Particolare di una planimetria del 1842 del campo d’istruzione delle Vaude con indicati gli accampamenti
Tutti sanno dell’esistenza del Campo Militare delle Vaude, oggi in disuso ma che fin dalle fine del XVIII secolo ospitò sempre più manovre dell’esercito. Tutto questo fino al 2001 quando ancora il campo era adoperato dai nostri corpi come poligono militare e per le esercitazioni con i carri armati.
Pochi però sanno che nell’Ottocento, Caselle era legato al Campo delle Vaude in quanto ospitava l’ospedale militare per ricoverare i soldati che si ferivano durante le esercitazioni.
Le origini del Campo Militare
Fin dal 1781 il territorio delle Vaude, posto principalmente nei comuni di San Francesco al Campo, San Carlo Canavese e Lombardore, era stato impiegato per esercitazioni militari. Grazie alle particolari caratteristiche di conformazione del suolo, ricco di avvallamenti e impermeabile alle piogge, ma soprattutto perché scarsamente abitato, venne subito scelto dall’esercito sabaudo perché ritenuto ideale per addestrare i soldati, soprattutto all’uso dell’artiglieria.
All’inizio le esercitazioni erano saltuarie, ma, sotto il regno di Carlo Alberto, diventarono prima annuali e poi permanenti, coinvolgendo un sempre maggior numero di soldati istituendo nei pressi dell’abitato di San Maurizio, a pochi chilometri da Torino, il primo campo di addestramento militare del Regno di Sardegna, in una striscia di terreno brullo, lunga una ventina di chilometri e larga circa tre.
Il Conte Ferdinando Augusto Pinelli nella sua “Storia Militare del Piemonte dalla pace di Aquisgrana ai giorni nostri”, edito nel 1855, in merito al Campo di San Maurizio riporta che nei primi due anni, 1833-34, le esercitazioni coinvolsero 11.000 uomini.
Al campo si svolgevano esercitazioni militari di ogni tipo, a partire dalle manovre di truppe sia appiedate che a cavallo, simulazioni di battaglie in aperta campagna, ma soprattutto esercitazioni di tiro con l’impiego di cannoni che di anno in anno aumentavano la loro potenza di tiro.
Cartolina d’epoca delle manovre militari
Le manovre venivano eseguite soprattutto in estate, con operazioni che duravano settimane, fatte di esercitazioni giornaliere che normalmente duravano dalle sette alle otto ore, con tre pause di mezz’ora ciascuna.
Spesso le esercitazioni avvenivano alla presenza del re e di altre personalità, anche straniere, e gli stessi figli di Carlo Alberto, il futuro Vittorio Emanuele II e Ferdinando Duca di Genova, svolsero il loro apprendistato militare nel campo delle Vaude dove si formava la maggior parte dei soldati dell’Armata Sardo-piemontese.
Il Generale Maurice Joseph Didier Ravichio de Petersdorf pubblicò a Parigi nel 1839 le “Notice sur le camp d’instruction des troupes sardes établi a Ciriè en 1838”, in cui riporta che l’accampamento, prossimo al limite sud del Campo, era stato inizialmente progettato per ospitare due divisioni di fanteria ossia 8 reggimenti (su tre battaglioni di 4 compagnie), sei dei quali alloggiati in baracche e due in tenda.
Ognuno dei 6 baraccamenti comprendeva 12 baracche di compagnia. Seguendo l’andamento del terreno, i primi sei baraccamenti erano allineati a una distanza di circa 400 metri l’uno dall’altro, mentre il settimo e l’ottavo, formati da tende, erano posti alle due estremità dei baraccamenti.
Le baracche, realizzate in muratura e legno, misuravano 24,64 metri di lunghezza per 12,32 metri di larghezza, con tetti coperti da tegole.
Il quartier generale principale si trovava a San Maurizio, ed era ospitato presso la settecentesca Villa Viarana, dimora del conte Paolo Emilio Marengo, mentre un quartier generale secondario aveva sede in un edificio in muratura sito all’interno del VI° baraccamento, nei pressi dell’abitato di San Carlo Canavese.
