le cause che stanno portando alla perdita di tutto questo?

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    Le cause sono molteplici ma essenzialmente potremmo sintetizzarle nel trionfo della modernità e della tecnica e con derivazioni più recenti come lo scientismo ovvero la pretesa che la scienza possa rispondere a tutti i problemi dell’uomo dimenticando l’esistenza di altri campi del sapere come il diritto, la filosofia, la religione. Strapaese oggi significa ricordare che esiste anche un aspetto spirituale nella nostra vita e valori come il senso di comunità che si stanno sempre di più perdendo nella società moderna.

    A proposito di contatto con la natura, sono ormai diventati di dominio pubblico termini quali questione climatica, economia sostenibile e transizione ecologica. Più volte ha ribadito che tale argomento non debba essere strumentalizzato a livello ideologico perché riguarda ogni individuo al di là del proprio orientamento politico. Ne ha parlato anche in un suo libro. La cultura può rivestire un ruolo concreto in questo caso?

    Oggi sentiamo sempre parlare di ambiente e ambientalismo ma mai di natura. Dobbiamo invece riscoprire il rispetto della natura concependo uomo e natura come parte di un unico grande insieme che è il creato come scritto nella Bibbia. Da questo punto di vista la cultura può giocare un ruolo importante spiegando che l’uomo non è nemico della natura ma è parte di essa e favorendo un

    Modernità/classicismo, globalizzazione/comunità locali, città/campagna, economia/cultura sono concetti in netta contrapposizione tra loro oppure possono trovare un punto d’incontro e di dialogo?

    È necessario trovare un punto di equilibrio, nessuno nega che molte innovazioni in campo scientifico abbiano contribuito a migliorare le nostre vite ma ciò non significa che tutto ciò che è progresso sia per forza positivo. Talvolta in nome del progresso dimentichiamo o addirittura cancelliamo valori e tradizioni secolari, non per forza tutto ciò che è nuovo è migliore. Uno dei problemi della nostra epoca è che l’uomo moderno si crede migliore delle generazioni che lo hanno preceduto quando in realtà dovremmo imparare molto dai nostri antenati.

    Il movimento di idee Nazione Futura, del quale è presidente, pare incarnare proprio lo spirito strapaesano. In quali attività si sta focalizzando adesso?

    Nazione Futura incarna alcuni valori dello spirito strapaesano come la salvaguardia dell’identità italiana e la centralità del concetto di comunità a partire dai territori. C’è poi una battaglia come quella a favore della natura da una prospettiva conservatrice che è indubbiamente di spirito strapaesano. Stiamo lavorando a due eventi che si terranno in primavera con ospiti da tutta Europa proprio per sottolineare la necessità di un’Europa differente basata sul rispetto dei popoli e delle identità locali.

      Tra le varie iniziative editoriali non possiamo non ricordare quella promossa da Giuseppe Prezzolini. Quale è il suo principale insegnamento?

    Prezzolini, sebbene non facesse parte del movimento strapaesano, ha un ruolo importante nella sua genesi Grazie all’esperienza de “La Voce”, perno delle riviste fiorentine di inizio Novecento con Soffici e Papini e perciò precursore di Strapaese. La riscoperta di Prezzolini oggi diventa però importante alla luce del ruolo che ha assunto il termine conservatore nel dibattito politico, rileggere la sua Intervista sulla destra, il Manifesto dei conservatori ma anche i suoi Diari e i numerosi carteggi, sarebbe doveroso ed esercizio utile per ogni italiano.

    Ne “Il Selvaggio” difende la tradizione italiana e rifiuta le mode e il pensiero straniero. Oggi ciò che è italiano viene giudicato provinciale e c’è la tendenza a seguire ciò che proviene dall’estero. Lo si vede soprattutto dall’uso sempre più frequente di termini anglofoni, talvolta anche nella loro versione italianizzata. Quanto incide questo aspetto nel consolidare la nostra identità di italiani? 

    Purtroppo in Italia è diffusa una mentalità esterofila secondo cui tutto ciò che sta fuori dal nostro paese è per forza migliore e deve arrivare lo straniero di turno a dirci come comportarci o cosa fare. È un complesso d’inferiorità francamente inspiegabile, ciò non vuol dire negare che siano problemi o situazioni da migliorare ma non sempre negli altri paesi le cose vanno meglio. Ma non è solo un fatto socio-politico quanto culturale e dobbiamo difendere la nostra storia millenaria a partire dalla lingua di fronte ad anglicismi che spesso risultano ridicoli.

    Ho trovato interessante la definizione di conservatorismo di Alain de Benoist “Il rivoluzionario-conservatore non vive più nel futuro come il progressista, né soltanto nel passato come il reazionario. Egli vive nel presente, dove riconosce, la potenza mediatrice che trasmette il passato all’avvenire. Ha dalla sua l’eternità”. Qual è una caratteristica imprescindibile per ritenersi conservatore? 

    L’espressione rivoluzionario-conservatore è in apparenza un ossimoro ma ci sono momenti storici in cui, essendosi persi valori tradizionali e conservatori, è necessario riscoprirli attraverso una rivoluzione (ovviamente non nel senso giacobino del termine o violento) che riporti in auge tali valori. Oggi dirsi conservatori significa guardare al futuro senza dimenticare il passato in un’unione ideale tra le generazioni passate, quelle presenti e quelle che verranno come scriveva Edmund Burke.

      Nell’ultimo, e a mio giudizio più inteso capitolo del suo libro, tra le molte frasi che ho trovato ricche di spunti di riflessione vi è la seguente “Non c’è cosa peggiore della rassegnazione, di subire passivamente questi cambiamenti, un’alternativa c’è ed esiste, si chiama Strapaese”. Che messaggio di speranza si sente di inviare a tutti noi?

    Conservare le nostre radici e la nostra identità non significa essere chiusi al futuro o all’innovazione ma essere consapevoli del valore delle tradizioni che hanno contribuito a plasmare il nostro carattere e il nostro stile di vita. I cambiamenti si possono accettare se non mettono in discussione la nostra identità. C’è una differenza notevole tra il concetto di innovazione e di progresso, la nostra società è fondata sul mito del progresso e sulla volontà di andare sempre oltre in una spasmodica ricerca di qualcosa di più che ci condanna a un’insoddisfazione e infelicità perpetua.

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