Un periodo sicuramente trascurato nei libri di storia locale casellese è quello dell’occupazione napoleonica, di cui pochissimo si parla, ma che fu molto importante per il futuro economico del paese dopo la Restaurazione e che portò alla nascita del grande lanificio Laclaire, divenuto poi Bona.
Il Piemonte, insieme all’Europa, vide con la Rivoluzione francese un periodo di guerre, insurrezioni e rivolte che portarono all’occupazione dei transalpini, la fuga del re, l’annessione del Piemonte alla Francia.
Vennero istituiti dei nuovi dipartimenti piemontesi, con l’amministrazione affidata prima a governi provvisori, poi al governatore Camillo Borghese, amministrazione con la quale, per circa quindici anni, il territorio fu contraddistinto da straordinari mutamenti legislativi, politici, economici, culturali, sociali, urbanistici, a volte compiuti, altre volte solo iniziati, che però furono destinati a lasciare tracce delle loro riforme anche dopo la Restaurazione, preparando lo stato sabaudo al Risorgimento.
Sotto il nuovo “padrone” il Piemonte venne riorganizzato col tentativo di risollevare l’economia, l’agricoltura e le manifatture. Venne regolamentato il lavoro e si cercò di dare una viabilità efficiente frutto di grandi lavori pubblici. Venne riformato il catasto, così come il controllo sulle religioni, sui diritti, sull’ordine pubblico, l’assistenza e la sanità, tentando di controllare le città e riportare ordine nelle campagne.
Dal punto di vista amministrativo, in questo periodo, il Piemonte passò rapidamente dall’occupazione francese (1796) al governo provvisorio piemontese, al commissario civile del direttorio (dic.1798 – apr.1799); in seguito vi fu poi il governo del commissario J.M. Musset (2 apr. – 3 mag.1799) e poi l’amministrazione generale del Piemonte (3-26 mag.1799).
Dal 26 maggio 1799 al 16 giugno 1800 vi fu il breve periodo dell’occupazione austro-russa, per ritornare poi al governo provvisorio e una nuova amministrazione generale piemontese (giu.1800 – set.1802).
Napoleone Bonaparte, dopo la vittoria ottenuta nella battaglia di Marengo, il 26 giugno 1800, giunse a Torino per istituirvi una Commissione provvisoria di governo, facendo di fatto diventare le nostre terre parte della Repubblica Subalpina.
Il 21 settembre 1802 il Piemonte venne definitivamente annesso alla Francia, e questo stato di cose durò fino alla caduta di Napoleone avvenuta nel 1815.
Le ricerche sulla storia di Caselle di quel periodo sono solo all’inizio, e qui, in questo articolo, non si vuole delineare in modo completo le vicende che sono state importanti per il futuro casellese, come la rinascita dell’industria, le innovazioni agricole apportate, la fine dei diritti feudali e, non ultimo, le requisizioni degli enti religiosi ( che portarono il Comune nella sede dell’ex convento dei Servi di Maria e videro l’acquisizione della Pala del Defendente Ferrari ), ma solo riportare, per ora, alcuni episodi utili per la ricostruzione dell’epoca.
L’Albero della Libertà
L’Albero della Libertà fu un simbolo della Rivoluzione francese, e probabilmente prendeva spunto dalle usanze delle antiche feste pagane, quando in tutta Europa, il primo giorno di maggio, era uso innalzare sulla piazza del villaggio un simbolo fallico, il fusto di un albero, chiamato appunto il “maggio” e in piemontese, con un antico termine riservato soltanto a quell’occasione, il “maj”, dove intorno si cantava e si ballava.
Anche questa antica tradizione fu cattolicizzata, facendo diventare la Madonna “regina di maggio” ma poiché ciò non era bastato a trasformare l’antica festa pagana in una celebrazione devota, i vescovi finirono col condannare come indecenti gli “albera majunca” disponendo che al loro posto si piantassero delle grandi croci.
Durante la Rivoluzione francese i repubblicani piantarono il primo Albero della Libertà nel 1790, a Parigi, e poi ciò divenne usanza, tanto che vennero successivamente innalzati in ogni municipio di Francia, Svizzera e anche in Italia quando questa venne conquistata dai Francesi.
Generalmente gli Alberi della Libertà erano piantati nella piazza principale della città, e un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso e l’addobbo: l’Albero della Libertà, che di fatto era un palo, doveva essere sormontato dal berretto frigio rosso ed essere adorno di bandiere.
Veniva usato per cerimonie civili: giuramento dei magistrati, falò di diplomi nobiliari e anche per festeggiamenti rivoluzionari.
L’Albero della Libertà è stato anche in Italia il simbolo e la manifestazione dell’esultanza popolare per la caduta dei regimi assolutistici negli ultimi anni del Settecento.
