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Comune di Caselle Torinese
martedì, Febbraio 18, 2025

    Una spremuta di…Monnezza!

     

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    Il ricordo risale a quando il mercato di Caselle fu spostato dalle vie del centro a piazza Falcone, ex area del filatoio Moto. Anni prima, da ragazzino, non avevo mai fatto caso se per le vie di Caselle, all’ora di chiusura del mercato, vi fossero persone intente a raccattare tra gli scarti abbandonati dai “mercandin” rifiuti di prodotti alimentari da portare a casa gratuitamente. Ma quando i banchi furono tutti concentrati nella grande piazza tra via Circonvallazione e via San Maurizio, l’immagine di alcune persone chine tra le cassette abbandonate a raccattare frutta e verdura prima dell’arrivo dei camion della nettezza urbana mi rimase impressa, indelebile e triste, nella memoria. Ma era, per come mi ricordo, la percezione di una povertà casuale, quasi intrinseca in una popolazione di più di diecimila persone; non un problema endemico.

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    Il dubbio che la realtà socio-economica stesse drasticamente cambiando, e non solo a Caselle, mi sorse subito dopo la crisi del Covid quando Don Claudio, parlando con me della situazione post epidemia in paese, mi disse: “ Purtroppo non hai idea di quante persone, famiglie intere, siano oggi in difficoltà economica e debbano chiedere aiuto alla Caritas. Ben più di quanto tu possa immaginare. Realtà assolutamente insospettabili…”

    Eppure il mondo dell’apparenza televisiva, dell’informazione nazional-popolare, a dispetto di guerre, crisi economiche e cambiamenti climatici, ci forniva e ancor più oggi conferma, prospettive rosee, crescita, occupazione e picchi di PIL… POL, BIL, BONG, TUF, TIF e qualsivoglia acronimo di indicatore economico vogliate aggiungere.

    Come al solito, invece, ci viene in soccorso la lingua inglese che con il termine Dumpster Diving ci fa capire in quale stramaledetto mondo viviamo. (A saperlo prima, quando vagolavo per i mercati casellesi…)

    Il Dumpster Diving è un fenomeno silenzioso ma sempre più evidente tra le strade delle città italiane; sto infatti parlando della pratica di cercare cibo nei cassonetti dei supermercati, rovistando affamati tra quella che tutti chiamiamo monnezza.In realtà questo termine inglese nasce per indicare, in modo particolare nei Paesi scandinavi, il gesto provocatorio di molti attivisti ambientali che lo praticano per sensibilizzare l’opinione pubblica sullo spreco alimentare, ma in Italia, e non solo, sta assumendo una connotazione ben diversa. Qui, non si tratta più di attivismo consapevole contro gli sprechi, ma di una vera necessità per le fasce più vulnerabili della popolazione.

    È lo spietato indicatore della follia del genere umano che si può sintetizzare in tre parole: spreco, surplus e ingiustizia sociale.

    Spreco alimentare: i numeri consolidati disegnano una tendenza in crescita, anche se molto lieve. In termini assoluti, 3 anni fa l’UE ha sprecato 59,2 milioni di tonnellate di prodotti alimentari. L’anno prima erano state 58,4: l’aumento anno su anno è dell’1,37%.

    In ordine decrescente, le maggiori fonti di spreco alimentare in UE sono state: famiglie (32 milioni di tonnellate), fase di trasformazione (11Mtn), ristorazione (6,6 Mt), commercio al dettaglio e distribuzione (4,8Mt), produzione primaria (4,6 Mt).

    L’Italia è il 3° paese con lo spreco alimentare più alto d’Europa, dopo Germania e Francia. Nel 2022 gli italiani hanno buttato nel cestino oltre 8,2 milioni di tonnellate di cibo contro i 9,4 della Francia e i 10,7 della Germania. Da soli, Roma, Parigi e Berlino rappresentano poco meno di metà dello spreco di cibo europeo.

    Insomma, compriamo, consumiamo e in gran parte buttiamo!

    Surplus: non bastasse questa assurdità, secondo gli ultimi dati della fao, l’organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, circa l’8,9% della popolazione mondiale patisce la fame. Questo numero continua inesorabilmente ad aumentare. Ma questo non accade perché c’è carenza di cibo, no, è “semplicemente” una questione di razionalizzazione e di distribuzione delle risorse.

    Infatti, oggi nel mondo produciamo molto più cibo di quello che serve a sfamare otto miliardi di persone. La questione, quindi, riguarda ora la giustizia sociale, il modo con cui le società umane, attraverso l’economia e la politica, regolano la gestione delle risorse e la distribuzione della ricchezza.

    Spesso si legge che, per poter nutrire la popolazione mondiale che nel 2050 si prevede sarà di 9,6 miliardi di persone, la produzione alimentare dovrà aumentare di circa il 70%.

    Ma questo è un falso mito. Alcune stime affermano che siamo già in grado di produrre abbastanza per sfamare fino a 14 miliardi di persone. Ma più della metà di questi prodotti vengono sprecati. Calcolatrice alla mano, se si dimezzasse la quantità di cereali che normalmente vengono utilizzati come mangime animale, si potrebbero sfamare 1,75 miliardi di persone in più o, incredibilmente, sulla base dei dati forniti dalla relazione provvisoria dell’Istituto delle Risorse Mondiali, si è calcolato che si potrebbero sfamare altri 310 milioni di persone se entro il 2050 si riuscisse a diminuire il numero di persone obese e sovrappeso, Non c’è bisogno di intensificare ulteriormente la produzione, basta dare il giusto peso a metodi di allevamento e coltivazione che non compromettano le risorse naturali dalle quali dipende la nostra possibilità di produrre cibo e abituarci ad una alimentazione sana e corretta.

    Giustizia sociale: «uno squilibrio tra ricchi e poveri è la malattia più antica e più fatale di tutte le repubbliche», scriveva Plutarco due millenni fa. Oggi quella “malattia” ha superato ogni record precedente. A dimostrarlo è il nuovo rapporto annuale pubblicato da Oxfam, “La disuguaglianza non conosce crisi”, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.

    Nel biennio 2020-2021 la ricchezza globale è aumentata di 42 mila miliardi di dollari. Il 63% di questo incremento (circa 26 mila miliardi) è stato incamerato dall’1% della popolazione più ricca. Al restante 99% è rimasto il 37% dell’aumento di ricchezza. Secondo la Banca Mondiale stiamo probabilmente assistendo al più grande aumento di disuguaglianza e povertà globale dal secondo dopoguerra. Interi Paesi rischiano la bancarotta e quelli più poveri spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in sanità, mentre l’1% della popolazione si sollazza gaudente.

    Stiamo sprofondando in un baratro di ingiustizia sociale; come sul Titanic, affondiamo mentre ascoltiamo l’orchestrina suonare…

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