Tutti i servizi amministrativi erano collocati a Ciriè e a San Maurizio, mentre un ospedale era allestito nel vicino paese di Caselle. Infine, tra il terzo e il quarto baraccamento, tra i quali passava l’importante strada che da San Maurizio portava a Front, era sorta nel tempo una borgata chiamata “il Centro”, nel territorio dell’attuale comune di San Francesco al Campo, che divenne presto luogo di mercato e di ritrovo per le truppe che frequentavano il Campo durante il periodo delle manovre.
Questo notevole movimento di soldati, che nel 1844 raggiunse anche il numero di 20.000 uomini, portava ai paesi posti nelle vicinanze del campo militare un importante beneficio economico.
Soprattutto per il paese di San Maurizio che non solo forniva i viveri necessari alle truppe acquartierate, ma anche il foraggio e la ferratura per i cavalli, il servizio di stallaggio, nonché il rifornimento di tutto il materiale utile all’accampamento.
Inoltre, la sera, le cantine e le osterie del paese si animavano dei soldati in libera uscita, militari che spesso, per mancanza di strutture sufficienti a ospitarli tutti, venivano alloggiati in case private opportunamente affittate.
Disegno del campo di prigionia tratto dal Il Mondo Illustrato del 19/10/1861
Il campo di prigionia
Nei decenni successivi la conformazione dell’accampamento rimase pressoché immutata, ma nell’agosto del 1861, dopo la conquista del regno borbonico, il campo di addestramento militare di San Maurizio Canavese venne trasformato, per necessità, in un campo di prigionia dove vennero detenuti i soldati dell’ex esercito del Regno delle Due Sicilie.
Quello di San Maurizio Canavese fu il più grande dei campi di prigionia creati dai Savoia nel nord Italia per rinchiudere i soldati borbonici che si erano rifiutati di prestare giuramento a Vittorio Emanuele II.
Al campo di San Maurizio erano destinati i prigionieri di guerra, gli sbandati e i renitenti, ai quali occorreva “impartire una prima rieducazione militare, e se avessero mostrato di aver acquisito le qualità che si richiedevano per formare dei buoni soldati, sarebbero stati arruolati nell’esercito nazionale, altrimenti sarebbero stati trasferiti e detenuti nel più temuto forte di Fenestrelle, affinché si correggessero e diventassero idonei a prestare servizio militare nell’esercito italiano”(1).
Ricostruzione dell’autore dello scomparso aeroporto militare
Il Campo d’aviazione
In seguito tornò ad essere impiegato dall’esercito per le loro consuete esercitazioni, ma agli albori dell’aviazione, nel 1912, l’area militare ospitò anche uno dei primi campi volo della storia d’Italia per la nascente aeronautica militare allora inquadrata nell’esercito.
Nella zona delle Vaude, in una zona pianeggiante, ricompresa nel campo militare, venne adattata un’area come pista d’atterraggio in terra battuta con annessa scuola d’aviazione, un poligono di tiro per aerei e un’officina meccanica.
Vennero realizzati due hangar lunghi 100 metri, per il ricovero dei velivoli e uno più corto attrezzato come officina per la riparazione degli aerei che frequentemente necessitavano di manutenzione per le continue rotture ai motori e alle strutture.
Qui il Corpo Aeronautico Militare dell’esercito costituì il 1º aprile 1913 un reparto di aeronautica equipaggiato con i biplani francesi Henry e Maurice Farman, poi costruiti su licenza nelle ditte torinesi, su cui vennero formati molti dei piloti militari che vennero poi impiegati nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Il primo comandate della squadriglia fu Ettore Prandoni e proveniva, come la maggior parte dei piloti dell’epoca, dalla cavalleria.
I piloti erano alloggiati presso la frazione Centro, in casermette già destinate agli ufficiali dell’esercito, e dopo poco tempo da quella striscia di terreno si videro alzare i primi aerei.
