Da qualche tempo faccio volontariato per un’associazione no profit che si chiama “Social Warning”. Si tratta di un progetto promosso dal Movimento Etico Digitale, fondato da un ragazzo giovanissimo che ha sviluppato l’idea proprio per colmare la distanza che c’è tra l’informazione che si fa sul digitale nelle scuole e il modo con cui i ragazzi tra i 10 e i 17 anni interagiscono con smartphone e social media.
L’associazione prevede che i volontari propongano alle scuole l’organizzazione di incontri gratuiti con ragazzi, insegnanti e genitori, in modo da poter trattare la tecnologia in senso esteso e non soltanto incentrata su rischi e sanzioni, ma parlando anche di educazione civica digitale e delle belle opportunità legate alla comunicazione digitale. Ho aderito con grande entusiasmo fin dal primo momento e spero di poter avviare un ciclo di incontri anche nel nostro Istituto Comprensivo.
Di cosa si tratta, nello specifico?
Alla fine di ciascun incontro, ai ragazzi viene chiesto di compilare un questionario che serve per raccogliere informazioni sulle abitudini di utilizzo degli smartphone e dei social media. Con questi dati, ogni anno dal 2018, viene pubblicato il report dell’Osservatorio Scientifico sull’Educazione Digitale, che è promosso appunto dalla no-profit Social Warning.
Dal 2021 il progetto di sensibilizzazione è stato esteso a livello europeo e le evidenze raccolte dall’Osservatorio, vengono poi riprese da varie testate nazionali, come Wired, Forbes, la Rai, il Sole 24 Ore, eccetera.
Il campione coinvolto per l’edizione 2022 era composto da circa 15.000 ragazzi, di età compresa tra i 12 e i 16 anni. Le informazioni che ne sono emerse sono da una parte molto interessanti e dall’altra preoccupanti.
Il 33% dei ragazzi trascorre da 2 a 4 ore online ogni giorno, mentre il 42% non ha alcun limite imposto dai famigliari che, nel 66% dei casi, non impongono nemmeno regole o controlli particolari sull’utilizzo dei social e di app varie. I servizi più utilizzati dai giovani ragazzi intervistati sono whatsapp (92%), Youtube (78%), Instagram (77%), TikTok (71%), e così via a scendere. Facebook è il penultimo, con una penetrazione del 9,4%, a conferma che l’utenza del social in blu è tendenzialmente adulta.
I nativi digitali usano internet (88,5%) soprattutto per cercare risposte alle domande o fugare dubbi e curiosità, mentre solo lo 0,4% dichiara di farlo usando i libri.
Quasi la metà condivide abitualmente foto online (selfie o altre immagini) e, quasi nella metà dei casi, dichiarano di essersi poi pentiti per qualcosa pubblicato in precedenza. Più di 9 mila ragazzi sui 15 mila che hanno partecipato allo studio, dichiarano di non essere consapevoli del fatto che foto e video pubblicati online, un giorno, potrebbero essere consultati da qualcuno a cui verrà presentata domanda di lavoro.
Questi dati fanno riflettere: spesso manca alla base una buona conoscenza delle dinamiche e dei rischi collegati a social e smartphone, a partire dalle famiglie stesse. I ragazzi hanno bisogno di acquisire informazioni e sviluppare cultura digitale, per ridurre i rischi di un uso inconsapevole di questi strumenti.
Per poter parlare di digitale e social media in maniera credibile ai giovani studenti, è necessario dimostrare competenza, conoscenza e autorevolezza sulla materia. Spesso si pongono sullo stesso piano “bullismo” e “cyberbullismo”, mentre le due cose sono molto distanti tra loro.
Insieme al “cyberbullismo”, bisognerebbe trattare anche altre tematiche non meno importanti né delicate, come la “reputazione digitale”, “il revenge porn”, “il sexting”, le truffe online, l’adescamento e la dipendenza dai social. Esiste un nome per questa dipendenza: la nomofobia, anche detta sindrome da disconnessione e descrive la paura di rimanere sconnessi dalla rete di telefonia mobile. È un disturbo che colpisce sempre di più i giovani e, purtroppo, ciò avviene spesso con la complicità inconsapevole delle famiglie.
Oltre che di rischi, però, si dovrebbe parlare anche di opportunità, come l’evoluzione del modo di comunicare, l’innovazione del mondo digitale e le prospettive professionali correlate alle carriere nel digital. Tutti questi argomenti andrebbero trattati con serenità e competenza non solo rivolgendosi ai ragazzi, ma anche (e a volte, soprattutto) alle famiglie, evitando giudizi frettolosi e grossolani, che generano solo distanza e diffidenza tra le parti.
Con questo editoriale ho deciso di allontanarmi dalle beghe su Facebook e dalle schermaglie tra commentatori e odiatori digitali, perché ritengo che l’argomento bambini e ragazzi sia infinitamente più importante e che oggi, se debitamente informati e formati, potranno essere domani cittadini digitali più preparati e consapevoli.
Spero di poter raccontare nel prossimo futuro l’esperienza che potrà essere fatta nelle scuole della zona.