Chissà se si usa ancora fare così. Per questo spero possa essere gradevole o magari soltanto curioso rivivere per un attimo il ricordo di un tempo passato in cui alcuni aspetti principali della nostra vita erano suggellati, oltre che dall’affetto familiare, da alcune abitudini importanti che avevano quasi sempre il proprio traguardo in qualche negozio di oreficeria. E così il giorno del battesimo coincideva con il primo braccialetto d’oro che, per merito di madrina o padrino, si trasformava nel giorno della prima comunione in una catenina dello stesso prezioso metallo arricchita da una medaglietta sacra, segno di futuro approdo a una convinta e imprescindibile devozione. Le bambine prima, e le ragazzine poi, ne facevano per anni geloso sfoggio all’uscita dalla messa festiva o nel consueto e spesso noioso incontro periodico con i parenti più anziani ai quali, come ad altri immancabili curiosi, era necessario spiegare ogni volta il motivo di quel regalo e la sua provenienza.
Si diceva un tempo che il giorno del matrimonio fosse il più bello della vita. Per non dimenticarlo, si incideva la data dell’avvenimento all’interno delle fedi nuziali unitamente al nome del futuro coniuge confidando di intraprendere insieme un lungo percorso senza pensare, neanche lontanamente, di vivere come accade alle rose, soltanto il felice spazio di un mattino. Gli anelli erano il dono dei due testimoni di nozze che, quasi sempre, nel difficile momento della scelta si arrendevano affidandosi ai fidati consigli dell’orefice che nell’uso comune della lingua corrente non era ancora il gioielliere.
E nella via principale della Caselle dell’altro ieri, tra la merceria dell’anziana nonna di Rita e Gianni Muzzi, il negozio di Tino Faletto, in cui tra ceste di frutta e verdura si prodigava senza sosta il giovane Arturo Rovej, e la vicina Ottica Novecento della signorile, raffinata Piera Teppati c’era e c’è ancora oggi da oltre un secolo, chi quei consigli sapeva darli: la gioielleria della famiglia Bellis. Un nome che molti di noi pronunciavano solo nelle grandi occasioni e tuttavia non correttamente, dimenticando di raddoppiare la consonante centrale.
Belis dunque, sembrava più facile, forse più familiare e meno emozionante quando, dalla strada, saliti i tre gradini bastava spingere, a fianco di una elegante e preziosa vetrina, la porta non ancora allarmata ed esasperatamente protetta per vedere da vicino e non solo attraverso la finestrella che dava sulla via Torino, un giovane Ugo Bellis alle prese con orologi di ogni tipo, comuni e di pregio, indagati con puntiglioso successo grazie alla sua ereditata capacità professionale e all’aiuto dell’inseparabile monocolo. Un cenno di saluto e di nuovo a curiosare tra gli ingranaggi di qualche capriccioso Longines.
Ad accogliere i diversi clienti già dai primi tempi del nostro indimenticato miracolo economico provvedeva, e ha provveduto per lunghi anni, la signora Piera, moglie di Ugo e mamma di Luisa e Laura.
Titolare di una classe innata e di una bellezza finemente austera, Piera arricchiva i lineamenti del viso raccogliendo i capelli biondi in una semplice e comoda coda di cavallo come segno ulteriore di sobria e disinvolta eleganza. Non si esprimeva in piemontese, perciò l’esclusivo impiego della lingua italiana sembrava accrescere, specie nelle persone più anziane, la soggezione che suscitava a quel tempo entrare in una gioielleria. Poi, tanto la sostituzione del cinturino in finto coccodrillo al vecchio orologio da polso casualmente ereditato da un lontano parente, quanto la più impegnativa e convincente illustrazione del valore celato nei due anelli in oro bianco comparsi sul robusto cristallo del bancone, scioglievano qualunque possibile disagio. Rassicurati dalla grazia e dalla competenza di Piera Bellis, i due coniugi mettevano al dito la nuova fede ritornando con antica emozione all’indimenticato quanto inutile patriottico sacrificio di oltre venti anni addietro, rimuovendolo definitivamente.
Piera nei primi giorni del nuovo anno, al termine di una lunga camminata, ci ha lasciato.
Ma per chi, oltre alla famiglia, ha goduto del privilegio di conoscerla, Piera, che sfoggia l’ennesimo elegante foulard e la consueta coda di cavallo dai capelli un po’ meno biondi, è ancora là, nel suo negozio dove ora l’amato nipote Alberto prosegue la fortunata tradizione dei Bellis. E noi desideriamo allora immaginarla al braccio di Ugo per la solita passeggiata fino al caffè Ghi, dove accomodata intorno ad uno dei vecchi e traballanti tavolini, normalmente presidiati da una certa Caselle al maschile spesso soltanto impomatata e saccente, aspetta l’arrivo di Lidia Fedi, distinta signora toscana da poco approdata nel nostro comune, dove rileverà l’attività commerciale dei fratelli Merlino. Parlano lasciandosi accarezzare del fresco della sera e già pensano al nuovo incontro di domani.
Un domani che, da quel 6 di gennaio, per Piera non ci sarà più.
Piera Bellis, una vita tra i gioielli
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