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martedì, Dicembre 3, 2024

    Il Sacro Monte di Crea, crocevia di fede, storia e leggende

    Il Monferrato è una terra di qualità, a trecentosessanta gradi. È un’eccellenza nei prodotti alimentari: carni, formaggi, frutta e verdura e, naturalmente, vini, che qui hanno sempre rappresentato un bene anche di ordine culturale. È un’eccellenza nelle influenze di carattere storico e architettonico, infatti in queste zone la storia ha trovato i punti d’intersezione delle epopee che hanno segnato i destini del nord Italia.
    In particolare, nel Basso Monferrato (quello dove troneggia la città di Casale) troviamo una ricca letteratura che, accanto alle sublimi opere di carattere artistico, tratta le leggende popolari, quelle che vengono tramandate di padre in figlio, lungo decenni e secoli.
    Proprio in questa “fascia” di territorio monferrino sorge il Sacro Monte di Crea, uno dei riferimenti piemontesi più importanti per i fedeli cattolici. Questa struttura religiosa è posizionata a 455 metri di altezza e, considerando che le alture del Monferrato, da queste parti, non superano i 400 metri, possiamo dire che Crea rappresenti il vertice di queste colline, adornate con gli storici castelli, con le vigne e i campi, che cambiano odori e colori col mutare delle stagioni.
    Il Sacro Monte di Crea è Patrimonio dell’Unesco: siamo in provincia di Alessandria, nel Comune di Serralunga e sotto la Diocesi di Casale Monferrato.
    La veduta panoramica è di quelle che ti tolgono il fiato, il silenzio sembra una cupola invisibile che protegge il Santuario della Madonna di Crea e tutta la sacra collina: i lavori di edificazione del Sacro Monte risalgono al 1589, decisi dal parroco di Crea, ma le prime tracce di un edificio religioso in questa località sono ancora più antiche: infatti la costruzione di un oratorio, in onore della Madonna, risale al 350 d.C.
    Intorno all’anno mille si stabilirono i Canonici di Vezzolano, mentre nel 1483 giunsero i Monaci Lateranensi. Il Santuario ha poi continuato a crescere strutturalmente e d’importanza: i Paleologi prima e i Gonzaga poi, investirono molto sull’ampliamento del sito. Sino ad arrivare, appunto, al 1589 su iniziativa del parroco Costantino Massimo che, attorno al Santuario della Madonna di Crea, fece costruire una serie di cappelle, che attualmente sono 23, districate lungo il Monte, dedicate ai misteri della vita e al trionfo della Madonna. Il Santuario è dedicato a Maria Assunta ed è costituito da un interno a tre navate con importanti opere. Tra le numerose realizzazioni artistiche, troviamo la Madonna col bambino (in legno), un dipinto con Maria e i Santi, realizzata da Macrino d’Alba nel 1503, il ciclo degli affreschi con le storie di Santa Margherita d’Antiochia, realizzato nel ‘400 da Francesco Spanzotti e la più recente Via Crucis di Luigi Bagna. Dal punto di vista pittorico è interessante notare l’intervento di due artisti assai rinomati, padre e figlia: Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo (1568-1625), realizzò il Padre Eterno, mentre la figlia Orsola fu l’autrice del dipinto dedicato a Santa Margherita. Dopo decenni di sviluppo artistico, sia del Sacro Monte che della Basilica, nel 1801, con l’avvento di Napoleone Bonaparte, vennero soppressi gli ordini religiosi e, sia la Chiesa che le cappelle, non solo si ritrovarono senza referenti, ma vennero perfino saccheggiate. Per circa cinquant’anni il Monte versò in uno stato di abbandono, per riprendere vita attorno al 1860, grazie ad una Società di Restauro. La Basilica e il Sancro Monte, sono un susseguirsi di atmosfere e di emozioni di varia estrazione: religiosa, paesaggistica e misteriosa. Lungo un ampio corridoio laterale, rispetto al Santuario, vi sono gli ex voto (locuzione latina ex voto, tradotta letteralmente, significa “a seguito di un voto”), rappresentati soprattutto da tele, che ritraggono scene in cui, in seguito a gravi incidenti oppure a gravi malattie, molti fedeli di questa zona monferrina, dal 1841 ai giorni nostri, sono usciti indenni, ritenendosi quindi miracolati. Circa 50 ex voto, dipinti e incorniciati, sono attribuiti a Monsù Pane, pittore itinerante che veniva pagato dai “miracolati” per dipingere lui stesso le scene raffiguranti l’evento tragico, finito bene. Il vero nome di Monsù Pane, non si è mai saputo: Monsù da queste parti vuol dire signore e il termine Pane, probabilmente, derivava dal fatto che, un po’ come Antonio Ligabue, questo artista si faceva “pagare” con generi alimentari. Era un anticonformista, verosimilmente senza una dimora fissa, che ha realizzato opere votive tra la fine dell”800 e il 1920. La sua era una pittura naif, con colori forti e ambienti ripetitivi, che raccontano le scene con un’istantanea semplicità. Immagini devozionali a cui qualcuno ha dato addirittura una valutazione antropologica, visto che ci fanno vedere elementi utili per lo studio dei costumi, della vita famigliare, dei momenti di attività agricola, strumenti di lavoro e atmosfere che orami non esistono più. E in questo, Monsù Pane, ha avuto un ruolo che ancora oggi viene valorizzato.

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