Il Parco nazionale dell’arcipelago toscano, il più grande parco marino d’Europa, è formato da sette isole maggiori, da nord a sud sono: Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri e da isolotti minori per una lunghezza totale di 80 miglia, 150 km.
Il parco è inserito nel santuario per la protezione dei mammiferi marini Pelagos e nel 1977 Montecristo è stata inclusa nella rete europea delle riserve biogenetiche e riconosciuta Riserva naturale.
È tutelata per il 100% del suo territorio a terra, comprendendo anche il prospiciente scoglio d’Africa o Formica di Montecristo, e a mare fino ad 1 km dalla costa per ogni tipo di imbarcazione, salvo quelle provviste di autorizzazione richiesta al reparto carabinieri Biodiversità di Follonica.
Ogni accesso è strettamente regolamentato e consentito solo fino ad un massimo di 2.000 visitatori l’anno,
L’isola di Montecristo ha sempre popolato la mia fantasia sin da bambina, stimolata dalla lettura del libro omonimo di Alexandre Dumas padre, anche se l’isolotto dove venne incarcerato Edmond Dantes era il Castello d’If, una fortezza adibita a penitenziario su di un isolotto davanti alla costa marsigliese.
L’aspetto dell’isola è imponente, con i 645 metri del Monte della Fortezza, un blocco di granito che deve il nome a un forte costruitovi dagli Appiani, signori di Piombino. Numerose le insenature rocciose, da Cala Maestra a Cala Corfù, Scirocco o del Diavolo, nomi che evocano paesaggi aspri. Grazie alla protezione di cui ha goduto in tutti questi anni, Montecristo è la più selvaggia dell’Arcipelago Toscano, abitata per lo più da capre, conigli selvatici e dall’endemica vipera di Montecristo.
Un tempo chiamata Oglasa, la leggenda racconta che San Mamiliano, vissuto nel V secolo, patrono dei naviganti, sia stato fatto prigioniero e venduto come schiavo. Riuscito a fuggire sopra una nave di pirati, li convertì durante la navigazione e li portò con sé come ferventi cristiani. Per strane vicende finì a Oglasa, dove un drago terrorizzava gli abitanti: lui lo vinse e passò il resto dei suoi giorni in solitudine e penitenza, rinominando poi l’isola in Monte di Cristo. Ancora visibile la grotta dove si dice che il santo abbia soggiornato e i resti di un monastero.
In passato avevo provato a prenotare una visita, senza successo, i pochi posti distribuiti nei fine settimana da marzo a giugno poi da settembre/ottobre venivano carpiti nel giro di poche ore dall’apertura della prenotazione. Stavolta ho avuto più fortuna (le visite sono calendarizzate solo il sabato e la domenica) la giornata è iniziata dal porto di Piombino sotto la tutela delle guide che ci accompagneranno sino al ritorno nello stesso luogo. Non è possibile muoversi sull’isola in autonomia, e dopo l’approdo a Cala Maestra è obbligatorio seguire le loro indicazioni. I trekking sono suddivisi in tre livelli di difficoltà e durata, e si deve essere muniti di adeguato equipaggiamento, in particolare scarpe con suola scolpita, caviglia alta e bastoncini. Da Cala Maestra al Belvedere il sentiero sale, fortunatamente in ombra, i panorami sono stupendi così come la giornata, molto calda; le piogge dei giorni precedenti hanno reso il sentiero fragile e le rocce scivolose, ma hanno amplificato i profumi della flora in piena fioritura.
La flora e la vegetazione di Montecristo hanno subito gravi alterazioni nel corso dei secoli e attualmente la presenza di erbivori (capre e conigli selvatici) limita la sopravvivenza di talune specie. Alle oltre 300 specie botaniche tutt’oggi presenti nell’Isola, sono da aggiungere venti specie che sono state ritrovate: palme, agavi, oleandri, eucalipti, allori, magnolie, olivi, carrubi, viti, pini domestici, pini d’Aleppo e molte altre, fra cui l’ailanto (ailanthus altissima) che purtroppo è divenuto fortemente infestante. La vegetazione dell’Isola, che doveva essere originariamente costituita da una fitta macchia mediterranea, dominata, almeno nella fascia più elevata dal leccio, oggi è rappresentata da una copertura a chiazze, costituita da macchia più o meno degradata a prevalenza di eriche (erica arborea, erica scoparia) che in alcuni settori raggiungono dimensioni notevoli, a cui si accompagnano rosmarino, cisto, elicriso e specie più sporadiche. I lecci sono soltanto qualche decina, in gran parte decrepiti e cadenti, siti in prossimità del Colle dei lecci.
Le specie introdotte si trovano quasi tutte nell’area circostante la ex villa reale, nell’unico piccolo nucleo di case abitato sino ad alcuni anni da due custodi, oggi si alternano per brevi periodi i forestali. A poca distanza dalla villa si trova un piccolo bosco di eucalipti e qualche gruppo di pini (pinus halepensis e pinus pinea).
A parte la fatica, esperienza indimenticabile in una giornata in cui il colore del cielo e del mare erano un tutt’uno.