Lili Boulanger
Più di un secolo fa, quando la parola “compositrice” ancora suscitava perplessità e a volte persino sberleffi, a Parigi, nel cuore di una famiglia che vantava dozzine di antenati dediti all’arte musicale sbocciò improvviso il genio di due sorelle, entrambe compositrici. Il padre era Ernest, vincitore di un “Prix de Rome” e docente del conservatorio; la madre Raïssa, una principessa russa dalla voce incantevole, e le due sorelle erano Nadia, organista fin da quando aveva sette anni, e Julie-Marie, detta Lili, precocissima compositrice. Due sorelle fatte di musica. Stiamo parlando, se ancora non si è capito, della famiglia Boulanger.
Nadia Boulanger ebbe maestro, oltre che il padre, Gabriel Fauré, e incominciò a comporre ancora bambina durante i primi anni del conservatorio. Visse una lunga vita ricca di successi (morì nel 1979 a 93 anni) e per più di settant’anni anni fu uno dei professori di composizione più influenti del XX secolo. Migliaia di studenti venivano da tutto il mondo a seguire i suoi corsi, conquistati da una cultura che aveva quasi del mostruoso: “A lei nulla è ignoto”, sbigottì un suo allievo durante una lezione. All’insegnamento avvicendava l’attività di direttrice d’orchestra (fu la prima donna direttrice della storia), un campo in cui influenzò almeno tre generazioni di studenti, tra cui Aaron Copland, Leonard Bernstein, Daniel Barenboim, Philip Glass, Astor Piazzolla, tutti suoi allievi. Fu una figura chiave del ‘900 che sviluppò il rigore e il coraggio di vivere con e per la musica.
Lili Boulanger, più giovane di sei anni, iniziò a evolvere il proprio talento imitando le prodezze della sorella, in cui fin da subito trovò una sostenitrice e una consigliera. Infatti Nadia, notando le straordinarie doti di cui Lili era detentrice, sinceramente l’ammirava e partecipava in toto alla vita mentale di lei. Erano legate da forti vincoli non tanto di sangue quanto di affinità spirituale e intellettuale. Ma fin da piccola Lili si trovò a dover combattere contro uno stato terribile di fragilità fisica: chi dice che fosse affetta da tubercolosi intestinale, chi dal morbo di Crohn, fatto sta che dovette lottare con l’implacabile aumento dei dolori e delle menomazioni che la malattia le causava, e lo fece con una forza d’animo, una voglia di vivere, un bisogno di esprimersi coi suoni, che ancor oggi commuovono.
Precoce in tutto, a sedici anni aveva già scritto numerosi brani di alto livello, esplicando una sensibilità armonica che sorprendeva anche i più preparati. Tuttavia per motivi di salute dovette abbandonare un primo tentativo di concorrere al Prix de Rome (che finalmente nel 1903 era stato aperto anche alle donne), ottenendolo però due anni dopo, nel 1913, con “Faust et Hélène”, e divenendo così in assoluto la prima compositrice che vincesse quel prestigioso concorso.
La notorietà ottenuta le procurò un contratto di esclusiva con l’editore Ricordi, e Maeterlinck, il celebre scrittore belga padre del simbolismo, le diede l’incarico di mettere in musica il suo poema “La princesse Maleine”: secondo lui nessuno poteva avere la sensibilità di Lili per musicarlo. Purtroppo le nuvole nere incombenti indotte dalla guerra la costrinsero a ridurre molti progetti, mentre i problemi di salute si facevano incalzanti. A Nizza compose un ciclo di liriche (“Clairières dans le ciel”), alcuni salmi e parecchi pezzi strumentali di finissima fattura. Si muoveva disinvolta fra il tragico e lo scherzoso: non esistono due opere più diverse fra loro della sua “Marche gaie” e del suo brano “Dans l’immense tristesse”. Stava così male da giungere ad autocompatirsi parlando di “povera piccolina” riferendosi a se stessa; ma non per questo perdeva il coraggio. Persino dopo una diagnosi infausta seguitò a scrivere, forse illusa di potercela ancora fare; la diagnosi, addirittura, parve accrescere la sua creatività artistica. Numerose opere d’ispirazione ascetica o mistica, pubblicate postume a cura di Nadia, sono i contrassegni di quel tragico destino. Tornata a Parigi, a causa dei bombardamenti tedeschi si spostò in una banlieue, e fu a Mézy-sur-Seine che, dopo giorni altalenanti, morì a ventiquattro anni, il 15 marzo 1918. Stava scrivendo un “Pie Jesu” per voce, organo, quartetto d’archi e arpa, un brano che passa da un’intensità angosciata a una serena accettazione del destino. Non potendo più usare le dita, ne dettò l’ultima parte alla sorella Nadia.
Una meteora della musica francese, fu detto di lei, e sulla scomparsa di quella meteora furono in molti a piangere. Persino un antidiluviano direttore d’orchestra ammise che: “Ho sempre dichiarato pubblicamente che non credo che nel comporre l’abilità delle donne sia pari a quella degli uomini… ma questo era prima di sentire i lavori di Lili Boulanger. Era un genio.” Nadia ne uscì straziata. Decise di non comporre più nulla, perché aveva visto da vicino le doti della sorella e sapeva di non potere mai, in nessun modo, esserle pari. Si spinse là dove Lili mai l’avrebbe seguita, nei trionfi d’una direttrice d’orchestra e nelle glorie d’una eccezionale docente di conservatorio.ionale docente di conservatorio.