Forse a qualcuno non piacerà, ma, se mi è permesso, vorrei descrivere alcuni aspetti molto importanti di questa vicenda, vere pillole per meditare. Anni fa, pensavo che la “bega” tra Israeliani e Palestinesi dipendesse da una diversa visione di vita, diversi costumi e diversa religione; obbligati a convivere, loro malgrado, nella stessa terra. Anzi, avevo assimilato anch’io, quanto ci propinavano i nostri mezzi d’informazione che dipingevano sempre l’Arabo come terrorista, continuamente in attività in quel senso, per contrastare e combattere l’insopportabile presenza israeliana. Facile cascarci quando l’eco rimbalzando, da un tg all’altro, non esce dalla stessa traccia. Da qualche tempo, da quando ho cercato di documentarmi meglio, ho capito che la storia era diversa. Anzi la realtà risulta esattamente opposta. Chiunque segua quel che sta succedendo ora in quella che viene chiamata Terra Santa comprende che non ci sono due eserciti antagonisti ma è soltanto in atto uno sterminio del popolo palestinese, senza limiti, a opera degli Israeliani. Nei dibattiti televisivi c’è ancora qualcuno che, senza vergogna, contesta il termine genocidio, ma di genocidio si tratta. È molto interessante conoscere i precedenti di questa vicenda, spiegati, molto chiaramente, in un libro che sto leggendo, di oltre 350 pagine che fanno rabbrividire.
Il titolo è appunto: “La pulizia etnica della Palestina”. L’autore è Ilan Pappè, un ebreo, forse il più anticonformista degli Israeliani. Un ebreo che ha studiato a lungo la documentazione esistente, (compresi gli archivi militari desecretati soltanto nel 1998), su un punto cruciale della storia del suo Paese, giungendo a una visione chiara di quanto è accaduto nel 1948, in contrasto con la versione tramandata dalla storiografia ufficiale. Ha potuto verificare che sin dagli Anni ’30, la leadership del futuro stato d’Israele, guidata da David Ben Gurion, aveva ideato e programmato un piano di pulizia etnica della Palestina. Un piano che mirava, senza alcun dubbio, all’esclusiva presenza ebrea in Palestina. Nel linguaggio giuridico internazionale “pulizia etnica” è un crimine contro l’umanità e le persone che lo commettono sono dei criminali da portare davanti a un tribunale speciale. Un crimine che è stato quasi cancellato dalla memoria pubblica mondiale: l’espropriazione delle terre dei Palestinesi da parte di Israele. Presa la decisione, ci vollero solo sei mesi per portare a termine la missione. Quando fu compiuta, più di metà della popolazione palestinese originaria, circa 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi sono stati distrutti, incendiati, 11 quartieri urbani svuotati letteralmente dagli abitanti. Quando il movimento sionista cominciò l’opera di pulizia etnica i Palestinesi costituivano una maggioranza dei 2/3. La storiografia israeliana parlava di “trasferimento volontario di massa”, per lasciare spazio agli eserciti arabi che volevano distruggere il neonato stato ebraico. Da notare che gli Inglesi erano ancora responsabili della legge e dell’ordine nel Paese quando le truppe ebraiche erano già riuscite ad espellere forzatamente 250.000 palestinesi. Nel ’47 l’Inghilterra aveva stabilito la fine del suo mandato in quella terra, e gli ebrei approfittarono; in effetti tutto successe sotto gli occhi degli Inglesi, senza alcuna reazione da parte loro. Quello che più colpisce in questo libro è la descrizione dei metodi adottati per espellere i Palestinesi dalle loro abitazioni. Non fu affatto un invito comunicato pacificamente (che sarebbe comunque stato una prepotenza) ma furono adottati ben altri metodi. Vengono descritte precisamente le date, i nomi dei villaggi in cui i soldati ebrei arrivarono nel pieno della notte e cominciarono a bombardare, incendiare, crivellare di colpi con le mitragliatrici gli abitanti, man mano che tentavano di mettersi in salvo. Le donne violentate e poi barbaramente uccise davanti ai propri figli. Figli che a loro volta non venivano risparmiati, nemmeno nella culla. Poiché le truppe ebraiche erano state indottrinate che ogni villaggio palestinese era una base militare nemica, la distinzione tra massacrare gli abitanti o ucciderli in battaglia era di scarsa importanza. A esempio Haifa, era una città portuale e Israele la voleva senza i 75.000 palestinesi che vi vivevano, e nell’aprile del ’48 raggiunse lo scopo. L’ordine fu: “Uccidete ogni arabo che incontrate, bruciate ogni cosa, buttate giù le porte delle case con l’esplosivo”. Quelli che riuscirono a fuggire si diressero verso il porto sperando di mettersi in salvo in mare, ma gli ebrei piazzarono i mortai sul pendio della montagna di fronte al porto e bombardarono la folla. Una testimonianza: “Uomini che calpestavano gli amici, le donne e persino i propri figli. Le barche ormeggiate si riempirono di carico umano, tutti orrendamente pigiati. Molte barche si capovolsero con tutti dentro”. Nemmeno Gerusalemme “città eterna” fu risparmiata. Le truppe ebraiche bombardarono, occuparono i quartieri arabi occidentali nell’aprile del ’48 trasformandola in “città fantasma”. A Gaza, il 27 maggio, gli egiziani catturarono due ebrei mentre tentavano di avvelenare l’acquedotto con i batteri del tifo e dissenteria. Quando il famigerato Ben Gurion, allora primo ministro d’Israele, fu informato, non fece alcun commento. E la storia continua, 76 anni dopo. Ma una domanda viene spontanea: quali sono i terroristi?
La pulizia etnica della Palestina
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