Il campo di volo sorse nei pressi del IV baraccamento, nel territorio di San Carlo Canavese, anche se nella documentazione ufficiale ci si riferisce sempre al Campo volo di San Francesco, o qualche volta di San Maurizio, probabilmente dovuto al fatto che per raggiungere il campo si passava principalmente dal paese di San Maurizio.
Oltre ai voli di addestramento, da qui partivano anche i primi raid, che quasi ogni volta battevano i precedenti record di distanza e/o di altitudine, anche grazie al fatto che i velivoli vedevano un continuo e rapido progredire delle loro caratteristiche.
Brach Papa su Farman
Qui il pilota Francesco Brach Papa (come avevamo visto negli articoli dedicati a lui), nativo della vicina Corio, il 19 giugno del 1912 con il suo Farman raggiunse i 3.050 metri di quota, battendo il precedente record italiano d’altitudine.
Con l’avvento della prima guerra mondiale, nel 1915, in previsione dell’entrata in guerra dell’Italia, il reparto venne trasferito a Milano e con esso tutto il personale, il magazzino e anche gli hangar in legno; da allora tutto il poligono militare tornò a completa disposizione dell’artiglieria per le loro esercitazioni.
L’ospedale militare di Caselle
Caselle, anche se a margine del campo, fu comunque interessata dal continuo passaggio delle truppe, tanto che nel 1866 vennero abbattuti gli spigoli della Chiesa di San Giovanni e ricostruiti in diagonale (come si presentano oggi), per allargare la strada che in quel punto presentava una strettoia che ostacolava non poco il passaggio dei cannoni che diventavano sempre più grandi.
Ancora nei decenni scorsi si ricorda il periodico passaggio sulla circonvallazione di convogli militari con al seguito carri armati che raggiungevano il poligono delle Vaude.
Ma per un altro aspetto il Campo d’istruzione ha coinvolto Caselle nel XIX secolo: quello sanitario.
Il grande movimento di truppe causava non pochi incidenti con la necessità di avere un efficiente servizio sanitario sul luogo per prestare le prime cure ai feriti coadiuvato da varie ambulanze (ovviamente a cavallo) per portare velocemente negli ospedali di Torino i feriti più gravi.
L’esercito aveva a disposizione anche i vari ospedali della zona (Ciriè, San Maurizio, Nole e Caselle), che però avevano pochi posti disponibili.
Antica cartolina dell’ospedale di Caselle
Nel 1837 l’Amministrazione casellese, dovendo ospitare l’ambulanza principale per ricoverare quei soldati che si fossero feriti o ammalatisi in occasione dei Campi d’Istruzione, e non avendo dei locali migliori, ne affittò uno nel filatoio del Sig. Moto, che in quel periodo era fermo, per utilizzarlo a ospedale provvisorio per i militari.
L’anno successivo un dispaccio dell’Intendente Generale d’Armata dell’8 luglio annunciava la propria visita, al fine di esaminare il suddetto locale per valutare se era ancora adatto all’uso convenuto.
Così, dopo mezzogiorno, giunse l’Intendente Generale unitamente al Commissario di Guerra della Divisione Muineri, i quali con l’intervento del Consigliere dell’Amministrazione casellese Borelli visitarono tale locale, riconoscendo che era ancora adatto come ospedale, a condizione che venissero rimosse le “coconere” e demoliti altri macchinari presenti. Però interpellata la Dama Luigia Raimona, vedova di Michele Moto ed erede del filatoio, si scoprì che ella non era più disposta a cedere il locale in quanto: “Fatto sentire che essendo la fabbrica predetta in vendita già resa di pubblica, ragione, non avrebbero i suoi interessi permesso di quella cedere a tal uso di ospedale, e che in ogni caso il fitto di tale locale sarebbe di lire quattromila”.
Così la comunità sentendosi in dovere di ottemperare all’invito dell’Intendente Generale d’Armata per il servizio regio, non trovò altra soluzione che destinare per l’uso militare un locale nella nuova fabbrica dell’ospedale, sita fuori del recinto dell’abitato ma non distante e sempre sulla via per Torino.
