Tornare, dopo le vacanze, a una presunta e ipotetica normalità è cosa ardua.
Avremmo bisogno d’una spinta fortemente positiva, ma tutto sembra congiurare.
Vero è che, a considerare quanto Caselle e Torino siano state deserte durante le settimane d’agosto, più d’uno le benedette vacanze se l’è potute permettere, e questa è già di per sé una buona notizia. Ma la parvenza d’ottimismo è subito mitigata dall’impressionante aumento del costo della spesa.
L’unità di misura di frutta e verdura è sempre il chilo o siamo già passati ai carati? Per quanto possiamo reggere il raddoppio di ogni costo?
E non è un bel segnale quello che è arrivato dall’ex Saiag/Barella, la fabbrica alle porte di Ciriè. Ai cancelli della SFC Solution sono comparse la bandiere dei sindacati ad annunciare la crisi e a certificare che a brevissimo ci saranno altre nuove famiglie in serissima difficoltà.
Un cateto – il nostro – del “triangolo industriale” da tempo è incerottato ed è prossimo a spezzarsi.
Stellantis continua a crescere all’incasso, anche se la vendita delle auto crolla spaventosamente, di promesse non mantenute ( Mirafiori docet) si continua a morire e tutto il nostro indotto dell’automotive sembra far ricorso ormai alle cure palliative.
Ma possibile che nessuno si accorga che occorre infrangere una filiera malata, un giro vizioso e pernicioso? La voluta, cercata eliminazione del ceto medio attraverso l’annegamento dei posti di lavoro sta producendo prezzi sempre più alti. Prezzi sempre più alti conducono a meno acquisti e a una consequenziale contrazione della produzione che induce il padronato a ridurre il numero di posti, a trovare localizzazioni più favorevoli, depauperando il territorio.
Il sindaco di Torino è andato sino in Corea a cercare di capire come si può fare per trovare una soluzione che contempli una partecipazione pubblica territoriale nell’incedere delle aziende e c’è da augurarsi che abbia imparato in fretta per cercare di porre rimedio a una situazione che ogni giorno si fa sempre più preoccupante.
Ci vorrebbe un segnale forte da parte della politica centrale, ma le miserie della suburra romana lasciano poco spazio alla speranza e se una speranza occorre trovare bisogna guardare altrove, laddove di italiani diversi e veri ce ne sono.
Italiani diversi e veri che nulla e tutto hanno a che fare con la nostra storia. Sono franchi e leali, e sembrano non avere alcuna appartenenza con la nazione dei mezzucci; quella ipocrita che non vuole scegliere per bieca convenienza, che produce e passa le armi a patto che però vengano usate solo a modino.
Per fortuna di italiani diversi sono state piacevolmente farcite le nostre settimane estive, perché non c’è stato giorno in cui uno dei nostri splendidi atleti olimpici e paralimpici non ci abbia regalato un’impresa.
Sono loro che ci indicano che la faccenda dello ius soli è già nei fatti superata. Senza l’avvento d’una linfa proveniente da altrove quante medaglie avremmo portato a casa da Parigi? E con buona pace di Vannacci, non c’è nessuno che si senta più italiano di Sylla, Egonu, Simonelli, Furlani, Iapichino e Paolini. Hanno un colore diverso e bellissimo. Sono figli dell’abnegazione, dell’impegno e della serietà che lo sport impone. Non sanno cosa sia il compromesso e la viltà. E tutto ciò gli è stato insegnato qui, perché un retroterra sano c’è. C’è ancora.
Sì, possiamo essere e diventare migliori: basta farsi ispirare da giusti modelli.
Esiste già un’Italia nuova e chiede strada. Provare a sbarrarla con lo sciovinismo più bieco è pura idiozia e cecità.
Un’Italia nuova
La faccenda dello ius soli è già nei fatti superata. Senza l'avvento d'una linfa proveniente da altrove quante medaglie avremmo portato a casa da Parigi? E con buona pace di Vannacci, non c'è nessuno che si senta più italiano di Sylla, Egonu, Simonelli, Furlani, Iapichino e Paolini. Hanno un colore diverso e bellissimo. Sono figli dell'abnegazione, dell'impegno e della serietà che lo sport impone. Non sanno cosa sia il compromesso e la viltà. E tutto ciò gli è stato insegnato qui, perché un retroterra sano