Le paste ‘d melia nacquero così?

2° parte

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Beppe Gisolo e sua figlia Rituccia, terminato il mercato di Lanzo, presero la strada di casa.
Da Lanzo a Ovairo c’era un bel pezzo di strada sterrata in salita.
Dopo il mercato, Beppe ne aveva approfittato per bere un bel bicchiere di rosso con gli amici che aveva nella cittadina. Sul tavolo c’era pane, salame e toma. Si discuteva di molte cose. Robe da contadini.
La barbera scaldava i cuori. Dopo un po’ di bicchieri anche il tono della voce lievitava, le gote si arrossavano.
La passione e l’amicizia che li accomunavano rendevano questi incontri momenti di vita da vivere intensamente. Purtroppo non potevano incontrarsi tutti i giorni: andavano assaporati.
Rituccia intanto tornava dal suo giro per le vetrine. Gli occhi le luccicavano per le tante cose belle viste.
Tra tutte, era la vetrina della pasticceria che aveva su di lei una forte presa, un fascino particolare. Non sapeva spiegarsi come e perché, per una contadina come lei che viveva in una frazione isolata, i dolci l’affascinassero così tanto.
Pensava:” I dolci li compra la gente agiata, quelli che conducono una bella vita. Mi piacciono forse perché per fare i dolci, oltre che bravi, bisogna essere un po’ maghi. Ci va magia. Ora devo sbrigarmi a tornare da mio padre all’osteria. Dobbiamo tornare a casa. Fosse per lui rimarrebbe lì fino a sera!”
Quando Beppe vide Rituccia capì che era ora di andare. ” Va bene, – disse – lo so che dobbiamo andare. Prima però mangia del pane e salame e un po’ di toma. Sei a stomaco vuoto. Poi andiamo. Bevi anche un bicchiere di barbera. Fa sangue, sai.”
Rituccia mangiò volentieri. Un bicchiere di rosso intero no, mezzo sì. Scaldava il cuore.
Era ormai il primo pomeriggio quando Beppe e Rituccia, dopo aver comprato un po’ di cose, si avviarono verso casa.
Ci andavano un paio d’ore per arrivare a Ovairo. Beppe stava davanti a tirare e Rituccia spingeva dietro.
A metà strada fecero un po’ di sosta. Beppe disse:” Non possiamo continuare così a spingere il carretto a mano. Sto cercando di risparmiare qualche soldo per acquistare un mulo. Potremo trasportare più cose e guadagnare di più.”
Ripresero il cammino. A casa li aspettava una buona polenta con spezzatino preparati da Clementina. Era tutto pronto, la cena stava al caldo sul putagè. Sapeva, la buona donna, che sarebbero arrivati affamati. Mangiarono tutti assieme di buon appetito. I fratelli chiedevano se c’erano novità in paese. In realtà i ragazzi pensavano alla prossima festa patronale, al ballo a palchetto e alle ragazze da ammirare e, magari, tentare un approccio. Era l’unico vero svago di tutto l’anno.
Rituccia ripensava spesso alle parole del pasticciere: le aveva spiegato come fare un dolcetto semplice. Pensava:” So già cucinare qualcosa, non deve essere difficile fare un impasto come mi ha detto. Del resto facciamo già il pane da noi. È solo un po’ più complicato.” Doveva provarci. Era il suo tarlo fisso da quando aveva visitato il laboratorio di Lanzo.
Un giorno chiese a sua mamma:” Senti mamma, tu sai fare dolci? Vorrei imparare. È una cosa che mi affascina molto.”
” Purtroppo no, Rituccia mia! – rispose Clementina – Non è roba per noi. Quelle cose le mangiano i signori.”
“Senti mamma, – incalzò la ragazza – il pasticciere di Lanzo mi ha spiegato come si fanno i dolci più semplici: tipo biscotti. Vorrei provarci. Mi dai l’occorrente? Ci vanno pochi ingredienti. Tra un po’ è l’onomastico di papà, vorrei fargli una sorpresa.”
” Fa’ pure Rituccia, mi fido di te. Devi arrangiarti con quello che c’è. Non possiamo sprecare soldi per cose superflue. Lo sai, la vita è dura, dobbiamo essere accorti se vogliamo vivere decentemente “, le disse sua mamma.
Finalmente aveva il via libera. La voglia non le mancava. Neanche una certa dose di incoscienza, necessaria per fare cose che non si conoscono.
Burro ne aveva, lo producevano. Lievito e uova pure, vista la presenza delle galline e del forno che usavano per fare il pane. La farina bianca quella sì che scarseggiava. Non ne avevano mai avuta molta. Il pane lo facevano con la farina più grezza.
Il giorno dell’onomastico di Beppe si avvicinava. Bisognava darsi da fare.
Ebbe un’idea per poter mettere insieme una buona quantità di farina per riuscire a fare dolcetti sufficienti per tutti:” E se mescolassi farina bianca e farina di mais, quella per fare la polenta? Sempre di farina si tratta. Faccio metà e metà.” Così fece.
Approfittando del fatto che il giorno dopo il forno sarebbe stato riscaldato, visto che era ora di fare il pane, pensò che poteva approfittare della cosa. Preparò l’impasto.
Era piacevole lavorare la farina da impastare con uova, zucchero e burro. Era di una morbidezza che le sembrava di accarezzare le guance di un bimbo paffutello.
Ai dolcetti diede la forma che le sembrava la più carina: a ciambellina.
Era l’ora di infornare. Il pasticciere l’aveva avvertita:” Il forno non deve essere troppo bollente. Altrimenti si bruciano. Quando sono dorati vuol dire che sono cotti. bisogna fare attenzione.”
Seguì le indicazioni. Dopo il pane infornò i dolcetti. La sua mamma guardava curiosa e perplessa. Si fidava di quella ragazza.
Una volta cotti li assaggiarono. La mamma disse:” Però, che buoni e friabili che sono. Nascondiamoli ora, deve essere una sorpresa!”
Quando il giorno dell’onomastico di suo padre, dopo il pranzo, Rituccia mise in tavola i dolci, ci furono grida di evviva e baci a Rituccia. Beppe, suo padre, aveva gli occhi lucidi. I fratelli si fiondarono su quella autentica novità che erano quei dolci. Roba che non si era mai vista in casa.
Rituccia riuscì a malapena a metterne da parte alcuni da portare al pasticciere.
Il giorno dopo, la signora Margherita ed il pasticciere, alla vista dei dolci, rimasero un po’ perplessi. Poi assaggiarono e rivolti alla ragazza chiesero:” Hanno un sapore diverso, friabili, dolci sì, ma con una nota rustica: cosa ci hai messo?”
“Avevo poca farina bianca, così ci ho aggiunto un po’ di farina da polenta.”
“Farina per la polenta ?!?, esclamò stupefatto l’artigiano. “ Ma che idea hai avuto. È ottima. È da migliorare ma la cosa funziona. Brava Rituccia, farai strada. Hai imparato da sola una regola fondamentale: mai frenare la creatività.”
Margherita intervenne dicendo:” Senti Rituccia, visto che ti piace questo lavoro, se vuoi, col consenso dei tuoi, puoi venire a lavorare e imparare il mestiere da noi. Hai stoffa. Parlerò con tuo padre.”
Rituccia uscì dal laboratorio e le pareva di camminare sulle nuvole.
I sogni cominciavano a prendere forma.

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