A Caselle, come in tutto il Piemonte, l’Albero fu piantato dopo che l’armata francese aveva travolto l’antico Regno di Sardegna, e venne proclamata la “Nazione Piemontese”, nel dicembre 1798.
Un documento nell’archivio storico del Comune ricorda che:
“L’anno del signore millesettecentonovantotto, anno 7° della Repubblica Francese, e primo della libertà piemontese, ed alli venticinque Frimaire (sabato 15 dicembre 1798) in Caselle, e nella sala delle Congreghe Consulari, giudicialmente avanti il Cittadino nodaro Felice Catti, Luogotenente e Giudice di questo luogo, viene convocato e Congregato l’ordinario Consiglio della Comunità di questo luogo nel quale sono intervenuti i Cittadini Gaetano Morelli Sindaco e i Consiglieri Giovanni Domenico Borla, Giuseppe Maurino, Francesco Emilio Quadro, Giuseppe Maffey e Giuseppe Viora componenti li sei settimi dell’intero Consiglio”, in seguito alla relazione presentata dal Cittadino Giuseppe Cappucino su quanto occorreva fare di più urgente, deliberavano che prima di ogni cosa venisse eretto l’Albero della Libertà.
“Al primo capo ha mandato in prima, ad avanti ogni cosa erigere l’Albero della Libertà sulla piazza pubblica al qual effetto ha commesso alli cittadini nodaro Catti suddetto, Pietro Giuseppe Cappucino, Gio Scotto e Giuseppe Cappuccino di dare la convenienti e più pronte disposizioni per la provvista, e piantamento del medemo”.
L’Albero venne eretto il giorno successivo (un tempo le “delibere” erano molto più veloci di oggi…) in quanto essendo domenica e quindi un giorno festivo, avrebbe riscosso maggior concorso di pubblico “affinché segua la funzione col più possibil decoro e pubblicità, e di fare inoltre, che venga detto Albero ornato colle convenienti divise, e colla maggior decenza possibile”.
All’erezione dell’Albero doveva intervenire personalmente “l’intero corpo del Consiglio” con i due parroci, insieme a tutte le altre persone, “delle più riguardevoli di questo luogo”.
La cerimonia avvenne così all’ora stabilità delle “tre di Francia dopo mezzo di”, ed eseguita al suono della campana del Comune e al suono di vari “instromenti musicali, al rimbombo de mortaretti ed alli evviva della Francese Repubblica e della risorta Libertà”, raccomandandosi anche di “farsi con tutte le più possibili dimostrazioni di giubilo”.
La cerimonia si concluse con la distribuzione ai poveri locali di “due mille micconi di pane di formento d’once sette caduno (corrispondenti agli attuali 215 grammi), onde risentano li vantaggi della riacquistata libertà e felicità”
L’organizzazione della cerimonia non trascurò ovviamente il problema della sicurezza, infatti si previde che “perché la fonzione riesca decorosa, ed in buon ordine, ed evitare ogni confusione devesi armare un numero competente di milizia, e richiedere il Comandante del distaccamento Francese, stabilito in questo luogo, di intervenire colli suoi Dragoni a Cavallo”.
Per dare l’esecuzione di tutto quanto previsto dalla cerimonia vennero deputati i cittadini: Sindaco Morelli e i Consiglieri Francesco Emilio Quadro, Gio’ Scotto, Gio’ Batta Sartori e Gio’ Batta Moinj, con facoltà a medesimi “di destinare allo stesso oggetto quelle persone che crederanno a proposito in loro sussidio, e per il regolamento della stabilita Compagnia di milizie ne ha specialmente appoggiato l’incombenza alli Cittadini Giuseppe Cappucino e Gaetano Cappucino”.
Gli austro-russi l’anno seguente lo spazzarono via e, quando i francesi tornarono con Napoleone trionfante, gli ideali di “liberté-égalité-fraternité” vennero abbandonati e dell’Albero della Libertà se ne perse la memoria.
Branda de’ Lucioni
Un periodo interessante da approfondire per l’implicazione del nostro paese, che qui si accenna solamente, fu quello in cui Caselle venne occupata da Branda de’ Lucioni (Winterberg, 1740 – Vicenza, 23 agosto 1803), che era un militare italiano in forza all’esercito austriaco e che fu a capo degli insorti anti-napoleonici negli anni 1796-1799.
In occasione della campagna austro-russa del 1799 nel Nord Italia, Branda de’ Lucioni si mise al comando delle colonne dirette in Piemonte, e l’invasione del Piemonte da parte degli austro-russi venne sicuramente facilitata da Branda de’ Lucioni, che era stato mandato in avanscoperta a sollevare i contadini in nome della Santa Fede, reclutando numerosi uomini.
