L’ultimo intervento dell’anno, il nostro notaio, il dottor Gabriele Naddeo, ha pensato di spenderlo prendendo in esame tre sentenze della Suprema Corte di Cassazione che si occupano, ahinoi, di fallimenti, di successioni e di comunione dei beni aziendali del coniuge imprenditore. Sentenze da leggere con attenzione e cura.
Cassazione, ordinanza 25 giugno 2022, n. 2218, sez. I civile
Fallimento ed altre procedure concorsuali – fallimento – effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori (rapporti con l’azione revocatoria ordinaria) – azione revocatoria fallimentare – atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie – azione revocatoria della vendita di beni ai sensi dell’art. 67, comma 2, l.fall. – “eventus damni” – oggetto – lesione della “par condicio creditorum” – prova – necessità – esclusione – presunzione legale assoluta – configurabilità – utilizzazione del prezzo ricavato dalla vendita per il pagamento di un creditore privilegiato – irrilevanza – fondamento.
Per la Corte di Cassazione la revocatoria fallimentare può essere esercitata alla sola condizione che il curatore dimostri che il fallito fosse a conoscenza del proprio stato di insolvenza, mentre non è necessario provare la lesione della parità di trattamento dei creditori, poiché questa è insita nel fatto stesso di aver fatto uscire il bene dal patrimonio aggredibile dai creditori. Ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall’imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell’articolo 67, comma 2, legge fallimentare, l'”eventus damni” è “in re ipsa” e consiste nel fatto stesso della lesione della “par condicio creditorum”, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa conseguente all’atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall’imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito, come nella specie, da ipoteca fondiaria gravante sull’immobile compravenduto) non esclude la possibile lesione della “par condicio”, né fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi.
Cassazione, ordinanza 30 marzo 2022 n. 10171, sez. VI-T
Imposta sulle successioni e le donazioni – successione – coacervo
La Corte di Cassazione afferma, ancora una volta, che il coacervo non è applicabile ai fini del calcolo delle imposte di successione una volta che è venuto a mancare il donante: per la Corte di legittimità italiana, dunque, ai fini fiscali ciò che è stato donato dal defunto non va sommato per il calcolo della franchigia. La disciplina del cumulo delle donazioni con il relictum non può ritenersi operante al fine di delimitare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta. La nuova normativa nulla prevede in proposito e il D. Lgs. 346 del 1990, articolo 8, comma 4, formalmente fatto rivivere dal legislatore del 2006 solo se compatibile con il nuovo assetto normativo, continua ad essere inconciliabile con la disciplina della reintrodotta imposta di successione che ha confermato l’imponibilità su aliquote fisse e non progressive del valore complessivo dei beni devoluti a ciascun erede o legatario in ragione del rapporto di parentela.
Cassazione, sentenza 17 maggio 2022, n. 15889, SS.UU. civili
Comunione legale – Scioglimento – Divisione – Comunione de residuo – Dopo la separazione – Quote dell’azienda – Diritto di credito.
Questa sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione opera un’interpretazione decisamente innovativa in materia di comunione dei residuo, che sarebbe la comunione sui beni aziendali del coniuge imprenditore sposato in comunione legale dei beni; la disciplina relativa, infatti, prevede che i beni di un’azienda appartenente ad uno dei coniugi sposati in comunione legale dei beni entri a far parte della comunione una volta che questa si è sciolta. La corte di cassazione, con questa sentenza, afferma che il diritto spettante al coniuge non imprenditore è – di fatto – un solo diritto di credito: in altri termini il coniuge non imprenditore avrà solo diritto al corrispondente valore dell’azienda ma non ai beni della stessa. Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, e al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data.