Una spremuta di… Plastica

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Qualche volta, quando decido di affrontare in questa rubrica un argomento un po’ alternativo, mi capita di provare disagio, persino fastidio nel trattarlo, soprattutto per le questioni, le problematiche ad esso ricollegate. Mi informo, cerco notizie, dati, curiosità e la realtà che mi si presenta sullo schermo dell’IPad è spesso poco edificante. Devo dire, però , che in questo caso non ho potuto evitare anche un evidente senso di rabbia, impotenza e… sì, anche di paura.

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Vi ricordate di quel tappino di plastica della bottiglietta di minerale (di plastica) che involontariamente vi era caduto nel tombino mentre passeggiavate? O il sacchettino vuoto dei fazzoletti di carta che vi è svolazzato fuori dal finestrino? O, mannaggia, il cottonfioc che vi è cascato nel water? Capita.

Ecco, vi siete mai chiesti che fine avranno fatto?

L’idea più ovvia è che, in qualche modo, purtroppo, tappo, sacchetto e bastoncino siano finiti in quella che chiamiamo immondizia indifferenziata, sapendo di contro, che la maggior parte dei nostri rifiuti, differenziati, prendono invece la strada del riuso e del riciclo.

Sicuri?

In effetti in Italia, dati alla mano, ricicliamo circa il 72% dei rifiuti, ed è un ottimo dato, ma la plastica?
Purtroppo su 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti, solo 620 mila vengono recuperati. Di tutti i rifiuti urbani riciclati, la plastica rappresenta solo il 4,6%.
E il resto, dove finisce?
197 mila tonnellate tra contenitori, pellicole industriali e residui plastici di ogni tipo ogni anno lasciano l’Italia e vengono esportati verso altri paesi Ue o extra europei, per essere riciclati perché non possono essere smaltiti dai nostri impianti. Un giro d’affari, oltretutto, di 58,9 milioni di euro (sic!).
Malesia e Yemen sono i nuovi indirizzi delle spedizioni, come Turchia, Vietnam, Usa e Thailandia.
Ma il dramma è che, globalmente, neanche il 10% del totale della plastica prodotta nel mondo viene riciclato.
E il resto?
Nel 2019 nel mondo, abbiamo creato e immesso sul mercato 460 milioni di tonnellate di plastica, il doppio rispetto alle 234 milioni di tonnellate del 2000. Anche i rifiuti di plastica sono più che raddoppiati, passando da 156 milioni di tonnellate nel 2000 a 353 nel 2019.

Di questa valanga di rifiuti di plastica viene riciclata – il 10%, appunto – mentre il 19% viene incenerito e quasi il 50% finisce nelle discariche legali. Il restante 22% si accumula nelle discariche non controllate a cielo aperto, o viene bruciato in roghi che avvelenano di miasmi tossici l’ambiente.

Sempre nel 2019, 22 milioni di tonnellate di plastica sono state disperse nell’ambiente.

Disperse!

Questa plastica senza meta si accumula in laghi, fiumi e oceani:  6,1 milioni di tonnellate sono finite negli ecosistemi acquatici, ormai talmente ostruiti che ci vorrebbero decenni a liberarli, anche se iniziassimo da subito a migliorare la raccolta dei rifiuti. Negli ultimi tre anni di pandemia è aumentato l’utilizzo di plastiche monouso, e il freno alla produzione di plastica imposto dai lockdown è stato solo temporaneo.

Ormai è “ovvio” comprare due etti di olive racchiuse in un contenitore di plastica, avvolto in un foglio di pellicola trasparente, rigorosamente infilato in una busta di plastica.
Il monouso trionfa tra vaschette di polistirolo, buste, bustine, pacchetti, scatoline, tutte, inesorabilmente, di plastica!

E allora? Il tappo, la busta e il cottonfioc?

Galleggiando nell’acqua del tombino, del water o del rigagnolo di acqua piovana hanno raggiunto un canale, poi il torrente, il fiume, quindi il mare. Qui, con miliardi di loro simili, più piccini o più grandi hanno iniziato la loro avventura. Sì, hanno iniziato perché la plastica “vive” per secoli, millenni.

In Italia è persino nata l’Archeoplastica, la “scienza” che studia i reperti plastici. Enzo Suma, fondatore di Archeoplastica, gira il lungomare della Puglia per ripulirlo dall’enorme quantità di plastica che arriva ogni giorno trasportata dalle onde.

“L’idea – racconta Suma – è maturata quando ho trovato per la prima volta un rifiuto di fine Anni ’60. Si trattava di una spuma spray abbronzante, con il retro ancora leggibile, che riportava il costo in lire. Un rifiuto di oltre cinquant’anni fa! Quando pubblicai la foto sui social scoprii lo stupore della gente nel vedere un prodotto così vecchio, ancora in buono stato, tra i rifiuti in spiaggia. E da quel post scaturirono dai lettori tante riflessioni sul problema della plastica.”

Ecco dove sono finiti i nostri piccoli “amici”.

Galleggiando, galleggiando, si sono uniti e ad oggi hanno creato 7 spaventose isole di plastica situate nei nostri oceani, aumentando le loro dimensioni giorno dopo giorno. Si stima che la più grande delle isole di plastica conosciute ad oggi, la Great Pacific Garbage Patch, che si trova nell’Oceano Pacifico, tra la California e l’Arcipelago Hawaiano, abbia una superficie grande approssimativamente quanto quella dell’intero Canada: quasi 10 milioni di kmq!

Tappo dopo tappo, busta dopo busta…

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