Dopo aver posto il suo quartier generale in Chivasso, Branda de’ Lucioni aveva sollevato contro la Repubblica parecchi comuni tra la Dora Baltea e la Stura, ma la maggior parte del Canavese si era tenuta neutrale, e molte comunità, come quelle di S. Maurizio, di Caselle, di Cirié e di Leyni, finché fu loro possibile, disconobbero la sua autorità. La città di Ivrea era stata invece l’epicentro della sollevazione anti-giacobina, grazie soprattutto alla guida del vescovo Giuseppe Ottavio Pochettini di Serravalle che aveva benedetto e salutato il Branda Lucioni come liberatore, il quale a sua volta si autodefinì “comandante dell’ordinata Massa cristiana”, emanando proclami e costituendo di fatto un esercito personale (i “brandalucioni”, come furono chiamati).
Invaso il Canavese, il Branda conquistò anche Cirié, San Maurizio, Caselle e Leinì, dove si erano rifugiati gli ultimi repubblicani che finirono con il cedere alla sua forza.
Il Branda rimase con i suoi uomini nei dintorni di Torino, dove stabilì il suo quartiere generale nei pressi della Stura: «Da questo sito faceva esso delle scorrerie ora in un luogo ora in un altro, lasciandosi vedere insino nel sobborgo della Dora, senza mai avere sì di giorno che di notte un luogo fisso, ove potesse essere attrappato».
Per almeno due settimane riuscì a tenere bloccata la capitale piemontese, tenendo sotto scacco i francesi e ponendo di fatto Torino sotto assedio, fino all’arrivo dell’esercito austro-russo, comandato da Suvorov, che nel maggio del 1799 conquistò la città.
I danni delle truppe francesi
Con la conquista dell’Italia da parte dell’esercito francese, numerosissimi furono i danni causati dalle truppe invaditrici, e Caselle non fu esente da questi danni.
Nel paese si insediarono numerosi soldati francesi, che occuparono il castello, l’ospedale e anche la chiesa della Confraternita dei Battuti.
Numerosi sono i documenti che testimoniano quanto distrussero e requisirono i transalpini, e qui, come esempio, riportiamo quanto scritto in un documento del 23 novembre 1797 in cui il Consiglio Comunale dovette provvedere all’acquartieramento delle truppe francesi stanziatesi nell’ospedale casellese, da poco costruito e forse neanche completato.
Il medico Vallino ed Emilio Quadro vennero deputati per “provedere alli occorenti riguardanti l’alloggio delle truppe francesi”, indicando al Direttore dello “Spedale di questo luogo affinché venga provvista la fabrica del medesimo e destinata per l’alloggio delle truppe francesi delle opportune seraglie alle porte di comunicazione alla galeria, e li chiassili alle finestre per riparare le camere dal freddo nell’approssimante stagione invernale”.
L’amministrazione dell’Ospedale però dichiarò di “non trovasi nella situazione di surrogare le seraglie della porta mancanti sia perché dalli francesi devastate, ed abbruciate nell’occorenza delli passati alloggi quanto perché le surogande seraglie si troverebbero allo stesso inconveniente come anche per non trovarsi in stato di supplire alla grave spesa, che si richiederebbe per la formazione delle dette seraglie”.
Da questa frase si rileva quindi chiaramente che con l’occupazione francese i soldati bruciarono tutti i serramenti di legno per scaldarsi, e che l’ospedale non aveva i soldi sufficienti per la loro ricostruzione.
Il documento rileva anche che solo i vetri dei serramenti si erano salvati, perché erano stati rimossi nella precedente stagione proprio in previsione dell’occupazione francese e quindi per salvarli dalla probabile distruzione dei serramenti, proprio come poi successe.
L’amministrazione dell’ospedale si offrì di ricollocare i vetri al suo posto su nuovi serramenti, ma solo “previo la ricognizione dello stato de medesimi da seguire in contradditorio di questa Comunità e di persona da essa deputata onde ottenerne la dovuta indenità” e dei danni causati “dal devastamento causato alle muraglie a causa del fuoco acceso nelle gallerie e camere”.
I francesi si accamparono anche in numerose abitazioni del paese, anche perché Caselle era stata destinata come tappa per le truppe di cavalleria che da Trecate, passando per Oulx, andavano in Francia. In seguito questa necessità scomparve e il minor numero di soldati da ospitare nel paese indusse l’amministrazione comunale a destinare come unico accampamento l’edificio dell’ospedale nuovo ancora in costruzione.
Per l’occasione vennero realizzate delle baracche provvisorie nel cortile del costruendo ospedale per ospitare i cavalli dei soldati, in modo da non occupare più varie scuderie di privati che costavano non poco alla nostra amministrazione.
Nelle prossime puntate vedremo altri episodi successi durante l’occupazione delle truppe francesi e documentate negli archivi pubblici. Per dire, è interessante l’inventario dei beni requisiti ai Padri Servi di Maria, tra cui il quadro del Defendente Ferrari che in seguito venne acquistato dalla comunità casellese quando tutti i beni requisiti vennero messi all’incanto, come attestano i documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino.