Il fenomeno dei figli aggressivi nei confronti dei genitori è in crescita. Se ne parla poco per vergogna e non si chiede aiuto ai servizi sociali per paura di avere più problemi che benefici. I casi estremi sono resi noti dalla cronaca, ma la maggior parte degli altri casi solitamente vengono tenuti nascosti, perciò è difficile stimarne la diffusione.
Dai dati che si hanno a disposizione, sembra che il fenomeno riguardi famiglie apparentemente normali. I protagonisti delle violenze sono a loro volta ragazzi considerati normali, che all’esterno delle mura domestiche appaiono adeguati: frequentano la scuola, hanno amici, interessi. Si tratta di un fenomeno differente da quello dei ragazzi criminali, ovvero quelli che commettono reati per motivi economici oppure razziali. Di solito i ragazzi criminali non sono violenti in casa e sono affezionati ai genitori, in particolar modo alla madre. I bulli lo sono con i coetanei, non con i genitori!
I ragazzi che manifestano condotte violente in famiglia hanno delle frustrazioni o delle difficoltà psicologiche. Spesso la violenza in casa si manifesta quando il ragazzo è sotto effetto di droghe o alcool, che reagendo va ad evidenziare problemi psichiatrici preesistenti. La vittima preferita è la madre, mentre non c’è differenza tra i sessi, sia i maschi che le femmine possono essere violenti. Le violenze sono fisiche, ma più spesso verbali e psicologiche, ed il movente è solitamente legato a questioni economiche. L’aggressività può essere scaturita dalla difficoltà dei genitori ad acquistare vestiti firmati o telefoni all’avanguardia, di non poter dare soldi per andare a divertirsi. I figli mostrano disprezzo per i genitori che non guadagnano abbastanza da fargli vivere la vita che desiderano. I genitori sono confusi e cedono a questi ricatti, pensando che le pretese siano ragionevoli perché “adesso vivono tutti così”. I genitori vanno in crisi perché loro per primi non riescono a raggiungere gli standard della società consumista. Non capiscono più che cosa sarebbe giusto dare oppure no ai figli, non sanno quale sia il limite ma vedono i figli scontenti.
Quando dei genitori di questo tipo arrivano in terapia, esprimono il disagio e la rabbia nei confronti dei figli e ammettono di avere paura. Si tratta in genere di madri separate, che vivono con i figli che stanno in prevalenza con loro, mentre incontrano il padre raramente. Queste madri si sentono sole, non trovano appoggio dal padre dei figli, che sminuisce la situazione e tende ad incolpare la donna per “non avere polso”. L’eventuale nuovo partner della donna viene tenuto fuori dal processo educativo e quindi non ha la possibilità di dare una mano alla compagna. Ad esempio, ricordo il caso di una mamma che diceva di provare molta tensione la sera, quando tornava a casa da lavoro, perché sua figlia era sempre nervosa. La ragazza, se aveva avuto una giornata storta insultava pesantemente la madre e la accusava della sua infelicità. Lamentava che la madre, che faceva un lavoro umile, non le comprava mai nulla. Al contrario, il padre, che era benestante ma viveva con un’altra donna, la riempiva di regali.
Le famiglie di oggi sono cambiate, sempre di più sono formate da un solo genitore, intrappolato in convivenze molto lunghe con il figlio che lascia la casa tardi. I genitori sembrano dei coinquilini dei loro figli e non i loro genitori. Pur di evitare liti diventano eccessivamente permissivi, fino a sentirsi in balia dei loro figli prepotenti. I figli non sempre fanno richieste dirette, ma riescono a fare sentire i genitori a disagio. Ricordo il caso di un’altra mamma che si sentiva di troppo a casa sua. Lei era separata ma non portava mai il suo nuovo compagno a casa. Si sentiva persino in imbarazzo a usare il bagno di casa, dato che la fidanzata del figlio minorenne si era trasferita da loro!
A volte i genitori vivono tra le pareti domestiche situazioni difficili, temono per la propria incolumità, ma cercano di evitare di chiedere aiuto alle autorità o agli assistenti sociali. Viene chiesto aiuto all’ultimo, quando la situazione ormai è degenerata. Ricordo il caso di una mamma che aveva chiesto un sostegno psicologico per far pace con sé stessa. Si sentiva in colpa dopo aver denunciato il figlio che aveva cercato di ammazzarla. Il figlio minorenne, che non mostrava alcun pentimento, era stato arrestato e mandato in una comunità. Lei non sopportava l’idea di eventualmente doverlo riaccogliere in casa dopo lo sconto della pena, e si sentiva sbagliata nel provare questi sentimenti di paura nei confronti del figlio.
I genitori vanno aiutati a liberarsi dai ricatti emotivi dei figli e dai pregiudizi. Bisogna da un lato abbandonare la cultura del sacrificio: essere disposti a tutto pur di rendere i figli felici. Dall’altro bisognerebbe abbassare le aspettative nei confronti dei figli da cui si spera di essere risarciti per tanti sacrifici e lasciarli liberi di farsi la loro vita.
Per informazioni www.psicoborgaro.it