Questo fabbricato, conosciuto oggi come Ospedale Baulino, sostituiva l’antico ospedale seicentesco, e venne iniziato nella seconda metà del XVII secolo. Probabilmente però la costruzione durò diversi decenni a più fasi, anche a causa del periodo d’occupazione napoleonica, visto che nel 1838 si citava coma “nuova fabbrica dell’ospedale” quella che si voleva destinare ai militari per insediarvi il loro ospedale.
Di fatto il giorno 14 luglio si recarono in questo luogo il predetto Intendente Generale d’Armata e il Sindaco in compagnia dei Consiglieri Graglia, Bajma, Morelli, Turinetto e Borelli, procedendo alla “disamina membro per membro di detta nuova fabbrica”.
Il fabbricato venne considerato idoneo, ma per renderlo adatto occorreva eseguire alcune opere, e prima di tutto dovesse essere chiusa la galleria al piano superiore “formata in arcate mediante muro di mattoni, con lasciarvi in cadun spazio una finestra al fine di ridurre detta galleria in una lunga camera ad uso infermeria, come diffatti si è dal Sig. Sindaco d’accordo di tutto il Consiglio intrapresa, e condotta al termine la costruzione di detto muro di chiusa della galleria, con provvista di cinque finestre a vetri colle rispettive gelosie per questi difendere dalle intemperie”.
Facciata interna del Baulino con le arcate delle antiche gallerie
Inoltre per rendere il locale della nuova fabbrica dell’ospedale adatta all’uso per ricevere gli ammalati militari, fu anche necessario far formare dei nuovi infissi “…sia pure stato il caso di far formare stibbj in assi d’albera provvista, e mettitura in opera di vetri…”, il che comportò una spesa non indifferente che la comunità dovette sostenere.
Curioso anche il problema pratico che venne nella gestione dell’Ospedale, in quanto la chiusura della galleria superiore con dei finestroni se da un lato era una spesa anche per il futuro (“fra le opere eseguite in specie quella del chiudimento della galleria superiore con provvista delle finestre apparirebbe una costruzione perpetua dimora nella fabbrica nuova dell’ospedale”), dall’altro lato avrebbe privato tale galleria che rimaneva utile per “estendervi il bugato ad asciugare in occasione di continuate pioggie”.
Le gallerie che un tempo erano aperte
Dopo aver eseguito queste e altre opere di riparazione necessarie ci si rese però conto che con la cessione di detto locale messo a disposizione delle Regie Truppe, “ad stabilimento di un ospedale militare provvisorio”, insieme a tutti gli altri locali necessari ai militari, non c’era più spazio per l’infermeria a servizio dei casellesi.
Così l’Amministrazione Comunale da cui pure era retto l’ospedale, non trovò altra soluzione che far ripristinare a uso d’infermeria i “membri della vecchia fabbrica” dove anticamente si era stabilito l’Ospedale al centro del paese dietro il castello.
Nel frattempo questo vecchio ospedale era stato convertito in abitazioni e affittato a vari privati, così l’Amministrazione Comunale si trovò anche costretta a “far rendere evacuati tali membri dalli affittavoli in cui erano occupati, con provvedere a questi altrettante camere per loro abitazione”.
Inoltre il ripristino dell’infermeria comportò anche numerose opere di riparazioni e modifiche comportando una spesa non indifferente per il Comune, che si sommarono alla “indennizazione alli affittavoli che hanno dovuto cangiar alloggio per lasciar luogo allo stabilimento dell’Ospedale locale ne membri già per l’addietro inservienti di infermerie”, ovvero gli indennizzi dati agli inquilini sfrattati.
Fin qui la storia ritrovata dell’ospedale militare provvisorio di Caselle, ma future ricerche permetteranno di conoscere meglio le vicende del fabbricato che prossimamente diventerà il nuovo municipio.
1 – Cardillo Massimo, Onore al soldato napoletano, pag. 75, Ed. Lulu, 2015.